Avvenire - 21 febbraio 2015

AGORÀ

Congdon: un artista nel segno della croce

In occasione della Quaresima la chiesa di san Raffaele arcangelo di Milano – grazie all’iniziativa "L’occhio ascolta" promossa dall’associazione Sant’Anselmo e da altre realtà associative – espone il Crocifisso n. 18 di William Congdon. L’inaugurazione sarà mercoledì 25 febbraio alle ore 18,30 con un incontro al quale parteciperanno Paolo Biscottini, direttore del Museo diocesano, e Rodolfo Balzarotti della Fondazione Congdon. L’esposizione si concluderà il 30 aprile.

Ci si alza ogni mattina nel segno della croce. Questo pensiero sembra suggerirci il percorso artistico ed umano del pittore statunitense William Congdon (Providence, 1912- Gudo Gambaredo,1998). Dopo la sua conversione dal protestantesimo al cattolicesimo, culminata con il battesimo (Assisi 1959), l’artista ha infatti affrontato molte volte il tema del sacro, soprattutto l’immagine del crocifisso, oggetto di una sofferta e insistita ricerca che nel ventennio tra il 1959 e il 1979 ha prodotto una serie di ben 180 tavole. Fino a fargli dichiarare: “Io non dipingo il Crocifisso ma Cristo crocifisso nella mia carne”.

Denominatore comune di queste moderne icone è il fondo scuro, bituminoso, terroso, che rimanda severamente al duro confronto con l’essenza stessa delle cose nella loro mortificazione (kenosis). Tonalità opaca, buia, incolore, disperante e claustrofobica che è simbolo di quella novecentesca “notte dell’anima” vissuta dall’artista e superata nella fede cristiana proprio attraverso il gesto religioso del dipingere (action painting).

Il Crocifisso n. 18 (febbraio 1966) dalla tradizionale forma a Y o “a forchetta”, ha un movimento rotatorio verso sinistra che, accentuato dalle braccia e dalla testa reclinata sul petto, suggerisce dinamicità e un forte movimento in avanti verso lo spettatore. Le mani forate si espandono nei chiodi quadrati da cui Cristo pare strapparsi. Le gambe e i piedi si dilatano in primo piano in una prospettiva che potrebbe essere giustificata solo da un secondo punto di vista, un orante posto ai piedi della croce. Il Crocifisso n. 18 infine emerge così nitido e ben definito dal fondo grazie alla forza del bianco perizoma che richiama le vesti candide e luminose del Cristo trasfigurato e risorto.

Dopo la morte del fratello Gilber, avvenuta in febbraio, nel maggio del 1969 Congdon realizza il grande Crocifisso n. 45 di Buccinasco, quasi invisibile, annegato nel fondo buio. Subito dopo dipinge il Crocifisso n. 46, donato dalla Fondazione Congdon all’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, che a sua volta ne ha fatto dono al Museo Diocesano. Qui l’artista fa un passo decisivo: corpo e patibolo si identificano, Cristo assume nel suo corpo glorioso lo strumento di morte, riscattandolo. Croce e crocifisso diventano un corpo unico, sintetizzato da larghe spatolate di colore che dall’ocra scuro schiariscono in una gamma di preziose tonalità grigio-perla.

Dietro le spalle di Cristo precipita la notte. La sua testa china rivela però il biancheggiare dei muscoli dorsali in linea con le braccia. Una luce sublunare si riflette sulle spalle del Crocifisso e sul perizoma. Quella luce preannuncia i quadri successivi degli anni ’80 in cui, tra collina e cielo (due tonalità quasi identiche di nero), stacca la luna che sale, immagine della Chiesa, baluardo contro la notte che avanza. La luce della luna e della Chiesa si identificano: due realtà che brillano di luce riflessa, rispettivamente del sole e di Cristo. Infine la linea diagonale delle spalle del crocifisso (anche qui l’inclinazione del patibulum è a sinistra di chi osserva) e la verticale del corpo formano una T che divide in tre campiture lo spazio. Congdon, essenzialmente pittore di paesaggio, inizia qui a trasformare il Crocifisso in paesaggio (landscape) preparando i quadri successivi in cui la croce diventerà solco e “strada” che attraversa e feconda i campi della bassa milanese. Qui, a Gudo Gambaredo, in una comunità religiosa, egli passa gli ultimi vent’anni della sua vita.

La croce-bilancia di giustizia del Crocifisso n. 18 diventa nel Crocifisso n. 46 l’aratro che solca e benedice la terra. La croce abbraccia l’intero cosmo, assunto e salvato dal corpo di Cristo, seme luminoso sepolto nel cuore buio del mondo. William Congdon, affrontando più volte il tema del Crocifisso, vince così ogni volta se stesso, la propria morte, inserendola in quella di Cristo e risorgendo con Lui attraverso l’azione stessa del dipingere che diventa rendimento di grazie, azione liturgica e preghiera.