La Presenza di Maria - Mensile / Novembre 2020

La Madre di Dio

Non c’è immagine più cara al popolo cristiano. L’icona di Maria che tiene in braccio il piccolo Gesù è un’immagine diffusissima e tenera che commuove per la sua semplicità. Inoltre, nel mondo ortodosso, dalla Grecia alla Russia e ai Balcani, nella tradizione iconografica bizantina e salva ha assunto un posto insostituibile, proprio per il suo significato teologico. L’icona non è una semplice immagine artistica. E nel caso dell’icona di Maria, quella donna non è come tutte le altre ma rappresenta la Madre di un Bambino che è Dio stesso, il Dio fatto uomo. Questa icona della Madre di Dio ha avuto innumerevoli varianti, e ha assunto via via titoli e significati diversi: Orante, Colei che indica il cammino, la Madre della Tenerezza, della Passione, del Gioco.
La filiera di icone mariane della tradizione ortodossa, bizantino-slava, parte da un prototipo, da una radice antica: l’immagine della Theotokos, parola greca che significa Madre di Dio, alla lettera Colei che ha generato Dio. Il dogma di Maria Madre di Dio viene fissato dalla Chiesa nel III secolo al concilio di Efeso. La sua icona rappresenta Maria in trono, a figura intera, il Bambino sulle ginocchia, come nell’Adorazione dei Magi.
Una prima variante della Theotokos è l’icona dell’Orante, a figura intera, le braccia alzate in preghiera, sul petto in un medaglione Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi. Anche qui esiste un significato teologico ben preciso: Maria apre le braccia tra la terra e il cielo, è mediatrice tra Dio e gli uomini. Un’altra icona sviluppa questo tema nella Platytera, più vasta dei cieli.

Una forma cristiana di preghiera

Mettiamoci davanti a qualsiasi icona di Maria. I suoi occhi grandi, misericordiosi e profondi ci attraggono, e più li guardiamo più ci accorgiamo di essere guardati da lei. Contemplare il volto di Maria diventa una forma speciale di preghiera. Per questo è importante avere in casa, esposta su una parete, un’icona di Maria con Gesù. Quella che preferiamo. Nel ritmo frenetico delle nostre vite quotidiane, quell’immagine ci richiamerà sempre all’essenzialità del Vangelo: cosa vale all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde se stesso? È tipica della cultura russa la figura dell’uomo peccatore che torna a casa la sera e si inginocchia davanti all’icona della Vergine col Bambino supplicando: “Signore Gesù abbi pieta di me”.
Ma torniamo a questa “collana spirituale” di immagini mariane che stiamo intrecciando, nel segno della bellezza. Una variante della Thetokos è l’Odighitria, che in greco significa: Colei che mostra la via. Maria indica il Figlio come l’orizzonte, la strada, la meta, secondo le parole del Vangelo: “io sono la Via, la Verità e la Vita”. La più nota e amata icona mariana, diffusa in tutto l’Oriente cristiano, e anche da noi in Occidente, è la Madonna della Tenerezza. In greco Eleousa, cioè della misericordia, oppure Glikofilousa, cioè del dolce bacio. Maria si china verso il figlio in un abbraccio e Gesù le si aggrappa al collo, cercando in lei consolazione al pensiero della futura Passione che dovrà subire. Nell’icona presente e futuro si uniscono. Gesù bambino è angosciato come un adulto dalla morte in croce che lo attende.
Nella variante Madre di Dio della Passione il tema si fa più esplicito: due angeli in volo mostrano la croce a Gesù. In altre icone il Bambino si agita, scalcia, sembra voler svincolarsi da Maria. Nasce la tipologia della Madre di Dio del Gioco in cui il piedino ritorto di Gesù richiama alla memoria il pensiero dei chiodi che trafiggeranno quei piedini.

Cos’è un’icona?

La parola icona deriva dal greco eikon e dal russo ikona e significa immagine sacra. In particolare, la parola icona indica un’immagine dipinta su tavola di legno con colori naturali (uovo e pigmenti) secondo un procedimento che assomiglia molto a un rito, a un’azione liturgica. L’icona infatti è un sacramentale, un medium tra l’uomo e Dio. Per questo dipingere un’icona non è come fare un quadro qualsiasi, sia pure a soggetto religioso. Chi esercita quest’arte deve prepararsi con digiuni e preghiere, affinché Dio lo ispiri. E poi seguire regole ben precise, che non danno particolare spazio alla creatività personale, anche se grandi pittori di icone come Andrej Rublev e Teofane il Greco hanno saputo, pur nell’obbedienza ai sacri modelli, creare capolavori autenticamente artistici. Così il pittore di icone, l’iconografo, si appresta ancora oggi a dipingere, o meglio a “scrivere” la sua icona. “Scrivere” come si può scrivere il Vangelo. Un Vangelo per immagini.
Per capire meglio il fascino e la sacralità delle icone dobbiamo immaginarle (o guardarle, se possibile) rischiarate dalla luce delle lampade a olio delle chiese ortodosse e delle case in cui, nell’angolo bello (angolo rosso) davanti alle icone arde sempre, giorno e notte una lampada. Il tremolio della fiamma fa vibrare i colori, accende l’oro dei fondi, suscitando un’atmosfera adatta alla preghiera. Così l’icona diventa una finestra aperta sull’aldilà.

L’irrompere del mistero nella storia

L’icona della Madonna, ma non solo, ha avuto anche una funzione storica nella vita del popolo ortodosso. L’icona della Madre di Dio di Vladimir (la Vladimirskaja), per esempio, esposta sulle mura di Mosca, ha salvato la città dall’assedio dei tartari di Gengis Khan. L’icona di san Michele arcistratega, capo delle milizie celesti, esposta sugli stendardi degli eserciti, li ha portati alla vittoria. Immagini miracolose? Sì, ma niente di superstizioso. La Chiesa ha stabilito fin dai primi secoli che l’icona non ha valore in sé, nella sua tavola, nei suoi colori, ma in quanto tramite alla persona rappresenta, Gesù, Maria, gli angeli, i santi. È Dio che salva. Un concetto che sembra chiaro a noi occidentali, ma che nei primi secoli, in Oriente, causò violente lotte e la distruzione di immagini sacre da parte degli iconoclasti finché il Papa di allora, siamo nel secolo VIII, stabilì che la venerazione (e non l’adorazione) data a un’icona veniva rivolta non al legno e ai colori ma al prototipo, cioè direttamente a Dio.
Da ogni immagine poetica che viene dalla Bibbia e che si riferisce a Maria la creatività del pittore di icone trae ispirazione per sempre nuovi modelli legati a Maria: Giardino chiuso, Fontana sigillata, Scala di Giacobbe, Roveto ardente, Montagna non tagliata da mano d’uomo. Titoli che si riferiscono tutti alla verginità di Maria e alla sua divina maternità.

Dall’Annunciazione al Natale

Se vogliamo conoscere nei particolari la vita di Maria la troviamo raccontata nei piccoli riquadri, quasi miniature, che scorrono nelle storie laterali che fanno da cornice alla grande icona dell’Annunciazione. Noi ci concentriamo a contemplare questo mistero che, come nelle parole dell’Angelus, rappresenta il punto centrale, lo snodo di tutta la storia della salvezza. L’Angelo e Maria si incontrano in una stanza, in un clima di grande solennità. Maria è seduta in trono e l’Angelo corre verso di lei con le ali spiegate. Un raggio tripartito scende dal cielo su Maria, la Trinità scende a visitarla, trepida per lei. E Maria risponde: Sì.
Ed ecco, radiosa, l’icona di Natale sorge come un sole e ci racconta, in una cornice festosa, il culmine della storia della salvezza. Dal sì di Maria al suo compimento nella Nascita. Ecco la santa montagna che è Maria stessa che partorisce la pietra angolare, Cristo, mantenendo intatta la sua verginità. Ed ecco Giuseppe triste e pensieroso, preso dal dubbio per quel suo strano destino di padre e marito di una donna vergine che ha partorito un figlio. Davanti a Giuseppe il demonio, vestito da pastore, appare e lo tenta sulla verginità di Maria. Maria non guarda il Bambino ma Giuseppe, e in lui tutta l’umanità incredula. Il dramma del Natale è tutto in questa dinamica di fede. Il raggio della Trinità apparso nell’Annunciazione ritorna sulla grotta e su Maria. I magi, gli angeli e i pastori accorrono alla grotta. Il bue e l’asino rappresentano giudei e pagani, i due popoli a cui viene annunciata la salvezza. E infine la greppia in cui Gesù giace, avvolto in fasce che ricordano le fasce mortuarie, mentre la mangiatoia rappresenta il sepolcro in cui verrà deposto. Nel Natale c’è l’inizio e la fine. Maria, distesa come una partoriente, è avvolta in un mantello rosso scuro e distesa su un manto rosso che indica la sua regalità. Maria non guarda il Bambino ma noi con indicibile carità e premura materna. Fiore dell’icona è Maria, nel suo e nostro santo Natale.