La Presenza di Maria - Mensile / Dicembre 2020

I Santi nelle icone

Se Maria è la regina del Paradiso, la sua corte celeste sono gli angeli e i santi. E chi sono i santi? Secondo l’Apocalisse sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e, purificati, hanno reso le loro vesti candide come neve. Quanti sono i santi? Certamente una schiera innumerevole che attraverso i secoli è giunta fino a noi. La Chiesa è la “fabbrica dei santi”, quelli canonici, “da calendario” ma anche l’innumerevole schiera di santi anonimi, semplici cristiani, popolo di salvati. Se la Chiesa cattolica e quella ortodossa hanno scritto i loro nomi e le loro vite in appositi libri liturgici (martirologi, calendari, sinassari, menologi) l’arte delle icone ha tradotto la loro testimonianza in forme e colori così che possiamo dire con le parole della liturgia delle Ore: “Contemplate ogni giorno il volto dei santi per trovare riposo nei loro discorsi”. (Didaché).

Le prime icone di “santi” escono già dalle pagine dell’Antico Testamento. Nell’icona della Discesa agli Inferi Abramo, Mosè, Davide. Salomone dalle tenebre vengono riscattati alla luce di Cristo risorto che scende nelle viscere della terra per liberare le anime dei giusti. E, per primi, Gesù tende le mani ad Adamo ed Eva con un gesto di grande tenerezza che ricorda la creazione. L’ultimo giusto, il più grande profeta in bilico tra Antico e Nuovo Testamento è Giovanni Battista. Nella grande icona del Giudizio Universale incontriamo invece il “primo” santo del Nuovo Testamento: il buon ladrone, il “ladro teologo” (così lo chiamano gli ortodossi) che, dalla croce, “rubo” la promessa del paradiso a Gesù:- Ricordati di me! E Gesù a lui: - Oggi stesso sarai con me in Paradiso.

Nella Bibbia e poi nei Vangeli l’universo della santità al femminile è ben rappresentato a cominciare da Sara, l’incredula moglie di Abramo che ridacchia ascoltando dagli angeli l’annuncio di maternità per lei sterile e anziana. Nelle Scritture si ripete spesso questa situazione di maternità impossibili. Per esempio LA coppia Elisabetta, e Zaccaria, i genitori del Battista. Poi Anna e Gioacchino che in tarda età avranno Maria, la madre di Gesù. Il loro abbraccio e il loro bacio santo sono diventati l’icona stessa dell’unione coniugale. Maria infine, vergine e promessa sposa a Giuseppe, senza intervento umano concepisce il figlio di Dio. Se mettiamo insieme tutte queste icone abbiamo tanti quadretti familiari in cui nell’intimità della casa le sante donne si riposano dalle fatiche del parto assistite dai mariti e dalle ancelle. elle.
Da queste immagini di coppie sante, si mette a fuoco pian piano l’immagine della Sacra famiglia, un’icona che si è molto diffusa in questi anni in Italia. Gesù Bambino appare tra le braccia di Giuseppe e Maria. Viene alla mente la Familiaris consortio di Giovanni paolo II, l’enciclica sulla famiglia di cui questa icona sembra essere l’emblema.

Le icone di Maria, Giuseppe e Gesù, con il loro taglio fotografico a mezzo busto, diventano la carta d’identità non solo della famiglia cristiana ma anche della santità cattolica e ortodossa. Non più Madonne con Bambino come per secoli l’arte ci ha abituati ma la presenza di Giuseppe, l’ombra del Padre (dal titolo del romanzo di Dobraczynski), cui papa Francesco ha dedicato la sua ultima Lettera apostolica Patris corde. Gesù è figlio di Dio e figlio del falegname di Nazaret. Giuseppe è il padre putativo, custode di Maria e del Bambino. Maria è la madre di Dio. Gesù è vero uomo e vero Dio insieme. Ogni icona di un santo deve imitare quel Volto.

Se Dio si è fatto uomo l’uomo può diventare come Dio (Atanasio d’Alessandria) attraverso l’obbedienza. I santi sono stati gli “obbedienti” per eccellenza. Nelle icone risplendono le loro virtù. Basta guardarli in faccia: ci attirano al Bene con i loro grandi occhi, dilatati a dismisura, fissi su noi e su Dio. Uomini obbedientissimi come il Battista, che di sé diceva: Lui deve crescere, io diminuire. I santi delle icone sono uomini e donne della terra che hanno rinunciato alla terra per il cielo. Li ritroviamo in cielo e, sulla terra, per noi, nei volti trasfigurati nelle icone. C’è una Luce speciale in quei volti, la Luce della trasfigurazione sul monte Tabor, dove Gesù apparve ai discepoli con le vesti candide come neve. Per vedere quella Luce accediamo un cero o una candela davanti a un’icona, per esempio quella di san Nicola, il santo più popolare sia in Oriente che in Occidente. Vescovo della città di Myra, nell’attuale Turchia, le sue ossa furono trafugate e portate a Bari. Guardiamolo in faccia, quest’uomo che fu difensore delle fede, taumaturgo ed esorcista: ecco la sua fronte alta, stempiata, il volto serio e corrucciato segnato da fitte rughe, la stola ornata di croci, la mano destra benedicente, la sinistra che regge il vangelo. Come avrà fatto san Nicola da Bari a risalire nei paesi nordici per diventare Santa Claus e poi finire in America diventando il re della Coca Cola? Certo noi, sia cattolici che ortodossi, onoriamo la sua icona come una reliquia ripetuta innumerevoli volte in icone a mezzo busto o addirittura solo nel volto, come una maschera funebre preziosa; o ancora a figura intera, con le storie della sua vita in cornice, storie di carità, doti fatte recapitare a povere fanciulle, salvataggi di naufraghi, liberazione di prigionieri ingiustamente accusati.

Sono tanti i volti dei santi che hanno trovato posto nell’universo delle icone: i primi papi san Pietro e san Clemente, il primo diacono e martire santo Stefano vestito con un candido stikarion e una piccola stola detta orarion per la preghiera. Come in una foto ricordo i santi Padri della Chiesa orientale, sono rappresentati a gruppi di tre o quattro: Giovanni Crisostomo, Basilio il Grande, Ignazio di Antiochia, Giacomo di Gerusalemme, Gregorio il teologo. Accanto a quest’ultimo, a dimostrazione del posto che la donna ha sempre avuto nella Chiesa, ecco santa Parasceve nell’abito rosso del suo martirio e con la croce in una mano. Tra le altre sante martiri della Chiesa orientale ecco Marina, Lucia, Anastasia e Caterina d’Alessandria che subì una lunga e dolorosa passione prima di essere decapitata. Le sue ossa riposano sul monte Sinai, nell’antichissimo monastero che porta il suo nome e dove si conservano manoscritti e icone tra le più antiche e preziose.

Un altro filone di santità è costituito dagli anacoreti del deserto di Tebe (la tebaide egiziana), esperienza che poi si diffuse nel complesso del monte Athos in Grecia, e da qui, con la conversione dei popoli slavi al cristianesimo, quel modello di santità si trapiantò nei grandi centri spirituali della Russia pre-mongolica: Vladimir, Kiev, Pskov. Le icone russe abbandonano i tratti ieratici della spiritualità bizantina per assumere i tratti più umani della cultura slava. Il primo monastero russo fu quello della Lavra delle Grotte di Pskov, creato sul modello dell’Athos visitato a più riprese dai suoi fondatori). Qui, alle grotte di Kiev, si formano i primi “folli per Cristo”, una forma di santità molto particolare che assomiglia a una pazzia dissimulata per ottenere negli altri il disprezzo e così ottenere l’abbandono totale del “folle” a Dio.

Nelle icone la figura carismatica dello staretz (maestro) e dell’igumeno (abate) si mantiene costante fino ad oggi. Sergio di Radonez (XIV secolo) e Serafino di Sarov (XIX secolo) abbracciano sei secoli di vita russa e sono tra gli staretz più amati: i volti incappucciati, i corpi cancellati sotto i lunghi mantelli scuri da cui escono le mani che stringono il tipico rosario di corda intrecciata. Ogni nodo è un’invocazione a Gesù. L’esperienza della preghiera di Gesù è ben descritta nel libro Racconti di un pellegrino russo. La prima icona di questi uomini di Dio fu “Andrea il folle”: le vesti stracciate, seminudo, i capelli arruffati, lo sguardo teso di chi non cerca altro che il volto di Dio. Con Andrea siamo a Costantinopoli, ma la spiritualità dei “folli” trovò terreno fertile soprattutto in Russia, dove tra centinaia, si contano almeno una trentina di canonizzazioni. Tra questi l’icona di Basilio il Beato, ci mostra il suo corpo nudo e filiforme il profilo che sembra quello di un verme appena uscito dalla terra (“Sono verme e non uomo” Isaia, canto del servo di Jhavhé). Basilio fu sepolto a Mosca, nella chiesa che porta il suo nome, al Cremlino), Se nell’icona il suo corpo è spregevole, il capo arruffato di Basilio raggiunge il cielo da cui si affaccia per lui la Santissima Trinità in forma di tre pellegrini seduti a mensa.

Questi tre pellegrini angelici ci introducono nella creazione teologica e artistica più grande e originale di tutta la Russia. Il grande cantore della Trinità fu san Sergio di Radonez, il san Francesco russo, che fondò nei boschi a una cinquantina di chilometri da Mosca un grande monastero, la Lavra della Santa Trinità. Il monaco Andrei Rublev tradusse fedelmente in forme e colori questo grande mistero nella sua grande famosa icona della Trinità. Per questo Andrej Rublev fu il primo pittore di icone ortodosso riconosciuto dalla Chiesa cattolica: nel 1988 Giovanni Paolo II lo ha canonizzato. Dopo che il grande stendardo con l’immagine di Andrej Rublev, è stata esposto in piazza san Pietro a Roma, possiamo davvero dire che la Chiesa cattolica e ortodossa si sono davvero unite. E noi, insieme agli ortodossi possiamo nelle icone, “contemplare ogni giorno il volto dei santi, (d’Oriente e d’Occidente) per trovare riposo nei loro discorsi”.