Famiglia Cristiana n° 06 - febbraio 2006

LA BASILICA CHE FA DA PONTE TRA ORIENTE E OCCIDENTE

MERAVIGLIOSA SAN MARCO

Completato il restauro della facciata nord della grande basilica marciana, sede patriarcale dal 1807, è il momento di visitarla e conoscerla nel suo rinnovato splendore.

Una visione d'Oriente. Di quell'Oriente che Giovanni Paolo II ci ha insegnato a considerare il secondo prezioso polmone con cui respira la cristianità. Nell'infilata prospettica di una delle più belle piazze del mondo, arrivando dalle calli, dai sottoportici e dai canali di una delle più belle città del mondo, la facciata di san Marco, nella luce bionda della laguna, si rivela davvero una meravigliosa, fantastica visione. O uno scrigno prezioso disceso chissà come dal cielo, trasportato forse da quelle cinque cupole fiammeggianti che sembrano mongolfiere; oppure trainato dai quattro cavalli di bronzo che svettano dalla balaustra in facciata.

Questi quattro cavalli greci o romani, datati tra IV secolo a.C e II d.C (copie eseguite a Milano nel 1982, mentre gli originali in bronzo dorato si trovano all'interno della basilica) appartenevano un tempo al gruppo scultoreo della quadriga con l'imperatore; ma, da più di 10 secoli posizionati sotto la statua di san Marco che li domina, rappresentano la missione di Venezia: essere baluardo e difesa dell'Occidente.

Nel 1204, con la quarta crociata e la conquista veneziana di Costantinopoli, insieme ai cavalli giunsero a Venezia dall'antica capitale dell'impero bizantino i marmi preziosi che rivestono la basilica, l'antichissima icona della Madonna Nicopeia (cioè della vittoria), gli smalti della Pala d'Oro (l'oggetto più prezioso in basilica); e poi reliquari, sculture e croci. Tutte queste ricchezze raccolte in san Marco ne fanno davvero uno scrigno prezioso, non piovuto per caso dal cielo ma trasportato pezzo pezzo dalle galere veneziane su quello stesso mare che vide passare quattro secoli prima (nell' 828) le reliquie del corpo di san Marco. Trafugato per ordine del doge da Alessandria d'Egitto da una delegazione veneziana, che nascose le ossa sotto la carne di maiale per ingannare i musulmani (come si vede nella lunetta destra della facciata).

La basilica di san Marco restò "cappella" del doge fino al crollo della Serenissima sotto Napoleone. Nel 1807 la sede patriarcale passò da san Pietro al Castello a san Marco, che continuò così a tramandare attraverso la bellezza quell'eredità di cui aveva incarnato per secoli la ricchezza e il potere; aggiungendo al compito di difesa dell'Occidente quello positivo di porta aperta sull'Oriente.

Un museo all'aperto

Si sono completati nel dicembre scorso i lavori di restauro della facciata di san Marco, iniziati 25 anni fa: conclusa nel 1997 la facciata principale ovest e nel 2002 la facciata sud verso palazzo Ducale, oggi risplende anche la facciata nord, attigua al palazzo Patriarcale (che rimarrà invece coperto per due anni dalle impalcature per una riqualificazione dei suoi spazi interni). La facciata nord, con la sua straordinaria porta dei Fiori, è un vero museo all'aperto: capitelli, altorilievi, fregi bizantini e romanici rivelano l'affascinante convivenza di linguaggi e culture diverse.

La sorprendete policromia dei suoi marmi ripuliti rimanda, come una musica polifonica, al rivestimento dell'intera basilica. Marmi antichi gerarchicamente ordinati secondo il significato dei loro colori. Il porfido rosso indicava la sacralità del potere imperiale: così i tetrarchi della facciata sud, le colonne del portone centrale e, all'interno, del pulpito di destra, da cui il doge riceveva l'ovazione dai veneziani. Poi la breccia verde di Tessaglia, il marmo bianco e nero d'Aquitania, il marmo proconnesio (dalla cava imperiale dell'attuale isola di Marmara, sul mar Nero), che con le sue venature grigie accostate simmetricamente compone piacevoli decorazioni. I mosaici sulla facciata principale annunciano la splendida visione di luce che ci coglierà all'interno.

Già il bellissmo atrio (nartece) con le sue cupolette con storie della Genesi e dell'Esodo ci introduce al ciclo musivo che ricopre nella basilica ogni superficie lasciata libera dai marmi. Le pareti, gli arconi, i sottarchi, i pennacchi, le cinque cupole si affollano di personaggi e storie sacre. Il ciclo iconografico che abbiamo sotto gli occhi è uno dei più belli e completi esistenti. Il percorso di lettura va dall'abside alla facciata, secondo il tragitto del sole che rappresenta Cristo-luce vera. Le immagini fluttuano come icone nella spazialità infinita del fondo oro, così astratto e spirituale, così diverso dallo spazio occidentale cui ci ha abituato la prospettiva rinascimentale.

Riflettori puntati sul mistero

Nei pochi minuti che servono ai potenti riflettori per accendere di luce l'oro dei mosaici ci si rende conto di entrare in un'altra realtà, e di cosa significhi la mistica della luce del pensiero teologico orientale: Dio è luce ed energia increata. Si capisce anche lo stupore dei viaggiatori tedeschi e inglesi del 700-800, che nella basilica di san Marco incontravano per la prima volta "quella luce che viene da Oriente" e che risplende come un "altro sole". Lo storico dell'arte John Ruskin scriverà di san Marco: "Nessuna città ha avuto mai una Bibbia più gloriosa. Il libro-tempio brilla da lontano come una stella dei Magi".

Monsignor Meneguolo, delegato patriarcale e procuratore di san Marco, ci accompagna ora nel luogo più sacro e suggestivo della basilica: la cripta. Qui, sfiorando con una mano la lastra che racchiude il soprastante corpo di san Marco (le cui reliquie dal 1835 riposano nell'urna sotto l'altare maggiore, davanti alla grande Pala d'oro), siamo alle radici della basilica marciana, che fu consacrata nell'832, incendiata nel 976, ricostruita e consacrata nel 1094. L'attuale cripta fu invasa dalle acque nel 1500 e da allora rimase murata fino al 1850, anno in cui si riuscì ad isolarla con iniezioni di cemento. Il pavimento rialzato di 70 centimetri taglia alla base la fitta foresta di colonne delle tre navate, rendendo l'ambiente ancora più suggestivo. Nel 1966 l'alluvione la riempie nuovamente d'acqua fino all'altezza dei capitelli: mons. Meneguolo ricorda quel giorno in cui raggiunse la basilica "navigando" su un'instabile tavola di legno. Ritiratasi l'acqua alta si procedette certosinamente, con infiltrazioni di resine tra mattone e mattone, a impermeabilizzare la cripta, che venne riaperta nel 1995, anche se non è visitabile dai turisti.

Il procuratore di san Marco ci fa notare come si evitò di costruire un unico grande rivestimento - tipo vasca in cemento -, perchè se si fosse eliminata quella provvidenziale mistura di fango e acqua salata che avvolge da secoli le palafitte su cui poggia san Marco, esse marcirebbero in breve tempo e la basilcia sprofonderebbe nel nulla. Ogni veneziano sa infatti che l'acqua è una potente alleata con cui deve convivere in una lotta che dura da più di mille anni.

Ecco perché san Marco - come tutta Venezia - deve essere lasciata "galleggiare" su questa trama di palafitte, fango e acqua. è il sogno di Venezia e la sconfitta di quella "sua morte" così tante volte annunciata.