Famiglia Cristiana n° 10 - marzo 2005

L'URLO DELL'ARTE

Torino, Aosta, Rovereto e Roma: quattro esposizioni ripropongono il tema del male, del dolore, della violenza e della bestialità.

Due avvenimenti hanno segnato l'inizio del nuovo secolo: il crollo delle Torri Gemelle di New York (11 settembre 2001) e la tragedia del maremoto in Indonesia (26 dicembre scorso); riproponendo con forza un interrogativo che da sempre inquieta il cuore dell'uomo: perché esiste il Male e qual è la sua origine?
Ed è un indubbio segno dei tempi - e di una sensibilità che sta crescendo nell'uomo contemporaneo - il fatto che in questo periodo ben quattro mostre d'arte affrontino, pur con sfumature e tagli differenti, lo stesso tema del Male: nel disagio e nella disperazione esistenziale (Munch, a Roma); nell'ambiguità della bellezza (Il bello e le bestie, a Rovereto); nell'antiromanticismo e nei poeti maledetti (Rodin e gli scrittori, ad Aosta); e infine in una esplicita, grande retrospettiva sul male tout court (Il Male, a Torino), curata da Vittorio Sgarbi.

Sgarbi e l'enciclopedia del Male

La mostra Il Male, aperta alla Palazzina di Caccia Stupinigi dal 19 febbraio al 26 giugno (catalogo Skira), abbraccia attraverso 400 opere tutto il percorso dell'arte occidentale, formando una sorta di grande enciclopedia del Male estesa alla fotografia, al cinema e al fumetto (dell'orrore ), con incursioni (in catalogo) nei più efferrati fatti di cronaca nera. Partendo da Beato Angelico (Cristo coronato di spine ) e Antonello da Messina (Ritratto di uomo) - e passando dal crudo (e crudele) realismo lombardo di Caravaggio e Artemisia Gentileschi alle Vanitas e ai Memento mori del Seicento -, la mostra ci accompagna fino agli incubi della pittura visionaria e simbolista del Sette-Ottocento (Füssli, Goya, Blake).
Per farci approdare infine alle tristi e desolate spiagge dell'angoscia esistenziale del Novecento - il secolo di Freud e dell'inconscio - in cui l'arte (e chi la fa) diventa prigioniera di sé stessa e dei propri fantasmi. Dante Alighieri, invece, nel suo saldo realismo cristiano, sapeva bene che per scendere nei gironi dell'Inferno non basta l'arte, occorre una guida sicura: Virgilio, cioè la ragione; e per salire in Cielo occorre un'altra guida: Beatrice, cioè la fede. Sì, l'arte può essere una guida; ma può anche portare alla disperazione. La bellezza è ambigua: Satana non era forse il più bello tra gli angeli? E il volto stesso di Cristo - la "bellezza che salverà il mondo" - è di una bellezza crocifissa, sfigurata.

Rodin e "I fiori del male"

Nell'arte il tema della lotta tra il bene e il male ha attraversato i secoli e ha affascinato un grande scultore francese come Auguste Rodin, cui è dedicata la mostra Rodin e gli scrittori: Dante, Balzac, Hugo e Baudelaire (Aosta, Saint Benin, aperta fino al 3 aprile, catalogo De Agostini - Rizzoli). Rodin volle far rivivere nella sua opera più colossale e incompiuta - La porta degli Inferi - i personaggi dell'Inferno dantesco con le loro passioni in un groviglio inestricabile di 227 sculture tra cui, indimenticabili, quelle di Paolo e Francesca e del conte Ugolino. Rodin fu sedotto anche dalla lettura di Les Fleurs du Mal di Charles Baudelaire di cui illustrò l'edizione del 1857, esposta in mostra.
Se Dante rappresentò per Rodin il punto di partenza del suo viaggio nel regno del Male (un viaggio che faceva impallidire lo stesso Dante, spingendolo a cercare conforto tra le braccia di Virgilio), diciotto secoli dopo lo scultore vuole guardare in fondo all'abisso dell'animo umano: nel monumento a Balzac (l'autore della Comédie Humaine) crea una scultura terribile che Brancusi definì "l'indiscutibile punto di partenza della scultura contemporanea"; ma che i contemporanei definirono "feto colossale", "larva informe" e "sacco di carbone". Rodin non aveva fatto altro che scavare nella psicologia di Balzac fino a farne emergere gli aspetti forse meno piacevoli e celebrativi, ma più fedeli alla sua magmatica personalità. Facendo nascere nell'arte la possibilità del brutto "espressivo".

Munch e il grido dell'angoscia

Nello stesso periodo molto più a Nord di Parigi, nelle fredda Norvegia, Edvard Munch, pittore ossessionato dalla malattia e dalla morte (perde la madre a soli cinque anni, a quattrodici la sorella) lancia attraverso la pittura un urlo tremendo che diventerà il manifesto dell'espressionismo; e che attraverserà tutto il Novecento, diventando l'icona stessa del male del secolo: l'angoscia di vivere.
In questa piccola tavola di 83.5 centimetri per 66, la figura umana sembra deformarsi in un feto che si tura le orecchie per non sentire l'urlo di dolore, l'angoscia di una natura fredda e ostile che lo circonda: un feto appunto, che non ha un grembo, né una casa sicura nel mondo. L'urlo di Munch, replicato in quattro versioni (delle tre di proprietà del museo di Oslo una è stata rubata nell'agosto del 2004), nel nostro immaginario collettivo ha sostituito la più serena e rassicurante Gioconda di Leonardo.
L'ampia mostra retrospettiva che Roma dedica a Edvard Munch (Complesso del Vittoriano, 11 marzo - 19 giugno, catalogo Skira) raduna un centinaio di capolavori, dagli oli alle opere di grafica (tra cui in l'incisione L'urlo), provenienti dalla Norvegia, dalla Finlandia e dalla Damimarca. Munch così descrive quel momento terribile vissuto: "Il sole tramontava, il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue... c'erano sangue e lingue di fuoco, i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura... e sentii un grande urlo infinito che attraversava la natura".
è il senso nordico di angoscia e solitudine dei film di Bergman (Sussurri e grida) e dei drammi di Ibsen. Munch, tra il 1885 e il 1908, venne in Francia, a Parigi; ma, come egli stesso scrive, a causa dei suoi "brucianti conflitti spirituali ed esistenziali" non trovò soddisfazione nella pittura impressionista, passò al simbolismo, assimilò il primitivismo di Van Gogh e Gaugin; arrivò infine a semplificare la figura umana chiudendola in quella linea sinuosa e inquietante che ben conosciamo; e che sottolinea e amplifica i suoi deliri e le sue sofferenze psichiche.
Nelle opere dell'artista esposte a Roma emerge anche il tema della donna angelo e demone, della verginità, del peccato e del senso di colpa: tentazione, ossessione, corto circuito amore-morte caratterizzano la sua ricerca artistica.

L'uomo, l'arte e la bestia

La mostra al Mart di Roverto Il Bello e le bestie (aperta fino all'8 maggio, catalogo Skira) parte dalle immagini di animali reali e fantastici che dall'antichità si affacciano nei bestiari medievali, dove vengono interpretati in senso allegorico secondo la teologia cristiana. La mostra affronta il tema attualissimo della distinzione - e della confusione - tra uomo e animale; confine che il cristianesimo aveva posto saldamente e che una lettura distorta dell'evoluzionismo di Darwin ha messo in discussione.
Centauri e fauni, ninfe e sirene, mistici liocorni e pellicani amorosi ripopolano le foreste del romanticismo d'oltralpe, risvegliando forze di una natura che il cristianesimo aveva creduto di dominare. Un nuovo paganesimo esalta ciò che è deforme, animalesco e violento: nei Minotuari di Picasso, l'uomo crede di trovare la propria liberazione nell'istintività; o, come nelle Se nella prima sezione la mostra Il Bello e le bestie affronta il tema dell'Alterità (tra uomo e animale appunto), nella seconda approfondisce quello della Prossimità: mostri e ibridi nell'arte ricordano il tema della sperimentazione genetica. Si va dalle tele di Arcimboldi - ibridi umani costruiti con ambigue forme vegetali - agli uomini-tacchino di Alberto Savino e ai pesci umanizzati di Magritte. Il catalogo della mostra offre anche riflessioni filosofiche: se per Nietzche l'uomo è un "magnifico animale", Heidegger denuncia il rischio di antropomorfizzare l'animale e animalizzare l'uomo. La psicologia moderna apre nuove possibilità, ma anche nuove ferite nel cuore dell'uomo (e dell'artista) che sembra aver dimenticato come solo il libero arbitrio lo renda davvero uomo, distinguendolo dall'animale. La stimolante mostra di Rovereto tocca registri anche più piacevoli, come la satira sociale, il grottesco, il comico, il meraviglioso; e il fiabesco della pittura di Chagall.