Famiglia Cristiana n° 10 - marzo 2010

SPECIALE MOSTRE

SCHIELE, QUEI CORPI TRISTI IN UN MONDO IN CRISI

Allievo di Klimt, ne divenne l'antitesi pittorica, opponendo alla sua gioiosa fisicità segni nervosi e allucinati. Specchio di una società alla vigilia della Grande guerra.

I capolavori del Leopold Museum di Vienna, per la prima volta in Italia, sono l'occasione per accostarsi all'opera di Egon Schiele (1890-1918), pittore austriaco dal duro tratto grafico che rappresenta, insieme a Oscar Kokoschka (1886-1980) e Richard Gerstl (1883-1908), anch'essi co-protagonisti della mostra, il movimento secessionista viennese nato da Gustav Klimt (1862-1918).

Agli inizi del Novecento e prima dello scoppio della Grande guerra, questi pittori sottolineano la fisicità dei corpi e, nello stesso tempo, scavano nelle profondità e nelle ossessioni dell'animo umano, analogamente al loro connazionale Sigmund Freud che indaga la psiche con gli strumenti della psicanalisi.
Ne nasce una corporeità triste e allucinata, che la sensualità non riesce a riscattare. Schiele tratta i corpi umani e anche il paesaggio - per esempio Case con bucato colorato (1914) - con un segno grafico duro e sofferto, che ricorda le spigolosità e le deformazioni della pittura gotica. Si inaugura così la stagione dell'espressionismo austriaco, viennese in particolare. Le opere di Schiele sono messe a confronto con quelle dei suoi contemporanei Gerstl e Kokoscha, ma soprattutto con quelle del suo grande maestro e amico Gustav Klimt (due opere ad olio e dieci disegni) a cui fu inizialmente legato; ma da cui, poi, si staccò, divenendone, in pittura, quasi l'antitesi.

Alla raffinata e scintillante tavolozza del caposcuola della Secessione viennese, alla sua raffinata e gioiosa corporeità rivestita di preziosità bizantine (il padre di Klimt era orafo), Schiele contrappose la sua pittura nervosa e disincantata, terrea e tenebrosa, fino ad arrivare ad una allucinata esasperazione, a una macabra rappresentazione di stati d'animo estremi.
D'altronde, la breve vita di Egon Schiele fu segnata dalla malattia del padre che morì quando l'artista aveva solo quindici anni. L'amico pittore Gustave Klimt mancò il 6 febbraio del 1918 e Schiele si recò presso di lui per eseguirne alcuni ritratti funebri. Il 19 ottobre di quello stesso anno, al sesto mese di gravidanza, morì di spagnola Edith Harms, la donna che era stata per anni la sua modella e che aveva sposato nel 1915; neppure un mese dopo, il 3 novembre, anche il pittore muore contagiato dalla stessa malattia.

La vita di Schiele non fu certo esemplare. Fu perseguitato dalla polizia per avere costretto le modelle ad assumere pose oscene. Specchio di un'epoca, la sua pittura sottolineò, con la drammaticità di un segno grafico essenziale e la monocromaticità di toni terrosi, lo stato di tristezza, di abbandono e di mancanza di valori della scintillante società viennese alla vigilia della prima guerra mondiale. Nell'Autoritratto con alchechengi (1912) l'artista ci appare scarnificato e allucinato, come i suoi Due eremiti (sempre del 1912), dove il tema, anziché religioso, sembra essere quello degli Uomini vuoti di T. S. Eliot: Siamo gli uomini impagliati. / Che appoggiano l'un l'altro. / La testa piena di paglia.

Schiele e il suo tempo
Milano, Palazzo Reale, fino al 6 giugno
Informazioni: tel. 02/92.80.00.375
www.comune.milano.it/palazzoreale