Famiglia Cristiana Web - marzo 2012

DON GIUSSANI, UN CARISMA IRRIDUCIBILE

Dall'ingresso in seminario a 11 anni al riconoscimento di Comunione e Liberazione nel 1982. Nella sua lezione più celebre, lo scandalo del cristianesimo: "Dio si è fatto uomo".

Il percorso del suo pensiero: Dio, Cristo, la Chiesa

"Ingenua baldanza". Se c'è un'espressione che definisce la personalità di un uomo come Luigi Giussani in tutta la sua carica umana è proprio questa espressione che egli ripeteva ai suoi amici e a chiunque lo ascoltava: un invito a buttare, come si dice, il cuore al di là dell'ostacolo. Don Giussani ha scritto molto ma di lui ricordo soprattutto la voce. I suoi scritti sono spesso la trascrizione del suo "parlato", gli esercizi spirituali tenuti ai giovani piuttosto che i testi delle sue lezioni al liceo classico Berchet e all'Università Cattolica, dove aveva la cattedra di Introduzione alla teologia. Giussani era e rimane nel ricordo quella voce che sfidava la vita e le cose, provocando al cambiamento con il suo carisma dirompente che si trasmetteva come un'onda d'urto, uno tsunami si direbbe oggi. E l'onda d'urto era determinata proprio da quella sua voce roca e inconfondibile che d'improvviso, dai toni bassi, s'impennava in una nota acuta che penetrava le menti e i cuori.

Lo seguivo nelle sue lezioni di teologia in Università Cattolica negli anni Settanta e mi colpiva sempre quel suo rovesciare gli schemi. La sua lezione più famosa, visualizzata poi in un diagramma disegnato col gesso sulla lavagna, spiegava la differenza tra il cristianesimo e le altre religioni. Tutte le religioni erano come tante frecce tese verso l'ipotesi-Dio, la "X"; e Gesù era quell'unica freccia che scendeva dal cielo rovesciando la prospettiva. Questo lo scandalo del cristianesimo: Dio si è fatto uomo. Don Giussani accompagnava lo schema raccontando una storia affascinante: in una grande pianura tanti uomini costruivano edifici sempre più alti per tentare di raggiungere il cielo; a un certo punto tra di loro si presenta un uomo a lodare la dignità del loro sforzo; poi, con grande sorpresa di tutti, quest'uomo rivelava che Lui stesso è la "X", la risposta alla loro ricerca.

Nasce da qui il testo Il senso religioso. E nasce un altro testo, All'origine della pretesa cristiana in cui Giussani scrive: "Se c'è un delitto che una religione può compiere è quello di dire "io sono l'unica strada". E' esattamente ciò che pretende il cristianesimo". Nasce qui l'accento e l'attenzione che don Giussani pone sul valore dell'Incarnazione, cuore e centro del mistero cristiano. E nasce qui la sua passione per la figura di Maria: nel grembo di quella ragazza di 16-17 anni inizia l'avvenimento centrale della storia umana! Così Giussani invitava a recitare ogni giorno la preghiera dell'Angelus, per "fare memoria" di quanto accaduto quel giorno a Nazareth.

Un altro aspetto che mi colpiva della personalità di don Giussani era l'attenzione posta al tema dell'affettività. Negli anni Sessanta fu tra i primi a portare in vacanza insieme maschi e femmine quando negli oratori la divisone era ancora netta. Affrontava il tema dei rapporti tra ragazzi e ragazze da educatore, come penso avrebbe fatto don Bosco cent'anni prima. Anche qui era la sua voce a dare sicurezza ai giovani che come me lo ascoltavano negli anni belli ma pieni di dubbi della giovinezza. Lo ricordo agli esercizi spirituali degli universitari a Riva del Garda richiamare noi giovani a non essere, nei rapporti affettivi, come chi inizia a costruire una casa sulla collina e poi l'abbandona e ricomincia poi su un'altra collina e così via, seminando dietro di sé una fila di rapporti lasciati lì come ruderi. Nel clima culturale di quegli anni Settanta in cui si preparavano i dibatti su divorzio e aborto (e Giussani diceva che poi sarebbe arrivata l'eutanasia) quelle parole dette con l'affetto e l'autorevolezza di un padre davano sicurezza. Si sentiva nel tono della voce che di uno così ti potevi fidare. Di chi altrimenti?

Giussani parlava dei rapporti affettivi come di un seme, una chiamata, una vocazione. Quei rapporti non potevano essere lasciati in balia del sentimento. Nei suoi interventi cercava ed esigeva da noi le ragioni su tutto. E il significato di ogni parola. La parola sentimento, per esempio, diventava oggetto delle sue lezioni universitarie: ne esaminava il significato all'interno del processo umano della conoscenza e paragonava il sentimento a una lente preziosa che aiuta a vedere la realtà ma nello stesso tempo la ingrandisce e deforma.

Giussani vedeva nel rapporto tra uomo e donna l'apertura verso l'infinito. Così una sera ci raccontava dal palco del cinema Gonzaga a Milano del suo incontro con una coppia di innamorati che si baciavano dietro l'angolo. Invece di scansarli il prete brianzolo rivolge loro la domanda: "Cosa c'entra ciò che state facendo con le stelle?" Don Giussani era così, "a tempo e fuori tempo" direbbe san Paolo, insisteva, non si lasciava sfuggire occasione per educare, cioè "tirare fuori" il meglio dai giovani che invitava a un rapporto critico ma costruttivo con il passato e la tradizione. Non bisognava buttare via la tradizione ma vagliarla, passarla al crivello, al setaccio della critica. Paragonava la tradizione a un sacco pieno che i giovani si trovano sulle spalle senza conoscerlo; per diventare uomini quel sacco va portato davanti agli occhi, il contenuto va rovesciato, esaminato vagliato. Esaminare ogni cosa e trattenere quanto c'è di buono. A un amico convinto marxista Giussani regalò l'intera opera Il capitale di Carl Marx come invito sincero ad approfondire e andare a fondo delle ragioni di una tradizione, di un pensiero, di un'ipotesi sulla realtà. Tutto il suo sforzo educativo era insegnare un metodo per liberare l'uomo dal potere incombente del mondo e della mentalità comune.

Il percorso che nasceva della sue lezioni si poteva sintetizzare in tre parole: Dio, Cristo, la Chiesa. Ovvero: il senso religioso come ricerca; la scoperta di Cristo come risposta al bisogno di senso dell'uomo; la Chiesa come luogo in cui Cristo diventa compagnia concreta, incontrabile per tutti. Per don Giussani l'uomo protagonista della storia è il mendicante: "Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo". Pronunciò queste parole con la sua voce roca nel maggio del 2008 quando si presentò già anziano e malato in ginocchio in piazza san Pietro davanti a Giovanni Paolo II e alla folla radunata per l'incontro con i Movimenti. Fu un'immagine indimenticabile leggere nei suoi occhi, in quel momento, tutto l'affetto e la devozione per il Santo Padre e quell'ingenua baldanza che lo avevano condotto fin lì a presentare il frutto di una vita intera spesa al servizio della Chiesa.

Se nei primi anni di seminario Giussani faceva il suo ringraziamento alla comunione recitando i versi di Giacomo Leopardi (Alla mia donna, Canto di un pastore errante dell'Asia) negli ultimi anni della sua vita amava ripetere l'Inno alla Vergine di Dante come preghiera. Quei testi suscitavano in Giussani, sensibile all'arte, alla poesia, alla letteratura, quel desiderio di bellezza di cui parlò il cardinal Ratzinger durante l'omelia funebre nel Duomo di Milano: "Don Giussani sin dall'inizio era toccato, anzi ferito, dal desiderio della bellezza, non si accontentava di una bellezza qualunque, di una bellezza banale: cercava la Bellezza stessa, la Bellezza infinita; così ha trovato Cristo, in Cristo la vera bellezza, la strada della vita, la vera gioia". Oggi che a sette anni dalla sua morte, sotto le stesse volte del Duomo don Juilan Carron suo successore chiede all'arcivescovo Angelo Scola di aprire la causa di beatificazione possiamo immaginare il suo volto baldanzoso sorridere con umiltà schietta e sincera.