Famiglia Cristiana n° 14 - aprile 2007

LA SCENEGGIATRICE BARBARA NICOLOSI RIVELA IN ANTEPRIMA

CRISTIANI A HOLLYWOOD

Un film su Escrivà de Balaguer. Una scuola dove coniugare cinema e spiritualità. E quella volta che Mel Gibson...

Il successo di film positivi come The Passion e Le cronache di Narnia - o polemici come Il Codice da Vinci - ci dice che a Hollywood il film d'ispirazione religiosa funziona. Fa audience, certo, ma rivela anche che in America qualcosa sta cambiando. La trama del prossimo colossal? La vita del fondatore dell'Opus Dei, il beato Josè Maria Escrivà de Balaguer. Ce lo rivela la sceneggiatrice Barbara Nicolosi, di Los Angeles, che incontriamo a Milano alla presentazione di Cristiani a Hollywood (edizioni Ares). Il suo libro raccoglie le riflessioni di sceneggiatori, attori e produttori che, pur appartenendo al dorato mondo hollywoodiano, rivelano interesse ed entusiasmo per la bellezza in senso cristiano.
- Ci parli innanzitutto di questo nuovo film di cui ha scritto la sceneggiatura...
"Le riprese inizieranno a settembre, il titolo sarà The Work, L'Opera, prodotto dalla Immi pictures, la regia di Roland Joffrè, l'autore di Mission".
- Cosa l'ha colpita della figura del fondatore dell'Opus Dei e perché questo titolo, L'Opera?
"Il pensiero fisso del beato Escrivà de Balaguer è sempre stato l'opera, la santità del lavoro umano. Da giovane egli pensava: dobbiamo fare un grande lavoro per Dio. Ma la verità più profonda è un'altra: Dio non ha bisogno di noi, ciò che conta non sono le opere ma che noi lasciamo "lavorare" Dio nei nostri cuori. Nel finale il giovane prete, in fuga dalla guerra civile spagnola, orami all'estremo delle forze, accetta di essere portato a braccia oltre la frontiera dei Pirenei da alcuni giovani. Questo mi colpisce: l'umiltà di accettare aiuto è la vera vittoria, perché è Dio che fa la storia".
- Il film si ferma ai primi anni della sua missione?
"Sì, il film racconterà la giovinezza di Escrivà de Balaguer, la fondazione dell'Opus Dei nel 1928, la guerra civile spagnola del 1936, i due anni di clandestinità a Madrid, la fuga dalla Spagna rossa".
- Quale motivo l'ha spinta ad accettare questo progetto?
"Oggi in America esiste un fortissimo conflitto tra destra e sinistra: le due parti si demonizzano a vicenda. Anche prima della guerra civile in Spagna c'era lo stesso clima di odio che, nella sceneggiatura, ho espresso nell'immagine di un sasso lanciato contro la vetrata di una chiesa, che segna l'inizio del conflitto".
- Quindi L'Opera rappresenta una risposta all'odio?
"Sì, sono molto interessata a questo tema e vorrei che il film risultasse una specie di avvertimento per l'America, un invito agli uomini di buona volontà perché intervengano, come fece Escrivà de Balaguer, comportandosi da cristiano in mezzo a un clima di odio feroce".
- Parliamo del suo libro Cristiani a Hollywood: due termini che sembrano in contraddizione...
"No, è la ragione per cui l'abbiamo scritto: sfatare il mito che Hollywood sia il regno del demonio, la fonte di tutti i mali; abbiamo voluto dimostrare che qui da noi a Los Angeles lavorano anche persone che credono e che fanno cinema di qualità; il problema non è l'ambiente, i film riflettono i valori di chi li produce. Il vero problema è che non ci sono più cristiani educati a fare film che riflettano i valori in cui credono".
- Così è nata Act One, la scuola per sceneggiatori che lei ha fondato e dirige...
"Sì, ho letto per lavoro così tante brutte sceneggiature scritte con le più buone intenzioni che mi sono detta: avanti così non si può andare, il cinema d'ispirazione religiosa rischia il suicidio. Allora, con altri colleghi di varie confessioni, è nato Act One, una vera e propria scuola per sceneggiatori. Il programma è all'avanguardia e i nostri allievi vengono inseriti nella produzione. Nel giro di qualche anno si vedranno i risultati".
- A proposito del linguaggio cinematografico lei scrive: "L'aspetto visivo è la salvezza del messaggio". Come si devono armonizzare testo e immagine?
"Soprattutto in un film a contenuto spirituale devi trovare delle componenti visive, delle immagini che funzionino poeticamente; se si parla di cose spirituali con un linguaggio unicamente verbale, alla fine il risultato è superficiale, letterario, banale. Bisogna creare, invece, situazioni paradossali, accostando realtà tra loro contrastanti".
- Per esempio?
"Nel film su Escrivà ho previsto una scena in cui, in piena guerra civile, il trentenne sacerdote incontra a Madrid un giovane comunista che si offre di aiutarlo a mettersi in salvo; ma prima vuole ricevere il battesimo. Escrivà vede una fontana di acqua sporca. Chiede al giovane: "Rinunci a Satana?". Stacco. Scena successiva. Due uomini sporchi e disfatti. Uno sta buttando un secchio d'acqua lurida sull'altro che alza le mani al cielo, felice. Commentano i soldati: "Quell'uomo è pazzo". Ecco, questa è l'immagine che mi interessa, perché esprime un senso più profondo della realtà di ciò che appare: in una situazione di guerra un uomo trova la pace, il senso della vita".
- Lei ha lavorato con Mel Gibson?
"Gli ho dato dei suggerimenti, delle "note", come si dice in gergo, durante il montaggio del film The Passion. Gibson mi ha ringraziato per avergli consigliato di interrompere il ritmo troppo intenso e drammatico inserendo alcuni flash back. In particolare gli ho suggerito la pausa con il discorso della montagna".
- Si può parlare di un rinascimento cristiano a Hollywood?
"La strage del liceo Columbine in Colorado e la tragedia dell'11 settembre a New York ci hanno fatto capire che il mondo ci odia per il tipo di immagine che Hollywood ha diffuso dell'America: violenza e sesso. Oggi la nuova generazione non crede più al materialismo e c'è un netto distacco tra il bene e il male: la luce è più forte, ma anche le tenebre sono più fitte. Al Festival del cinema indipendente americano abbiamo visto film ispirati e di valore spirituale accanto ad altri di una depravazione inimmaginabile. Stiamo vivendo un momento di passaggio, segnato da forti contrasti".
- Qual è il suo riferimento spirituale?
"è Don Giacomo Alberione. Sono stata per nove anni nelle figlie di san Paolo e sono tuttora molto devota e legata al suo insegnamento. Alberione sentiva l'urgenza di portare nel mondo della comunicazione la spiritualità: i media sono strumenti potenti, che possono fare molto bene, ma anche molto male. Io cerco di comunicare ai miei studenti il pensiero e l'ansia missionaria di Don Alberione durante l'ora di spiritualità prevista nei nostri corsi dell'Act One".