Famiglia Cristiana n° 16 - aprile 2007

LA VISITA DI PAPA BENEDETTO XVI A PAVIA

L'ARCA DI SANT'AGOSTINO RACCONTA...

In occasione della visita di Benedetto XVI a Pavia, l'Arca restaurata della basilica di san Pietro in Cielo d'Oro torna e risplendere sopra l'altare maggiore, che contiene le ossa del grande intellettuale
e vescovo africano.

Le volte dell'antica basilica di San Pietro in Ciel d'Oro - dove Papa Benedetto XVI domenica 22 aprile incenserà le reliquie del corpo di sant'Agostino, concludendo con i Vespri solenni la sua lunga giornata pavese - forse non risplendono più come un tempo della loro mistica luce. Eppure, nonostante rimaneggiamenti e ricostruzioni, la basilica che oggi abbiamo sotto gli occhi, dal tipico impianto romanico-lombardo e dalla suggestiva facciata a capanna, ancora ci emoziona.

Innanzitutto perché qui si conservano, sotto l'altar maggiore, le reliquie del grande dottore della Chiesa: Agostino. Poi, per la presenza della sua meravigliosa Arca marmorea trecentesca - appena restaurata nella sua parte frontale - che dall'altare maggiore si eleva verso il mosaico dorato del catino absidale. Infine, perché tra queste mura dimenticate dalla storia - ma dove ancora vive una piccola comunità agostianiana, guidata da padre Giustino Casciano - si percepisce tutta la tensione dell'attesa per la visita del Vicario di Cristo che calpesterà questi marmi, si inginocchierà a questo altare, alzerà lo sguardo a quest'Arca.

L'ultimo viaggio di Agostino

Ma perché proprio qui a Pavia le ossa di Agostino? Perché non a Milano, dove il grande intellettuale africano si convertì, attratto dalla bellezza della predicazione del vescovo Ambrogio? O perché non nella nativa Africa, a Tagaste (oggi Souk Haras, in Algeria) dove Agostino nacque il 13 novembre del 354? O a Ippona, sulla costa africana, dove fu vescovo per 35 anni? Come finirono proprio qui, a Pavia, quei 226 frammenti ossei certificati dagli esami medici e riconosciuti da papa Leone XIII nel 1833, che il Papa vedrà domenica 22 aprile attraverso l'urna di cristallo che ancora li contiene?

Per capire il "come" bisogna immergersi nel passato, ritornare al tempo in cui Pavia era capitale del regno longobardo d'Italia. Siamo nel 722 e lungo l'antica via del sale (che collegava Pavia a Genova) ecco la carovana, guidata dal re Liutprando, trasportare solennemente una preziosa cassetta in lamina d'argento, ornata di croci, capolavoro dell'oreficeria longobarda (la stessa cassetta che, oggi restaurata, contiene l'urna di cristallo con le ossa). Quelle reliquie giungevano via mare dalla Sardegna, dove erano state acquistate da re Liutprando dai Saraceni e dai Normanni, pagandole un prezzo altissimo pur di dare lustro, con un oggetto così prezioso, a Pavia, capitale del suo impero.

La navigazione da Cagliari a Genova e l'arrivo solenne del corpo di Agostino a Pavia vengono raccontati nei rilievi marmorei del terzo registro superiore dell'Arca. Ma come giunsero in Sardegna le sue ossa? Il santo vescovo mori a Ippona all'età di 77 anni, nei giorni drammatici in cui la città, assediata dai Vandali, stava per capitolare. Due secoli dopo sarà la volta dei Saraceni, che conquisteranno quelle terre; allora, proprio per salvare le preziose reliquie di Agostino dalle profanazioni, se ne decise il trasporto in Sardegna, forse all'inizio dell'VIII secolo.

La "Divina commedia" in marmo

Continuiamo così, grazie all'Arca, il nostro viaggio a ritroso nel tempo sulle orme di Agostino. Questo gioiello della scultura trecentesca (scolpito nel marmo di Carrara tra il 1362 e il 1380 da artisti della bottega del toscano Giovanni di Balduccio) biancheggia oggi al termine della prospettiva della navata centrale; e non è difficile immaginare lo sguardo di Benedetto XVI su quei marmi. L'Arca infatti, liberata dai ponteggi, troneggia sopra l'altare di san Pietro in Cielo d'Oro e attrae come una montagna vivente, "animata" da 95 statue e 50 bassorilievi: una vera e propria summa di storia, teologia e poesia medioevale che ricorda le opere di Dante e Petrarca; quasi un "libro" scolpito che racconta la vita di sant'Agostino (terzo registro superiore), i suoi miracoli post mortem (nelle cuspidi che coronano il monumento), l'unità della Chiesa nelle immagini degli Apostoli e la morale cristiana nelle allegorie delle Virtù (entrambe nel registro inferiore); infine i campioni della fede, i santi e i martiri, tra cui nel registo centrale della facciata i "Quattro santi coronati", patroni degli scultori.

Sul dietro dell'Arca, nella prima formella, ecco il funerale della madre di Agostino, Monica, che morì a Ostia dopo aver visto battezzare quel figlio per cui aveva chiesto a Dio, con tanta insistenza e tra le lacrime, la conversione. Il corpo di santa Monica fu sepolto a Ostia e trasferito poi nel 1430 a Roma, nella chiesa di sant'Agostino in Campo Marzio dove ancora oggi si trova.

"Prendi" e "leggi"

Nella formella precedente ecco Agostino vestire l'abito dei catecumeni per prepararsi al battesimo, che riceverà dal vescovo Ambrogio, a Milano, il 24 aprile 387. Ancora uno scatto all'indietro nel tempo ed ecco il brillante intellettuale africano in un giardino milanese, mentre si riposa in un caldo pomeriggio estivo (è il luglio del 386) sotto un albero di fico; una voce di fanciullo, forse un angelo, gli ripete all'orecchio, in un soffio: tolle, lege; tolle, lege; tolle lege. Agostino "prende" e "legge", aprendo a caso la Bibbia: "Non gozzoviglie o orge, non lussurie o impudicizie... ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo" (Romani, 13, 13-14). è l'inizio della sua conversione.

Nel centro dell'Arca, in un suggestivo spazio aperto che suggerisce le volte e la navata di una cappella funebre, giace Agostino, scolpito a grandezza naturale, in paramenti sacri e avvolto in un panneggio i cui lembi sono sollevati da sei figurine anonime di servi o paggi. Sopra Agostino, la visione celeste di Cristo che scende incontro al morente. Ma Agostino non alza lo sguardo, fissa il libro dei salmi penitenziali che, nell'agonia - come narra il suo inseparabile amico e primo biografo Possidio - si era fatti trascrivere per poterli poi ripetere fino alla fine.

Salmi penitenziali sulla labbra morenti di chi - abbandonate le "orge giovanili" - sentiva ora in sé tutta la contrizione per avere amato troppo tardi quella "bellezza" che a 32 anni gli si era rivelata: "Tardi ti ho amato, bellezza così antica e nuova... Tu eri dentro di me e io fuori" (Confessioni). Così, in questa immagine di interiorità si chiude il sacro poema scolpito nel marmo dell'Arca.

Ma c'è un'ultima curiosità. Nel registro inferiore, tra le allegorie delle Virtù, c'è un intrusa apparente: l'allegoria della Religione, donna splendida che il grande maestro Agostino ha saputo mirabilmente sposare alla ragione. Con grande vantaggio per tutti noi, credenti e non dei secoli a venire. Scrive Agostino: "Credi, per ragionare con intelligenza; ragiona con intelligenza, per credere".