Famiglia Cristiana n° 20 - maggio 2008

LE COLLINE PIEMONTESI NASCONDONO UN CICLO COMPLETO DI AFFRESCHI: LA VITA DI GESù, L'INFERNO E IL PARADISO, LE STORIE DEI SANTI LOCALI

LA BIBBIA DIPINTA DI MONDOVì

Ogni domenica, da aprile a ottobre, la chiesa di San Fiorenzo, a Bastia, apre al pubblico per le visite guidate. Sulle pareti le allegorie dei vizi e delle virtù divertono e fanno pensare.

Stanno tra la terribile visione dell'Inferno di Dante e la fresca vena popolare dei racconti del Decamerone di Boccaccio questi affreschi del tardo Quattrocento piemontese da poco restaurati. Di cui nessuno parla. E che si nascondono nelle antiche mura della chiesa di San Fiorenzo, tra le colline coltivate a vigneti, appena sotto il piccolo centro abitato di Bastia Mondovì. Nel fondovalle scorre il Tanaro, là dove un tempo passava l'antica via del sale che collegava Albenga ad Alba, oggetto di lotte e guerre per non pagare il dazio ai Savoia. Di là dal fiume la "Mondovì ridente" cantata da Carducci dove si coltiva il Dolcetto delle valli monregalesi (il "monte regale" di Mondovì).

L'arte tra le vigne di Dolcetto

Dalla parte di Bastia, invece, si coltiva il Dolcetto di Dogliani e le differenze, si sa, contano in questa terra che confina con le Langhe di Fenoglio e Pavese. Orgoglio di vino, arte e cultura. Mondovì, coi suoi 22.000 abitanti, vanta il santuario di Vicoforte, con la più grande cupola ellittica del mondo; ma Bastia, 600 abitanti, possiede uno dei cicli pittorici tardogotici più estesi e meglio conservati di tutto il Piemonte: 326 metri quadrati di affreschi realizzati nel 1472 da un'equipe di artisti locali.
Per visitare questi capolavori ci siamo dati appuntamento con il signor Aldo Clerico dell'Associazione culturale San Fiorenzo, che promuove le visite guidate agli affreschi da aprile a ottobre tutte le domeniche pomeriggio (o su appuntamento tel: 338.43.95.585). Clerico ha una grande passione e competenza di storia locale e ci racconta come nelle mappe dei viandanti e dei pellegrini San Fiorenzo fosse un tempo tappa d'obbligo, punto sicuro di ristoro, un po' come lo sono oggi per noi i moderni autogrill. A quel tempo San Fiorenzo significava un portico all'asciutto (oggi distrutto), il richiamo di un campanile e soprattutto l'immagine di san Cristoforo, gigante buono dipinto in facciata (ne rimane ancora traccia) che difendeva chi viaggiava dai pericoli.
Chi vede san Cristoforo - si diceva un tempo - è salvo. E ancora oggi è il santo che protegge gli automobilisti.
Il nucleo della primitiva chiesetta dedicata a san Fiorenzo - soldato dell'esercito tebano (Egitto) che subì il martirio sotto Diocleziano - risale ai primi del Trecento; l'edifico fu ben presto inglobato nell'abside della nuova chiesa, completata con gli affreschi nel 1472. E possiamo immaginare la meraviglia dei contadini dell'epoca che, entrando in San Fiorenzo, rimanevano abbagliati e avviluppati dalla "multivisione" di queste immagini che ancora strappano a noi, uomini del XXI secolo (abituati al "di tutto e di più"), un sincero "oh!" di stupore.

Raccontano la paura dei saraceni

Sulle pareti laterali e in controfacciata ci sono le storie dell'infanzia di Gesù e della sua Passione. Ma sono le grandiose visioni dell'Inferno e del Paradiso a calamitare l'attenzione del visitatore: da un lato, feroci demoni tormentano le anime dannate con atroci supplizi; dall'altro, dolcissimi angeli allietano con indicibili melodie le orecchie dei santi radunati nella Gerusalemme celeste.
Gli affreschi delle tre pareti culminano nella splendida volta a crociera dell'abside dove campeggiano, come in una grande pagina miniata, le immagini dei quattro evangelisti intenti a scrivere; sulle colonne laterali, invece, si ergono a figura intera i campioni della fede, santi e dottori della Chiesa d'oriente e d'occidente: Agostino e Girolamo, Antonio e Lorenzo, Francesco e Domenico, Caterina d'Alessandria e Margherita d'Antiochia; e, naturalmente, san Fiorenzo che offre delicati fiori a Maria.
Tornando alle storie laterali, protagonista è anche il paesaggio locale, con la sua flora e la sua fauna; e, tra i santi, le "comparse", personaggi anonimi nei loro costumi d'epoca che rappresentano la storia, le paure, i sentimenti e le speranze del popolo cristiano delle Langhe piemontesi di fine Quattrocento. Le loro vicende si intrecciano agli episodi della vita di Gesù, formando una vera e propia "Bibbia dei poveri" che parla un linguaggio comprensibile a tutti.
Ecco le "scintillanti vette" perennemente imbiancate del Monviso (è sempre il Carducci di Piemonte) fare da sfondo alla macabra visione di enormi serpenti che mordono uomini e bestiame: la scena rappresenta le storiche invasioni saracene dai passi di Nava e Tenda. E, in difesa delle popolazioni locali, ecco le torri fortificate delle nobili famiglie monregalesi, mentre grossi uccellacci, mandati da san Fiorenzo, scacciano i serpenti. Questi uccelli sono i bianconi, che nidificano in queste terre e sono riconoscibili dalla spessa palpebra che protegge i loro occhi nel momento del pericolo, difendendoli dai serpenti.
A insegnare al popolo come conquistarsi il Paradiso, ecco le opere di misericordia descritte con cura nella fascia più bassa dei dipinti. Più in alto, la visione-premio della Gerusalemme celeste, dove il pittore ha messo tra le mani degli angeli un vero e proprio catalogo di strumenti antichi: salterio a pizzico, organo portativo, salterio a percussione, piccola gironda (strumento occitano dalla vicina Provenza), tamburello, viella, bombarde (trombe con rigonfiamento centrale), flauti e clarini, liuto e arpa.

La macabra cavalcata dei vizi

Alla rappresentazione delle opere di misericordia è contrapposta, sempre nella fascia inferiore, la cavalcata dei sette vizi capitali che portano diritti all'Inferno. Ogni personaggio rappresenta il proprio vizio e cavalca il corrispondente animale simbolico: l'ira si pugnala alla gola e cavalca un lupo; l'avarizia stringe a sé i cordoni della borsa e cavalca un cane che addenta un osso; la lussuria indossa il copricapo delle prostitute, si guarda allo specchio e cavalca un caprone; l'orgoglio con la spada cavalca un leone ed è il primo ad entrare nelle fauci del grande Leviatano, il mostro marino infernale.
A lato, le pene del contrappasso: l'avaro è costretto a inghiottire da un crogiulo oro fuso; i lussuriosi sono aggrovigliati tra loro e tormentati da uncini. Ogni peccatore subisce la proprio pena.
Ma Aldo Clerico ci fa notare come la gola sia il vizio punito in modo più benevolo dal pittore: tanto vino hai bevuto in vita e tanto te ne versa il demone nell'Oltretomba. In tempi in cui la dieta era poverissima, il vino costituiva un prezioso integratore alimentare e non si poteva certo negare alla gente una buona bottiglia di Dolcetto.
Nella natività della controfacciata c'è un altro particolare interessante: mentre Maria accudisce il Bambino, Giuseppe prepara alla puerpera un bel brodo di pollo, di cui i nostri antenati avevano intuito le doti di antibiotico naturale. Le storie della Passione, infine, presentano numerose lacune dovute all'umidità che le ha in parte compromesse. Ma, dove il colore e il disegno sono ancora vivi, offrono momenti di felice vena narrativa che compensano i vuoti e che, per contrasto, restano impressi nella memoria come visioni di luce in un cielo nuvoloso. Messaggi da un passato che non vuole essere dimenticato.