Famiglia Cristiana n° 20 - maggio 2008

FERRARA

L'INNO ALLA TERRA DI JOAN MIRò

L'artista catalano canta il mondo contadino, nel quale sono custodite le nostre origini.

Un fagiano dai bellissimi colori si alza tra i solchi di una terra arata di fresco mentre una lepre dai balzi veloci s'infratta. Scatti fotografici. Immagini dalla bella campagna ferrarese che ritornano qui, nella città dei duchi d'Este, a Palazzo Diamanti dove sta per chiudere la splendida rassegna su Mirò, pittore della terra. La sua d'origine, la Catalogna; ma anche la bassa ferrarese che l'accoglie e le fa da cornice.

Joan Mirò (1893-1983), uno dei grandi maestri del XX secolo alle prese con la terra, l'humus da cui tutti veniamo. E da cui deriva il termine "umile", virtù dimenticata oggi che benessere e consumismo ci hanno allontanato dalle nostre radici più vere che si nascondono in basso, nella terra che calpestiamo. E fa bene questo ritorno alla terra, questo viaggio a Ferrara, perché attraverso Mirò ci aiuta ad abbassare lo sguardo, come fa il pittore affascinato dalla sua terra.
Ecco Contadina, una delle opere del periodo cubista: la donna afferra la lepre con un braccio mentre con l'altro solleva il secchio del latte; i piedi sono enormi e lo sguardo e il volto stilizzati come un'icona di Malevic; le pieghe della veste si stropicciano come in un panneggio futurista.
Voltiamo lo sguardo e in Terra arata dai solchi ondulati e verticali nasce un insieme di geroglifici che sembrano fondare un nuovo linguaggio: alberi, mostriciattoli ruspanti, spaccati di case, triangoli dentellati come mandibole di coccodrillo e forme antropomorfe tra il fumetto e la pittura naif. Elementi che Mirò inventa e traduce poi in forme ancora più pure e geometriche in Paesaggio catalano.
Nella seconda sala, nel quadro Testa di contadino catalano il segno grafico che rappresenta la terra arata si trasforma nella barba di un contadino dal tipico rosso cappello catalano, il cui volto è ridotto a due punti per gli occhi e una croce per indicare la verticale e l'orizzontale di naso e bocca. L'Eremo invece ricorda un deserto montuoso dove terra e cielo si confondono nel non-colore della sabbia in cui la figura umana e il fiume sono ridotti a due segni grafici che ammiccano al disco rosso del sole.
L'Eremo è un richiamo che bene si inserisce nel contesto della bassa ferrarese dove, a pochi chilometri da qui, verso i lidi Ferraresi sorge la splendida Abbazia di Pomposa. Nella tela Paesaggio (La lepre), invece, la nostra lepre che abbiamo visto correre tra i campi, ricompare in una visione fantastica sotto la luna e ricorda una celebre ballata di Branduardi.

Come il saio di Francesco

Altre tele monumentali di Mirò assemblano cordami intrecciati, pezzi di legname e materiali di scarto che sembrano appena depositati da una piena del Po.
Infine, Accento rosso nella calma è una enorme stoffa grezza cucita con un cordone che ricorda il saio di san Francesco: dalla fessura trapela il rosso che richiama la ferita del costato dovuta alle stigmate. Il pensiero va al miracolo eucaristico avvenuto nel 1400 a Ferrara, a pochi passi da qui. Durante la consacrazione, tra le dita di un prete che dubitava della transustanziazione l'ostia sprizzò sangue vivo così forte da macchiare la volta della cappella che oggi è diventata il santuario cittadino di Santa Maria in Vado.
Questa mostra può essere dunque occasione per riscoprire la bellezza di Ferrara e della Catalogna, della nostra terra e di tutte le altre terre. Unite nel segno dell'arte di Mirò, pittore dell'umiltà contadina.