Famiglia Cristiana n° 23 - giugno 2007

IL 13 GIUGNO TUTTA PADOVA SARà COINVOLTA NELLE CELEBRAZIONI ANTONIANE

FESTA AL "SANTO" E ALLA SUA BASILICA

Quest'anno la rinnovata solennità della processione e i recenti restauri si aggiungono alla fortissima attrazione che la tomba del santo esercita da sempre sui pellegrini che accorrono qui da tutto il mondo.

Troppa grazia, sant'Antonio. Non è solo un modo di dire. Qui a Padova, come ogni anno ma quest'anno con più forza, la ricorrenza del Santo si festeggia in modo speciale, straordinario, ricordando i cento anni dalla rinascita della provincia francescana patavina. Sono molte le iniziative che accompagnano la tradizionale "tredicina antoniana". Non solo momenti religiosi ma anche culturali: le visite guidate ai capolavori appena restaurati in Basilica e nella Scoletta del Santo con gli affreschi di Tiziano; la proiezione di tre film su sant'Antonio; il concerto di Antonella Ruggeri. Infine, in attesa della solenne processione finale (ripristinata nel suo antico percorso tradizionale), ci sarà il pellegrinaggio notturno dei giovani da Camposampiero al conventino padovano dell'Arcella: quei 25 chilometri che sant'Antonio, in fin di vita, percorse su un carro trainato da buoi per venire a morire accanto ai suoi frati.

Quella sera di venerdì 13 giugno del 1231 - inspiegabilmente - in città i bambini già sapevano e gridavano per le piazze: "è morto il Santo! è morto il Santo!". E le campane rincorsero le loro voci. Sant'Antonio era morto all'Arcella, appena fuori Padova, e la notizia non poteva essere ancora giunta in città, alla chiesetta di Santa Maria Mater Domini (oggi inglobata nella basilica), dove i suoi frati lo aspettavano e dove Antonio fu sepolto. Sul luogo sorse la grande basilica antoniana che legò per sempre, anche visivamente, la città di Padova al suo santo, che però era nativo di Lisbona e aveva vissuto in città solo l'ultimo anno della sua esistenza terrena.

Troppa grazia, sant'Antonio. Ce lo ripete lo stesso rettore del convento francescano, padre Enzo Poiana, che con i suoi 60 frati assiste i pellegrini che arrivano qui ogni giorno dai luoghi più impensati, dall'Africa all'Australia. Padre Poiana racconta la sua personale "scoperta" - o "riscoperta" - della figura di Antonio attraverso incontri, confessioni, lettere. Ricorda il suo recente viaggio in India, dove i fedeli si accalcavano per ore sotto il sole per ricevere la sua benedizione e baciare la reliquia di san'Antonio. O la conversione di un camionista che qualche anno fa scavalcò senza permesso la recinzione intorno all'arca del Santo: scoppiò una lite, ma poi l'uomo si calmò, si confessò e da quella volta ritorna ogni anno. E, ancora, la storia di moltissime donne che ottengono dal Santo la grazia della maternità.

Troppa grazia, sant'Antonio. Lo si capisce guardando i giovani - tanti - inginocchiati davanti alla sua statua all'ingresso della basilica; e poi in piedi, accanto alla sua tomba, gli occhi chiusi, la mano incollata a quella lastra di marmo dietro cui ci sono i resti mortali del grande taumaturgo. Chiunque arrivi nella grande piazza, turista o pellegrino, credente o agnostico, non può sottrarsi al fascino (quasi al miraggio) della basilica sospesa alle sue sette cupole, che sembrano gonfiarsi come sette mongolfiere per portarla in alto, nel cielo di Padova. Tra le cupole rotonde sbucano aguzzi campanili, vigili sentinelle. Ma la semplice e ridente facciata romanica a capanna, in cotto, insieme ai grandi volumi delle navate laterali, ancorano a terra l'edificio come una grande tenda, impedendogli di volare via; e facendo sì che gli uomini, entrando, vi trovino refrigerio, riposo, consolazione e pace.

Un incessante flusso di pellegrini

Padre Enzo ha fatto appendere sulla facciata uno stendardo con sant'Antonio e la scritta: "Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi". La stessa scritta che campeggia in latino nella grande e splendida loggia rinascimentale con l'arca del Santo, che ogni giorno risucchia l'incessante flusso di pellegrini; ma anche di padovani, che preferiscono venire al mattino presto.

Sulle pareti intorno nove altorilievi marmorei (che saranno oggetto del prossimo restauro) raccontano la vita di un uomo, frate Antonio, che 11 mesi dopo la morte fu subito proclamato santo da papa Gregorio IX per quei 53 miracoli riconosciuti ufficialmente dal tribunale ecclesiastico.

Troppa grazia, dunque. Anche quella dell'arte, che qui in basilica è al servizio della fede e suscita nell'anima di chi è sensibile al bello il desiderio del bene. Questo fu il compito che svolsero gli artisti maggiori e minori che dal Duecento al Novecento si sono susseguiti nel decorare le innumerevoli cappelle e gli altari e che ci accompagnano in questo viaggio alla scoperta di Antonio.

Dall'arca del Santo si passa alla cappella della Madonna Mora, il luogo più antico, dove un tempo sorgeva la primitiva chiesetta francescana di Santa Maria Mater Domini. A sinistra si accede a un'altra cappella, quella del beato Luca Belludi, l'amico di Antonio, con gli affreschi del pittore fiorentino Giusto de' Menabuoi (che realizzò qui a Padova il suo grande capolavoro nel battistero a fianco del duomo: imperdibile!).

Poi si prosegue nell'ambulacro sinistro e girando intorno al presbiterio si arriva alla cappella delle reliquie. Qui si trova la cassa dove nel 1263 fu fatta la prima ricognizione sul corpo del Santo da Bonaventura da Bagnoregio (la lingua di Antonio fu ritrovata intatta). Nella seconda ricognizione, avvenuta 718 anni dopo (nel 1981), furono ritrovate le corde vocali, esposte nei preziosi reliquiari insieme a lingua e mandibola. Sono gli strumenti della parola di Antonio, dottore della Chiesa e grande predicatore; un carisma che san Francesco gli riconobbe in questi termini: "Mi piace che tu insegni teologia ai miei frati".

Verso gli affreschi di Tiziano

Merita particolare attenzione una visita all'altare maggiore, davanti e dietro, per ammirare i capolavori in bronzo del grande Donatello: i bassorilievi sulla vita del Santo e il grande gruppo scultoreo dominato dallo struggente Crocifisso. Si apre poi a i nostri occhi la bellissima loggia trecentesca di san Giacomo, simmetrica all'Arca, con gli affreschi di Altichiero da Zevio appena restaurati. Se siamo stati conquistati dal drammatico realismo post-giottesco della grande crocifissione di Altichiero, usciti dalla Basilica un'emozione ancora più forte ci attende nella cappella di san Giorgio: l'ambiente è uno scrigno prezioso, alle pareti le storie di san Giorgio e di santa Caterina dello stesso Altichiero, in alto il soffitto stellato ricorda quello di Giotto alla cappella degli Scrovegni.

Ma il luogo per eccellenza che conclude il nostro percorso - e in cui ci ritroviamo, in silenzio, in compagnia del rettore padre Enzo Poiana per "guardare" ancora alla vita di Antonio - è la grande sala al primo piano detta la Scoletta del Santo. "Scuola", perché i fedeli laici appartenenti all'Arciconfraternita vollero questo oratorio affrescato dai migliori artisti del Cinquecento (tra cui spicca il nome di Tiziano), per tenere sempre sotto gli occhi la vita e i miracoli di Antonio e imitarne l'esempio nella carità. Gli episodi corrono sulle quattro pareti e il ritmo della narrazione è incessante, come in cinemascope, mentre il soffitto basso a cassettoni, di squisita fattura, aumenta la concentrazione e la suggestiva intimità del luogo.

Al centro del movimento pittorico siamo noi, come a dire: sei qui tu, ora. In questa storia di grazie infinite, se ci pensi bene, sei coinvolto anche tu. Nel miracolo della mula che rifiuta il fieno e si china davanti all'ostensorio; nella sfida del bicchiere gettato dalla finestra e che non si rompe; nell'episodio del marito geloso e in quello del cadavere dell'avaro in cui non si trova più il cuore. Troppa grazia sant'Antonio, troppa grazia. Anche per noi.