Famiglia Cristiana n° 29 - luglio 2008

IL CAVALLO ROSSO DI EUGENIO CORTI

LA GEOGRAFIA DEL CAVALLO ROSSO

Abbiamo ricostruito per la prima volta chilometro per chilometro i terribili spostamenti subiti dai protagonisti nell'Europa devastata dalla Seconda guerra mondiale.

Come tutti i grandi romanzi storici, Il cavallo rosso di Eugenio Corti ci porta in luoghi che poi resteranno impressi per sempre nella nostra memoria. Storia, geografia e vicende personali dei protagonisti s'intrecciano e anche noi percorriamo con Michele, Manno, Ambrogio e Pierello migliaia di chilometri, schiacciati con loro in una tradotta militare; o a piedi, trascinando i piedi congelati nella neve.
Quella che segue è la ricostruzione, carta geografica alla mano, delle tappe percorse dai protagonisti del romanzo di Eugenio Corti ai confini di un'Europa - quella della metà del ventesimo secolo - devastata dal "cavallo rosso" della Seconda guerra mondiale. Un viaggio che parte dal microcosmo familiare e sociale della verde Brianza, dolcissima zona collinare a nord di Milano cantata da poeti e letterati come Stendhal e Parini.
Anche Corti apre il suo romanzo con una descrizione di ampio respiro: nei campi intorno a Nomana (nome fittizio che sta per Besana) padre e figlio falciano il prato; la tranquilla scena campestre - siamo nel maggio del 1940 - è interrotta da notizie intorno al possibile ingresso in guerra dell'Italia. Il 10 giugno l'Italia è in guerra a fianco della Germania. I giovani lasciano il paese per arruolarsi: superano il ponte di Incàstigo (leggi Carate), dove il Lambro "correva limpido", fino al distretto militare di Monza: pochi chilometri e lo stesso fiume si presentava già fin d'allora -d'un colore sporco e quasi plumbeo" per gli scarichi industriali.

Michele e Ambrogio sul Don

Manno è destinato alla Grecia e poi alla Libia. L'anno seguente - giugno 1942 - Michele Tintori e Ambrogio Riva (cugino di Manno) partono da Bologna su una delle tante tradotte dirette in Russia. Il confine polacco è segnato da una lugubre e interminabile fila di casematte in cemento armato che custodiscono l'ingresso nel "pianeta" Unione sovietica.
L'esercito italiano entra nella terra dei cosacchi lungo il fronte del Don (uno dei principali fiumi della Russia) dove, nel dicembre del 1942, scatta l'offensiva dell'esercito russo. Nel gennaio del 1943 la guerra e il gelo cancelleranno le divisioni italiane nelle terribili "sacche" sul Don dai nomi tristemente famosi: Cercovo e Nikolaievka. Ad Arbusov, Michele viene fatto prigioniero. Ambrogio, gravemente ferito e aiutato dal suo inseparabile attendente Paccoi, trova rifugio nei magazzini sotterranei delle isbe, insieme ai contadini russi. Da qui raggiungerà a piedi Cercovo, al di là delle linee nemiche; e poi, su un treno-ospedale di fortuna, 1.250 chilometri su un carro-merci, attraverserà l'Ucraina per raggiungere l'ospedale di Leopoli, sul confine polacco. Da qui, questa volta su un attrezzatissimo treno-ospedale italiano - -dalle lenzuola candide", ricorda ancora con piacere Corti -, attraverso la Cecoslovacchia e la Germania Ambrogio ritorna in Italia percorrendo altri 1.350 chilometri.
Il tenente Michele invece, da Arbusov a piedi coi deportati raggiunge Crinovaia - -l'orribile fossa dei cannibali", ricorda l'autore - dove conosce le impossibili condizioni di vita dei lager sovietici, descritti da Solzenicyn nel libro Arcipelago Gulag. Dall'inferno di Crinovaia, Michele viene trasferito nel lager di Oranchi, 650 chilometri più a nord.
Altri 300 chilometri verso Sudovest e Michele giunge al lager-monastero di Suzdal, antica città-Stato dell'Anello d'Oro, ricchissima di chiese dalle cupole dorate e dalle splendide icone (attualmente, con la città di Vladimir, fa parte di un comprensorio storico-artistico dichiarato dall'Unesco patrimonio dell'umanità). In treno, poi, da Suzdal , attraverso la Polonia e la Cecoslovacchia, Michele percorre 1.600 chilometri per raggiungere il Brennero e Verona.
Pierello invece, è fatto prigioniero dai tedeschi in Italia e trasferito a Bartenstein, nella Prussia occidentale. Da qui fugge con i profughi civili tedeschi incalzati dai sovietici, compiendo un lungo e impressionante esodo attraverso le paludi e i ponti di ghiaccio delle coste del mar Baltico: la Pomerania, regione tra Polonia e Germania affacciata sul mare, dove si estendono i grandi giacimenti di ambra che fin dall'antichità hanno reso famosa quella regione e i suoi prodotti. Passata la Vistola (il più lungo fiume polacco) e l'Oder, Pierello conclude un percorso circolare di 2.400 chilometri che lo fa ritornare - via Stettino, Berlino e Lipsia - a Norimberga, da dove era partito.

L'"ultimo viaggio" di Manno

Ma il viaggio più lungo - 4.240 chilometri - è quello compiuto da Manno. All'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre 1943 il giovane è con l'esercito italiano in ritirata da El Alamein: seguendo la costa africana per 2.600 chilometri raggiungere Capo Bon. Mentre gli alleati bombardano Tunisi, Manno parte su una barca di fortuna, percorrendo il tratto di mare che separa l'Africa dalla Sicilia - 190 chilometri in linea d'aria -, per raggiungere Pantelleria e poi Mazara del Vallo; da Palermo a Piacenza in treno e traghetto saranno altri 1.350 chilometri. Ma l'"ultimo viaggio" di Manno sarà quello che, dal fronte albanese, cui viene successivamente inviato, lo riporterà a Brindisi; le truppe italiane si uniranno con gli alleati che dopo lo sbarco in Italia risalgono la penisola.
Manno troverà la morte l'8 settembre nella battaglia di Montelungo, a una quindicina di chilometri da Montecassino. Il celebre monastero - interamente distrutto dai bombardamenti alleati - verrà riconquistato e liberato pochi giorni dopo, il 16 dicembre 1944.