Famiglia Cristiana n° 34 - agosto 2008

IL TEMA DEL RADUNO DI COMUNIONE E LIBERAZIONE

PROTAGONISTI O NESSUNO

Essere protagonisti, spiega Giorgio Vittadini, -non significa dominare, ma realizzare il proprio destino. E seguire la Verità, senza allinearsi con i vari poteri".

In occasione del 29° Meeting di Rimini incontriamo Giorgio Vittadini, professore di Statistica metodologica presso l'Università Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, per parlare del tema scelto quest'anno: O protagonisti o nessuno.
- Professor Vittadini, vuole spiegarci questo titolo così provocatorio?
-Rileggiamo la frase di don Giussani da cui è stato ispirato: "Protagonista non vuol dire avere la genialità o la spiritualità di alcuni, ma avere il proprio volto, che è, in tutta la storia e l'eternità, unico e irripetibile". Essere protagonisti non significa essere vincitori, riuscire nella vita, essere i primi, ma realizzarsi rispetto al proprio destino".
- C'è continuità con il tema dei Meeting precedenti?
-Sì. è la terza tappa di un percorso: La verità è il destino per il quale siamo stati fatti (2007) e La ragione è esigenza di infinito e culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti (2006). Essere protagonisti significa allargare la ragione, cercare la verità, riconoscerla. Altrimenti non si è nessuno rispetto a sé stessi, al desiderio di infinito".
- Quest'anno a Rimini verrà presentata una nuova raccolta di lezioni di don Giussani dal titolo Uomini senza patria. L'uomo moderno - come sottolinea il suo successore don Julian Carron nella prefazione - riduce il cristianesimo da un lato a puro sentimentalismo e dall'altro a una serie di valori da rispettare. In questa dinamica chi è il vero protagonista?
-Colui che prende sul serio fino in fondo il proprio desiderio e che è capace di vedere nella realtà l'eccezionalità della presenza del Signore. L'uomo moderno, invece, riducendo il proprio desiderio di infinito, è incapace di andare oltre e nega la possibilità che il Mistero si riveli anche negli altri".
- Giovanni Paolo II rivolgendosi a Cl ebbe a dire: "Voi siete uomini senza patria, perché non siete assimilabili a nessuna società". E don Giussani replicò: "Tutta la nostra attività da quando è nata Cl è per avere una patria, ma una patria in questo mondo non l'avremo mai". Ci spieghi meglio.
-Essere senza patria è caratteristica del cristiano: già sotto l'Impero romano i cristiani avevano la coscienza di appartenere alla patria del cielo e ciò li rendeva invisi al potere. Si deve obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Abbiamo un modo di guardare la realtà diverso da quello del potere, della mentalità dominante, che non vuole distruggere il potere, ma che non lo incensa. L'uomo senza patria non cerca l'egemonia nel mondo, ma la verità in sé stesso".
- Dove sta il contrasto con il potere?
-Il potere romano non poteva accettare un Dio che non si allineasse con gli altri dei; è la stessa reazione stizzita del potere di oggi rispetto alle nostre opere: gli intellettuali, i media, i giornali, vorrebbero che si partecipasse al loro pantheon, e accusano chi non lo fa di cercare il potere. Ma per noi è irriducibile il desiderio, cioè che la fede sia vissuta, in ogni aspetto della realtà umana e professionale, da protagonisti".
- Si può vivere così?
-Sì, la storia della Chiesa è lì a dimostrarci che uomini di ogni condizione sociale sono diventati santi. Un uomo può vivere così la fedeltà al proprio destino in ogni situazione, può vivere la fede come servizio alla verità e non come sudditanza a qualsivoglia potere".
- Qualcuno dice che l'Italia è in crisi. Lei vede segni di speranza?
-La crisi italiana nasce dal fatto che viviamo in un Paese che ha tradito il cattolicesimo, cioè un modo di guardare alla realtà che ci apparteneva e che sapeva coniugare metafisica e realismo: la realtà come segno che rimanda ad altro da sé, il senso religioso. La nostra intelligenza imprenditoriale, la nostra capacità di solidarietà e di sviluppo nascevano da qui e questo filo conduttore è diventato anche ispiratore di altre culture come quella socialista e liberale. Oggi inseguiamo modelli esterofili: l'ideologia e, ancora di più, il pragmatismo. L'unica ricchezza che abbiamo, invece, è questo realismo cristiano, questa capacità di sguardo che si è atrofizzata nella nostra gente, che non è più capace di intraprendere, di lavorare, di sacrificarsi, di essere solidale. La crisi è culturale e non economica".
- Da un'indagine effettuata dalla Fondazione per la Sussidiarietà, sei italiani su dieci considerano l'educazione una vera emergenza nazionale e il sistema scolastico attuale inadeguato...
-Se uno ragiona si rende conto che il problema è educativo: non si è più in grado di trasmettere alle nuove generazioni una capacità di lavoro, di imprenditorialità, di affetti duraturi, di impegno sociale. Questo punto di partenza sbagliato è all'origine della crisi dell'attuale sistema scolastico. La scuola italiana, una delle migliori del mondo, ora è ridotta a centralismo e burocrazia e la sua crisi educativa è la crisi di un modo di conoscere, di un realismo che era il nostro punto di forza, mentre all'estero ha sempre prevalso l'efficientismo".
- Quest'anno il popolo del Meeting incontra Cleuza Ramos, responsabile del movimento Trabalhadores Sem Terra di San Paolo in Brasile, e suo marito Marcos Zerbini, che nel febbraio scorso sono confluiti in Comunione e liberazione. Lei, professor Vittadini, era presente a quell'incontro: ce lo può raccontare?
-Questo gruppo di credenti, all'inizio vicini alla teologia della liberazione, sono stati così leali da capire che occupare le case non serve. Così hanno avviato in Brasile qualcosa di simile al nostro movimento cooperativistico italiano, sviluppando una capacità positiva di mettersi insieme, trovare risorse presso le banche, costruire case per i più poveri, mandare la propria gente a scuola e all'università. Proprio all'Università di San Paolo hanno incontrato il carisma di don Giussani attraverso un professore nostro amico. Cleuza ha affermato che in quell'amicizia e in quel carisma c'erano le ragioni di tutto quello che avevano fatto fin qui, del loro impegno sociale. La scoperta del cristianesimo come fattore decisivo, un Dio fatto uomo misteriosamente presente, incontrabile, riconoscibile nella realtà. Questo fatto ha reso Cleuza e Marcos protagonisti. E questo fatto hanno voluto fare incontrare alla loro gente. Il gesto di consegnare il movimento "Trabalhadores Sem Terra" nelle mani di don Julian Carron, successore di don Luigi Giussani, è stato un gesto grande a cui ho assistito, un gesto di arrivo e di partenza, perché sempre più gente possa fare questa esperienza. Devo dire che, nella cattedrale di San Paolo gremita di gente, abbiamo vissuto, in piccolo, un pezzetto di storia della Chiesa, come quando un tempo intere popolazioni, dietro ai loro leader, incontravano il cristianesimo".
- Un cristianesimo vitale?
-In questa, come in altre esperienze che saranno testimoniate quest'anno al Meeting, è presente il soggetto di una rivoluzione sociale impressionante. Queste esperienze dimostrano come il cristianesimo sia il fattore più forte del rinnovamento della vita sociale, economica e personale".
- Come la sua esperienza con i carcerati raccontata al Meeting nella mostra "Libertà va cercando ch'è si cara. Vigilando redimere". Ci racconta come è nata?
-Dal mio incontro personale con alcuni carcerati che mi hanno scritto - uno addirittura dal North Carolina - e che sono andato a trovare più volte; da questa amicizia e da altre positive esperienze carcerarie, come quella della cooperativa Giotto di Padova, è nato un percorso umano di redenzione, così come indica la Costituzione italiana, dimostrando così come il perdono cristiano diventi fattore di una nuova umanità".
- Quindi, protagonisti in carcere per avere incontrato Cristo?
-Esatto! Come ci mostreranno i filmati e come ci racconteranno gli stessi carcerati che saranno presenti da protagonisti, dimostrando la verità del tema del Meeting, O protagonisti o nessuno!, di cui abbiamo parlato all'inizio: l'apertura della ragione e la ricerca della verità fanno vivere in carcere "da protagonisti" uomini che altrimenti, nella pesante condizione in cui si trovano per scontare le proprie gravi pene, si sentirebbero davvero "nessuno"".