Famiglia Cristiana n° 39 - settembre 2011

ZAMU E GIULIO FIGLI DELLA SPERANZA

Il racconto di Alberto e Patrizia Reggiori, sette figli e trent'anni di volontariato in Uganda.

"A Giulio, grande figlio, dal cuore immenso dell'Africa, il continente in cui sei nato. La tua dedizione alla vita è il sorriso di ogni giornata". Con questa frase Alberto Reggiori, cinquantaquattrenne medico varesino, una vita come volontario Avsi in Uganda (e non solo), dedica al quarto dei suoi sette figli il libro La ragazza che guardava il cielo (Rizzoli), in cui racconta la storia di Zamu, donna ugandese uscita dall'incubo dell'Aids.
Zamu - che in lingua banyoro significa "sorgente d'acqua" - ha in comune con Giulio una storia di speranza. Lei, due volte vedova, in fuga con i figli dalla guerra civile, all'inizio degli anni 80 si ritrova contagiata dall'Aids. Per contro Giulio, nato in Uganda con altri due dei sette figli dei coniugi Reggiori, nel perido in cui la sua famiglia viveva nel grande Paese africano, quattro anni fa, a causa di un incidente stradale, è rimasto in coma per due mesi.

Giulia e Zamu. Un figlio e un'amica. Due storie che si intrecciano nella vita di Alberto e Patrizia Reggiori che nel 1985 si trasferirono con i figli Giacomo e Giovanna in Uganda dove nacquero Giulio, Gloria e Giorgio. Alberto lavorava come medico nel Meeting Point di Hoimo, a Sud di Kampala, dove si raccolgono e curano i malati di Aids e si assistono le loro famiglie, soprattutto i bambini.

Zamu conosce Alberto e Patrizia insieme agli altri volontari e, di fronte a questa gratuità, scopre una possibilità di vita e di amicizia, lei che a causa della sua malattia era stata allontanata dal clan familiare. Così Zamu reagisce, si lascia curare, collabora con i volontari. Oggi Veronica (questo il suo nome dopo il battesimo) è diventata responsabile del Meeting Point di Hoimo e ospita con generosità in casa sua i bambini dei malati.

Nel frattempo Patrizia e Alberto sono tornati in Italia e hanno continuato la loro vita: lui come chirurgo in un ospedale vicino a Varese, lei ad accudire i figli che nel frattempo, con la nascita di Gaia e Guido, sono diventati sette. Ogni anno, in estate, Alberto parte con l'Avsi per una nuova destinazione: Kazakistan, Sri Lanka, Haiti, Sudan. Quattro anni fa, l'incidente stradale di cui resta vittima Giulio. "Il suo cervello alla tac era un colabrodo", racconta Alberto, "... io e Patrizia ci siamo detti che comunque avremmo continuato a sperare nella bontà di Dio".

Dopo due mesi di coma, sei operazioni, nove mesi di carrozzina e tanta riabilitazione Giulio ha recuperato al di là di ogni aspettativa e ha ripreso i suoi studi. "Sono stata sette mesi con lui a Fontanellato nel centro di rieducazione", racconta Patrizia. "Quando sono tornata, Alberto è ripartito per l'Uganda, ma non c'è niente di eroico in tutto ciò, solo il fatto che non siamo mai stati soli e viviamo in un contesto di amicizia che ha coinvolto anche in nostri figli. Come quando eravamo in Africa. Anche là avevamo i nostri problema. Quello della mancanza di una buona scuola, per esempio: condividendolo con altri amici italiani e con i genitori ugandesi abbiamo creato sul posto una struttura scolastica che ancora oggi funziona. I nostri figli hanno vissuto sia in Uganda che qui in modo semplice e naturale la nostra storia, perché è la storia della nostra famiglia e dei nostri amici. Gli stessi amici che hanno pregato per Giulio ogni giorno: anche duecento ragazzi ogni sera salivano al Sacro Monte di Varese per impetrare la grazia della guarigione".

La stessa speranza cristiana che ha mosso Zamu a chiedere il battesimo, prendendo il nome di Veronica, è la molla che ha sostenuto Giulio. "Lo chiamiamo "il grande Giulio", perchè oltre a essere il più alto dei nostri figli, ha una grande caparbietà nell'affrontare le difficoltà, una forza che prima dell'incidente, non si sarebbe mai sognato di tirare fuori".

"Quest'estate Zamu, che ha passato un periodo con noi in Italia, prima di ripartire ci ha detto: "Non smettete di testimoniare questa Presenza che c'è tra voi". è la cosa più preziosa, quella che ha spinto me e mio marito Alberto in missione tanti anni fa. A partire da quel lontano settembre del 1984 in cui Giovanni Paolo II aveva invitato i cristiani ad andare nel mondo a portate la bellezza, la giustizia e la verità presenti in Cristo Signore".