Famiglia Cristiana n° 42 - ottobre 2007

DOPO LA RESTITUZIONE DELLE "NOZZE" DEL VERONESE

L'ANNO ZERO DELL'ARTE

La possibilità di creare copie perfette accende il dibattito sull'uso del digitale: è meglio il clone fedele di un capolavoro di Picasso o l'originale di un'opera minore?

Se mai come oggi l'utilizzo della tecnologia digitale consente di avvicinare il grande pubblico all'arte in modo impensato, un fatto eclatante come la collocazione, nel Cenacolo palladiano dell'isola di San Giorgio Maggiore a Venezia, di una copia in tutto fedele all'originale mancante da più di due secoli della grande tela Le nozze di Cana dipinta dal Veronese nel 1563, sembra addirittura segnare (anche per una curiosa combinazione di date) una sorta di ground zero dell'arte.

La tela del Veronese (6,8 per 10,4 metri) fu strappata dal muro del refettorio benedettino dalle truppe napoleoniche l'11 settembre del 1797 e da quel giorno si trova al Louvre. Il suo esatto facsimile, oggi ottenuto attraverso una sofisticatissima scansione dell'originale del Louvre (1.516 files, 400 gigabyte) è stato ricollocato nel cenacolo di San Giorgio proprio l'11 settembre scorso. Date a parte, ci si domanda: è lecito creare dei cloni così perfetti di un'opera d'arte da non farci sentire la mancanza dell'originale? O addirittura, come in questo caso, di superarlo? Infatti, pur mancando alla copia delle Nozze di Cana quella che gli esperti chiamano "aura" (quasi uno spirito irriproducibile che aleggia intorno al quadro reale), la stampa digitale realizzata dal fotografo Adam Lowe, virtualmente liberata dai rimaneggiamenti e dai restauri novecenteschi, ci restituisce ancora più pura la pennellata, i colori, le sfumature del grande Veronese; e persino le imperfezioni dell'enorme telero.

Nei giorni immediatamente successivi all'inaugurazione della mostra Il miracolo di Cana. L'originalità della riproduzione (Venezia, Isola San Giorgio Maggiore, aperta fino al 16 dicembre) che ruota intorno al capolavoro "virtualmente ritrovato", si è acceso sui quotidiani un vivacissimo dibattito tra critici e storici dell'arte. In sostanza, pur con diverse sottolineature, gli esperti hanno riconosciuto tutti la positività e l'utilità di questa operazione, che apre nuove frontiere alla conoscenza e alla diffusione dei capolavori del passato.

Così, se da un lato ci si potrebbe augurare - o illudere - che questa operazione mediatica favorisca il ritorno delle autentiche Nozze di Cana dal Louvre a Venezia (con la loro "aura" e inserite nella perfetta "scatola scenica" ideata dal Palladio), dall'altro dobbiamo riconoscere che l'uso di riproduzioni digitali così perfette di opere "impossibili" da trasportare (per costi assicurativi e vincoli conservativi) sopperirebbe alla ormai endemica carenza di capolavori di cui soffrono le mostre d'arte odierne: che sbandierano come specchietti per allodole nomi di grandi artisti di cui però, molto spesso, ci presentano solo le opere minori.

Dov'è finito il celebre quadro?

Un esempio? L'ultima grande retrospettiva del 2002 su Picasso a Milano ruotava tutta intorno all'opera Les demoiselles d'Avignon; ma di quel quadro neppure l'ombra. Sarebbe bastata invece una sua riproduzione digitale formato 1:1 per aiutare il grande pubblico a capire meglio la mostra e il suo contenuto.

Un altro problema che la riproduzione digitale di opere d'arte risolverebbe - e talora risolve già - è quello dei tempi sempre più ristretti che si hanno a disposizione per visitare alcuni grandi capolavori. Quindici minuti per l'Ultima Cena di Leonardo a Milano o la Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova (con le sue 36 scene bibliche ed evangeliche) sono davvero pochi. Meglio ricostruire il prezioso ambiente della Cappella Portinari con l'aiuto di stampe digitali o attraverso proiezioni: così avremo tutto il tempo a disposizione per guardarla. E poi, soprattutto, per lasciarcene incantare.

I giapponesi sono stati i primi a capirlo e hanno digitalizzato e ricostruito nei loro musei, in dimensioni reali, la Cappella degli Scrovegni in versione virtuale; e quell'autentico gioiello di pittura gotica internazionale che è la torre dell'Aquila del castello del Buonconsiglio di Trento, con gli affreschi dei Mesi.

Avveniva così anche nel passato, come dimostrano le numerose copie di statue greche e romane esposte all'esterno; per conservarne poi, nel chiuso dei musei, gli originali. Vivente Leonardo, della sua fragilissima Ultima Cena si fecero subito molte copie su tela, per paura di perderla.

La recente apertura a Bassano del Grappa del bellissimo Museo dei Remondini - una delle più importanti famiglie di stampatori italiani tra il Seicento e il Settecento - completa la nostra riflessione sulla riproducibilità delle opere d'arte e la loro divulgazione popolare, attraverso quello strumento allora rivoluzionario che era la stampa e l'incisione d'arte.

Già i "Murdoch" di Bassano...

I Remondini infatti invasero l'Europa con le loro stampe popolari sacre e profane; così un borghese poteva acquistare a un prezzo ragionevole incisioni di Rembrandt, Dürer, Tiepolo. Copie in formato ridotto di grandi capolavori. E grazie alla rete dei venditori ambulanti
(i Tesini o gli Schiavoni, che dalle valli venete si spingevano persino in Russia e in Sudamerica) ecco le stampe dei santi e "santini", le rappresentazioni di vizi e virtù, le carte e il gioco dell'oca.

E così nell'Ottocento sono arrivate nelle modeste case contadine dei nostri bis-nonni le stampe a colori delle Madonne di Raffaello. Come oggi nei nostri più moderni appartementi i poster a colori incorniciati delle ninfee di Monet o dei girasoli di Van Gogh. A riprova che abbiamo tutti bisogno di familiarizzare con l'arte; di dare del "tu" ai grandi capolavori. Anche se in facsimile.