Famiglia Cristiana n° 42 - ottobre 2008

GIOVANNI BELLINI

ELOGIO DELLA MODERNITà

Alle scuderie del Quirinale tutta la pittura del maestro, che fu cognato di Andrea Mantegna e che aprì la grande stagione del Rinascimento veneto, rischiarandola con la qualità della sua luce.

Sia che si tratti del tardo '400 veneziano di Giovanni Bellini (esposto a Roma alle Scuderie del Quirinale fino all'11 gennaio), sia che si tratti del neoimpressionismo di fine '800 di Seraut e Signac (esposti a Milano a palazzo Reale fino al 25 gennaio), l'arte possiede una sua autonomia che la colloca al di fuori del tempo. L'arte è sorprendentemente attuale, per il fatto stesso che "a differenza dell'istante fotografico, l'istante pittorico non è mai esistito" (così ha scritto Laura Bosio su Avvenire).
Può essere questa la chiave di lettura delle mostre d'arte che ci propone questa stagione autunno-inverno 2008-09. A partire proprio da messer Zuan Bellin, Giovanni Bellini, detto il Giambellino (nato a Venezia tra il 1435 e il 1448), che fu, per la sua epoca, il maestro stesso della modernità. Infatti, influenzò - e si lasciò influenzare - da grandi artisti come Mantegna (suo cognato), Piero della Francesca, Antonello da Messina, Giorgione, Tiziano e lo stesso Leonardo da Vinci.
Bellini travasò nel '500, con l'assoluta qualità della sua luce, le grandi conquiste della pittura veneziana del '400. Nei 60 capolavori esposti a Roma (catalogo Silvana), provenienti dai principali musei mondiali, potete indovinare l'"ora del giorno" che l'artista fissa sulla tela: la stessa attenzione con cui l'evangelista Giovanni nota l'ora in cui i discepoli videro per la prima volta Gesù: "Erano circa le quattro del pomeriggio".
La luce straordinaria e umanissima che l'artista cattura e immette nei suoi dipinti sacri (ma anche profani) conquista l'anima. Luce unica, velata di sentimenti di pietà cristiana e di uno sconfinato amore per la natura veneta. Luce che questo mite maestro - che continuò dopo la morte del figlio e della moglie il suo solitario percorso artistico - diffuse nei suoi quadri come la carezza stessa di Dio.
Luce d'aurora come nella grande pala di Pesaro, Incoronazione della Vergine, che vediamo a Roma sormontata dalla sua cimasa originale (prestata dai Musei vaticani), dove è rappresentato il momento dell'unzione del corpo di Cristo: formidabile gioco di mani tra il defunto e una struggente Maria Maddalena dai capelli sciolti, bella e dolorosamente vera.
Entriamo ora nel buio (modernissimo, precaravaggesco) del tempio di Gerusalemme. Nella Presentazione al Tempio Bellini "scatta" in luce artificiale un "ritratto di famiglia" su fondo nero, che rappresenta l'incontro tra Maria e il vecchio Simeone. Tra i presenti, rigorosamente a mezza figura e sporgenti da una balaustra-altare (espediente compositivo caro a Bellini), riconosciamo da destra il suo autoritratto accanto al cognato Mantegna; e da sinistra la sorella Nicolosia (che sposò Mantegna) e la moglie (o la madre) del pittore.
Torniamo in "esterno" e, nella luce serena di un freddo pomeriggio d'aprile, nuvole veloci lasciano filtrare un tenue sole che illumina la Madonna con il Bambino benedicente. Alle spalle dei due, la campagna veneta s'impenna in colline, mentre sull'orizzonte limpido si disegnano le Dolomiti. Un panno di seta verde separa il primo piano dal paesaggio, che diventa cassa di risonanza dei sentimenti stessi della giovane madre pensosa, il cui profilo si identifica con la collina nascosta dietro il drappo, completandone il profilo.
Poca luce filtra da una bassa pergola di frasche; il patriarca Noè, ebbro di vino, è nudo sulla nuda terra e deriso dal figlio Cam, che ne scopre le nudità, mentre Sem e Jafet cercano pudicamente di ricoprirlo. Secondo il grande critico d'arte Roberto Longhi, questo quadro è "la prima opera della pittura moderna". Ed è anche l'ultima tela di Bellini, il suo testamento spirituale (l'anziano maestro muore nella sua Venezia il 29 novembre del 1516).
La derisione di Noè ci mostra, infatti, un vecchio sfinito sotto una luce impietosa che non gli dà respiro, mentre con la mano cerca di ammorbidire il contatto tra il duro sasso e la sua testa rovesciata all'indietro. Qualcuno ha paragonato questo quadro a una sorta di "Pietà biblica", in cui Noè rappresenta Adamo e Cristo. Qui la "bella famiglia" della Presentazione al tempio si è trasformata in una tragica riflessione sulla crisi familiare e sociale in cui languiva nel '500 la Serenissima. Modernissimo Bellini.