Famiglia Cristiana n° 47 - novembre 2007

CINQUE MOSTRE INDAGANO LO STESSO FENOMENO STORICO

ARRIVANO I BARBARI

Furono invasori? Gente primitiva e violenta? Sì, ma non solo: è l'ora di superare antichi pregiudizi.

è l'ora dei barbari. Si moltiplicano le mostre, si accendono le luci sui loro tesori. Ma cosa ci attrae in loro? La bellezza primitiva e simbolica dell'oro e delle gemme preziose dei manufatti? O il fascino ancestrale del ferro di cui sono forgiate le loro rudi spade, gli elmi e le corazze, i finimenti dei cavalli? I preziosi monili delle loro donne, poi, sono di una stilizzazione e di una modernità sorprendente: fibule, anelli, spille, intrecci zoomorfi, filigrane e smalti. Tutto ciò che è barbaro e primitivo attrae la nostra cultura: il fascino del "diverso" e del "lontano", la religione degli altri, la cultura degli altri.
Molti film di fantascienza ci fanno immaginare un futuro tetro, il ritorno alla barbarie, a un catastrofico Medioevo post-industriale. Un mondo livido, alla Blade Runner. Il ritorno all'età del ferro. Come nei versi di un giovane poeta, Davide Brullo: Le zone primordiali della metropoli quelle cerchiamo - steli cunei lamiere - luoghi di raduno già demoliti. è significativo che un ventottenne scriva il suo primo libro, L'era del ferro (Marietti 1820), evocando quel filo invisibile e forte che ci lega alla pre-storia, al nostro più remoto e ancestrale passato, fatto di pietra, ferro e fuoco.
Ma il fascino dei barbari è anche desiderio (per noi abitanti di calustrofobiche città) di grandi spazi; gli orizzonti infiniti percorsi a cavallo dai nomadi: la tundra, la steppa, la foresta... Richiamo del grande Nord. Scorribande di popoli che sconvolgono altri popoli. Grandi civiltà che si confrontano e un mito - quello del barbaro primitivo e violento - tutto da ridimensionare.
A Trento si è appena conclusa la mostra Ori dei cavalieri delle steppe (100.000 visitatori) che ha come suo ideale proseguimento Gengis Khan e l'oro dei mongoli, da poco aperta a Treviso. Entrambe ci aprono la mente ai grandi spazi delle steppe eurasiatiche, percorse da clan sempre in lotta per il predominio del territorio e del pascolo; dove anche le donne (le mitiche amazzoni) combattono e uccidono. L'impero mongolo di Gengis Khan, uno dei più grandi imperi che la storia abbia conosciuto, riunificò sotto di sé quelle tribù e garantì, col ferro e col fuoco, quella pax mongolica che aprirà all'Europa la Via della seta, percorsa da Marco Polo.

Popoli in continuo movimento

A Ovest di quelle steppe, tra il Danubio e il mare Adriatico, si insediarono i popoli balcanici, a cui Rovigo dedica una bella mostra: Balkani. Oggetti provenienti dal Museo di Belgrado, ori e ambre, terracotte e bronzi - dall'età del ferro ai primi secoli cristiani - ci mostrano come quelle antiche civiltà dell'Est europeo entrarono in contatto fecondo con la civiltà greca e poi romana.
Tutto ciò ci fa comprendere come quelli che noi chiamiamo barbari erano in realtà popoli "umani", in continuo movimento, sui loro carri, con le donne e i bambini al seguito, e che incalzati da altri popoli (gli Unni ad esempio) cercavano protezione ai confini dell'impero romano; non solo invasori, ma partner che si mischiarono con le genti latine e addolcirono i loro costumi a contatto con il cristianesimo e le leggi romane. Dai grandi spostamenti di popoli che caratterizzarono la fine dell'impero romano, del resto, è nata la civiltà medievale cristiana che è all'origine dell'attuale Europa. Ed è interessante scoprire come quegli oggetti "barbarici" ma preziosi si trasformarono presto (è il caso dei Longobardi) in croci gemmate, calici e pastorali; gli intrecci geometrici e primitivi della loro arte ispirarono poi le splendide decorazioni degli evangeliari miniati; e le inquietanti figure zoomorfe entrarono nei "bestiari" medievali, assumendo nuovi significati allegorici e cristiani, che furono successivamente tradotti nelle sculture delle cattedrali.
Tutto ciò - bisogna ricordarlo - avvenne grazie all'opera paziente dei monaci. Che non fuggirono davanti ai barbari, ma dettero loro istruzione e lavoro. Bonificando terre e conquistandoli alla fede cristiana. Affrontando anche viaggi e disagi pur di convertire quei popoli lontani, come avvene per san Colombano che evangelizzò l'Irlanda. Sarà addirittura un monaco "barbaro" - Paolo Diacono - a scrivere la storia del suo popolo, i longobardi (Historia Longobardorum). E proprio a loro è dedicata una grande mostra che si svolge in due sedi: Torino e l'abbazia di Novalesa, in Val di Susa. Tra i numerosissimi reperti esposti, una lamina di bronzo dorata ci presenta Agilulfo duca di Torino in trono, tra due guerrieri e due vittorie alate; alle estremità due offerenti portano entrambi una corona: i due trofei, secondo gli esperti, potrebbero simboleggiare altrettanti regni, le due "Italie", bizantina e longobarda, che Agilulfo volle unificare.
Racconta Carlo Arturo Quintavalle, docente di Storia dell'arte medievale all'Università di Parma: "Quando nel 568 i longobardi arrivarono in Italia e dalla fede ariana si convertirono al cattolicesimo, sotto la regina Teodolinda, l'oreficeria longobarda era già in contatti con l'arte bizantina in Pannonia, l'attuale Ungheria. E per quanto riguarda le leggi, l'Editto di Rotari fu il primo codice di diritto longobardo, redatto in latino , che si confrontava con il codice di Giustininano al pari della lex romana burgundiorum o visigotorum.
Lo studio dei longobardi in Italia, così come dei visigoti in Spagna, ha rimosso vecchi pregiudizi su questi popoli, che gli studiosi non chiamano più "barbari". In ogni città i longobardi organizzavano veri e propri ducati. Pavia fu il centro di un sistema di città longobarde in cui alle mura romane venivano affiancate altre mura, trasformando la pianta da quadrata in rettangolare. I longobardi ci lasciarono anche nuove parole collegate a oggetti di uso comune come panca, banco, brache, sella, sedile. In arte produssero opere di inestimabile valore: il Tesoro del duomo di Monza, il Tempietto di Cividale in Friuli, gli affreschi di Castelseprio (Varese), di san Salvatore a Brescia, di Santa Sofia a Benevento".
A Venezia aprirà in gennaio un'altra grande mostra sul tema: Roma e i Barbari, la nascita di un nuovo mondo. Reperti mai esposti prima d'ora (1.700 oggetti da 200 prestatori) ricostruiranno come in un grande affresco la nascita del Medioevo dalle ceneri dell'impero romano.
Secoli bui e drammatici, difficili da vivere. Secoli fatti di ombre e di luci. Ma secoli in cui lo splendore barbarico si è riversato nel grande crogiuolo dei popoli indoeuropei per contribuire a un'Europa che non è molto lontana da quella di oggi. Che ha paura del futuro. Ma che potrebbe ancora dire, con le parole di Alessandro Magno: "Non mi interessa l'origine dei cittadini. Non li classifico in greci e barbari. Per me ogni buon straniero è greco e ogni cattivo straniero è peggio di un barbaro".

Dove & Quando

I Longobardi. Dalla caduta dell'Impero all'alba dell'Italia
Torino, Palazzo Bricherasio,
fino al 6 gennaio 2008; Abbazia
di Novalesa (Val di Susa), fino
al 9 dicembre (catalogo Silvana).

Balkani. Antiche civiltà tra il Danubio e l'Adriatico
Adria, Museo archeologico
nazionale, fino al 13 gennaio 2008.

Roma e i Barbari. La nascita di un nuovo mondo
Venezia, Palazzo Grassi dal 26 gennaio al 20 luglio 2008 (catalogo Skira).

Gengis Khan e l'oro dei mongoli
Treviso, Casa dei Carraresi
fino al 4 maggio 2008 (catalogo Sigillum).

Ori dei cavalieri delle steppe
Collezioni dai Musei dell'Ucraina
Trento, Castello del Buonconsiglio,
mostra chiusa il 4 novembre
scorso (catalogo Silvana).