Famiglia Cristiana n° 48 - novembre 2009

UNA TRADIZIONE CHE AFFONDA LE SUE RADICI NELLA MISTICA MEDIEVALE

I SACERDOTI DELLA BELLEZZA

Quale rapporto sussiste fra fede e poesia? L'essere uomini consacrati facilita o complica la scrittura di versi? A partire dai brucianti testi di Jan Twardowski, fino a Rebora, Turoldo, Wojtyla e William, la storia dei preti che hanno cantato Dio.

Affrettiamoci ad amare / le persone se ne vanno così presto". In Polonia questi versi di Jan Twardowski - uno dei poeti più letti e amati non solo nel suo Paese - sono diventati un modo comune di dire. L'autore, mancato tre anni fa, all'età di 91 anni, fu prete e poeta; o meglio, come lui stesso amava definirsi: "Un prete che scriveva poesie". Tradotto in varie lingue, oggi finalmente esce in Italia per la prima volta una sua raccolta, intitolata appunto Affrettiamoci ad amare (Marietti 1820). E non c'è una sola di queste 60 brevi, brucianti poesie, che già a una prima lettura non lasci il segno nel lettore. Pregio non da poco, in un'epoca in cui la poesia è difficile da decifrare. I versi di Twardowski, invece, vanno all'essenziale con la profondità biblica di un salmo. L'uso di un linguaggio chiaro e diretto, di una semplicità disarmante, riesce ad aprire illuminanti squarci nell'anima del lettore, ricordandogli che Dio c'entra con tutto: "Eppure non sei solo quando piangi di nascosto / è con te l'Invisibile che cade come una castagna".
Ci soffermiamo su alcune delle dieci sezioni (e una Supplica finale) che già nei titoli sono un'autentica provocazione: "La fede saputella si cerca dal diavolo". Oppure: "Talmente Onnipotente che può anche non esserci". Per concludere: "Dio si è nascosto perché il mondo si vedesse".
Il senso del paradosso caratterizza questi testi, che non danno la fede per scontata e costituiscono anche, con i loro curiosi elenchi di nomi di animali e vegetali, un bestiario e un erbario cristiano. Una moderna versione del Cantico delle creature in cui le "cose", attraverso il "nascondimento di Dio", ce Lo rivelano: "la bella irascibile vespa"; "il germano verde con le zampe gialle"; "gli occhi globosi della libellula e i fagioli nei baccelli". Dio vuole vedere il creato attraverso i nostri occhi: "perché attraverso me Tu veda l'anatra dal naso piatto". Concludendo: "L'amore invisibile non fa schermo di sé".

Dio così com'è, oltre la retorica

Dio è amore invisibile. L'asciutta poetica di Twardowski - che viene dalla grande tradizione polacca di due premi Nobel come Czeslaw Milosz e Wislawa Szymborska - ci rivela Dio così com'è, semplicemente, facendo piazza pulita di tanta melassa poetica pseudoreligiosa. Scrive: "Si trova Dio più facilmente non scrivendo di Dio". Oppure: "Gesù non ha mai preso in mano la penna". E infine: "Si scrive un po' ciò che non è", riecheggiando il montaliano "Questo solo oggi possiamo dirti / ciò che non siamo ciò che non vogliamo" (da Ossi di seppia).
Difficile tenere insieme fede e poesia. Essere autori-preti non è una garanzia. Lo confermano le smaliziate parole di un discepolo di Twardowski, Janusz Pasierb, anche lui sacerdote e poeta polacco: "è una grande signora la poesia / e capita di rado in sacrestia". Le eccezioni certo ci sono, a partire dallo stesso Karol Wojtyla, che in gioventù fu attore e poeta, e che da Papa stupì il mondo pubblicando in Italia la sua opera poetica completa, dal dramma giovanile La bottega dell'orefice al più recente Trittico romano. Ma dove finisce la poesia e dove inizia la fede? E quanto c'è di poetico in un testo religioso?
Jan Twardowski è un raro esempio di sacerdote che ha avuto il dono di saltare l'ostacolo e fare vera poesia parlando di Dio. In Italia abbiamo avuto la poesia di padre David Maria Turoldo (1916-1992) e del sacerdote rosminiano Clemente Rebora (1885-1957), di cui ancora oggi si discute se l'ispirazione poetica fosse più autentica prima o dopo la conversione. D'altronde, come scrive lo stesso Twardowski: "Io, un sacerdote, credo a Dio come un bambino". E di fronte al mistero, tra poesia e fede l'uomo di Dio fa un passo indietro e sceglie sempre la fede.

Le voci che risuonano nel presente

A meno di essere poeti mistici come il grande Jacopone da Todi (1236-1306) e san Giovanni della Croce (1542-1591), uno dei più grandi poeti spagnoli, sacerdote e autore del Cantico spirituale. Oggi veramente un'eccezione ci sarebbe: si tratta di Giovanni Costantini, settantatreenne sacerdote e poeta di Sandrigo (Vicenza), che rappresenta un interessante e originale esempio di linguaggio mistico con i suoi dialoghi serrati a tu per tu con lo Sposo del Cantico dei cantici (Lo sposo è mezzanotte, Ares; Nei blu di santa Trinità, Santi Quaranta).
Un ultimo esempio di poesia che va a braccetto con la teologia è rappresentato dalla recente uscita in Italia della raccolta La dodicesima notte (Ancora), libro-rivelazione dell'attuale arcivescovo di Canterbury, il gallese Rowan William, primate della Chiesa anglicana. Parole scabre come pietre. Concretissime eppure visionarie ed epifaniche. Così forti da richiamare alla mente la domanda del teologo tedesco Karl Rahner: "Dove sono finiti i bei tempi in cui i grandi teologi erano anche poeti e componevano inni?".

IL POETA DI VARSAVIA (scheda biografica)

Jan Twardowski (1915-2006) è uno dei più noti poeti polacchi, tradotto in molte lingue e insignito di premi a livello internazionale. Nasce a Varsavia, città dove intraprende gli studi letterari, interrotti nel 1939 allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Partecipa all'insurrezione del 1944; ferito e arrestato, riesce a evitare la deportazione in Germania e rientra a Varsavia dove, all'età di 30 anni, entra nel seminario metropolita e riprende gli studi. Ordinato sacerdote nel 1948, è viceparroco, insegnante di religione e poi rettore della chiesa di San Giuseppe presso il convento delle Visitandine. Inizia a pubblicare poesie nel 1932 su una rivista studentesca, ma la sua prima raccolta ufficiale risale al 1937. Seguirono "Poesie" (1959) e poi "Segni di fiducia" (1970), opera che lo rivelò al grande pubblico internazionale e gli valse l'appellativo di "poeta di corte di Giovanni XXIII".