Famiglia Cristiana n° 50 - dicembre 2006

INTERVISTA A PADRE ANTONIO MARIA SICARI

"BENEDETTA" REGOLA

San Benedetto e il monachesimo: la santità eremitica che salvò l'Occidente dalla disintegrazione. E può farlo ancora.

Il giorno 11 del mese di luglio si festeggia san Benedetto da Norcia, patrono d'Europa, che con la sua Regola fondò il monachesimo occidentale. Abbiamo chiesto a padre Antonio Maria Sicari, carmelitano scalzo, che ha scritto numerosissime vite di santi, di parlarci di Benedetto e della funzione del monastero benedettino ieri e oggi nella cultura occidentale.

- Padre Sicari, come si caratterizza la nascita del monachesimo benedettino in Occidente?
"La consacrazione a Dio e la vita di preghiera vissute in forma eremitica in Oriente con san Benedetto assumono una dimensione comunitaria attraverso la Regola e un preciso ritmo di vita che scandisce le ore del giorno e della notte. A quei tempi molti monaci erano vaganti, vivevano una vita spirituale e materiale disordinata, un'instabilità sia materiale sia spirituale che non giovava a loro né alla Chiesa. Benedetto porta la stabilitas, imposta una vita monastica stabile come una città".

- Ci può delineare in sintesi la figura di san Benedetto...
"Conosciamo la Regola e l'opera di san Benedetto. Le vicende della sua vita, raccontate da papa Gregorio Magno nei Dialoghi, sono in realtà una serie di miracoli che non corrisponde al nostro concetto di storia, ma ha un significato più profondo. La vita di Benedetto incarna la vita di Cristo, dei profeti e degli apostoli, così che in lui si manifesta la pienezza della grazia di Dio".

- L'epoca in cui nacque Benedetto, in cui "Roma moriva ridendo", è molto simile alla nostra. Come reagì il santo a quella situazione difficile?
"San Benedetto visse nel momento in cui, dopo la caduta di Roma e l'invasione dei barbari, la società era in disfacimento e sembrava che la cristianità stesse morendo. Benedetto si allontana dalla città e va a vivere nel deserto perché, quando la città diventa un deserto, è meglio vivere fuori. Lì Benedetto fa molti tentativi per inserirsi nelle esperienze spirituali eremitiche che già esistono. Ma presto intorno a lui si radunano discepoli ed egli, quasi senza volerlo, fonda nei dintorni 12 monasteri con 12 monaci ciascuno: una nuova città santa".

- Poi san Benedetto scrive la sua famosissima Regola, fondata sulla frase "ora et labora"...
"La formula Ora et labora coniuga il lavoro di Dio e il lavoro delle mani; così i monaci, "operai del Signore", imparano a "non anteporre nulla all'amore di Cristo", in modo che tutta la loro vita sia impostata sulla sequela".

- Il monastero è un luogo "strano", dove la regola accettata per amore porta alla vera libertà: quale lezione ne viene oggi per un tema in crisi come quello del rapporto educativo?
"San Benedetto creò la figura dell'abate nel senso più puro: valorizzando la sua capacità paterna e la capacità dei monaci di essergli figli, di seguirlo, di imparare da lui. Nel monastero di Benedetto nessuno veniva respinto: il dotto e il barbaro, l'ignorante e il bambino. I bambini venivano educati: ricordiamo il "piccolo san Placido" e il "giovane san Mauro", veri figli ed eredi spirituali di san Benedetto. Egli chiedeva ai suoi monaci, oltre alla stabilità, l'obbedienza, dove si gioca la propria libertà. Quando si deve ricostruire, il modo migliore per essere liberi è quello di ascoltare, di seguire un maestro. Nel monastero di Benedetto si imparava di tutto: a disboscare la terra, a irrigarla, ad allevare il bestiame, a custodire gli antichi manoscritti; si imparavano persino i primi rudimenti di quello che diventerà poi il moderno galateo. Il monastero tende a diventare una città. Invece, oggi noi immaginiamo il monastero accanto alla città, a esprimere il livello alto dalla vita. Per capire Benedetto bisogna invertire la questione: il monastero esprime il livello radicale, cioè di fondamento. Così Benedetto, nella sua Regola, che egli stesso chiama "piccola regola per principianti", non ha paura di dare indicazioni concrete, legate a ogni aspetto, anche materiale della vita. Bisogna ricostruire tutto e per fare ciò "non avere per sé nulla di più caro di Cristo". A questa condizione si può educare e anche castigare paternamente. La storia d'Europa ci testimonia che molte città sono nate intorno al nucleo di un'abbazia e non v'è luogo dove non vi siano tracce dell'azione dei monaci".

- Che differenza c'è tra il carisma di Benedetto e quello di Francesco?
"è interessante il confronto tra due carismi che sono solo apparentemente contraddittori: Benedetto parla di "stabilità", Francesco di "itineranza mendicante". La situazione storica evidentemente è cambiata: al tempo di san Benedetto c'era bisogno di fondare; al tempo di san Francesco la Chiesa è già molto stabile e ben fondata, forse un po' troppo: i monaci stanno nei loro monasteri, i vescovi sui loro seggi e la povera gente ai margini, abbandonata a sé stessa. San Francesco immagina una specie di monastero ambulante che si stabilisce presso la povera gente, nei lazzaretti e nei lebbrosari, per esempio".

- Oggi c'è bisogno del carisma di san Benedetto?
"Credo di sì; penso all'esempio dei movimenti nella Chiesa: ci insegnano che la vita cristiana riguarda tutti i cristiani, tutti i battezzati. In Benedetto c'è questa idea di partire dalla consacrazione a Dio per raggiungere tutti, anche i barbari. Oggi tutti i cristiani devono tendere alla pienezza della vita evangelica. Personalmente, sono convinto che i consigli evangelici - povertà, castità, obbedienza - prima di descrivere il consacrato sono la descrizione della nuova antropologia del cristiano di oggi. In questo senso è necessario collegare l'esperienza dei consacrati e degli sposati: il mondo deve diventare per i cristiani un grande monastero, dove non si esclude niente di tutto ciò che è umano, ma dove è visibile e incontrabile a tutti quel "tipo" umano creato da Dio e salvato da Cristo".

- Monasteri luoghi di memoria?
"Una memoria attiva, però, che non guarda al passato ma è rivolta al presente. Bisogna fare del monastero una famiglia e della famiglia un monastero".