Famiglia Cristiana n° 52 - dicembre 2009

SERGIO GOVONI: LA SAGGEZZA CHE ABBIAMO DIMENTICATO

L'ULTIMO INTARSIATORE

In attesa che Bologna dedichi un museo alle opere che il maestro ha donato alla sua città, la storia di un uomo che, grazie all'arte, si salvò dal lager nazista.

Sergio Govoni, bolognese, classe 1924, appartiene a un mondo vivo e schietto che oggi non esiste più. Ma che rivive nei suoi quadri, nati dall'arte preziosa e antica dell'intarsio: sottili frammenti di legno di diversi tipi e tonalità a disegnare immagini dai delicati colori. Il noce, il bosso, il ciliegio, il mogano e il bianco cangiante di un legno esotico che Govoni usa per i fare i petali delicatissimi delle sue rose, il fiore preferito.
A chi lo incontri per le vie della sua Bologna, e abbia voglia e tempo di ascoltarlo, quest'uomo dal carattere dolce e amabile (ma che, quando occorre, sa essere duro e spigoloso come le cornici dei suoi quadri), rivela un patrimonio insospettato di motti, arguzie e battute. Un tuffo nella saggezza del passato, a segnare la distanza con un presente distratto, superficiale e frettoloso che Govoni non ama. Per questo si rifugia ancora qui a lavorare nella sua bottega e rincasa tardi la sera.
Nei suoi intarsi troviamo perfettamente riprodotti i palazzi, le chiese e la gente della Bologna di un tempo, le strade senza le automobili e l'interno delle botteghe: il barbiere, il fabbro ("l'Eugenio che fabbricava gli attrezzi a mio padre Augusto, maestro mobiliere") e la sartina con la vecchia Singer. Figure che popolano la città e diventano protagoniste di piccole storie che hanno il sapore di un tempo: la mamma che scopre l'idillio tra la figlia e un vicino di casa; la donna gelosa alla finestra; o la maritata che sospira guardando fuori oltre i tetti e le case. E lui stesso, il piccolo Sergio, nella bottega paterna, con le mani dietro la schiena per nascondere un gioco.
Prosegue Govoni: "Una volta si sorrideva sempre. Oggi tutti hanno fretta. Qualche giorno fa mi hanno schiacciato tra le portiere dell'autobus e poi volevano mandarmi all'ospedale. Macché ospedale, io non ci voglio andare! La conduttrice dell'autobus si è scusata: "Non l'ho vista!". Io le ho sorriso: "Non importa, cosa ci vogliamo fare?"".
Lo spirito di Govoni è lo stesso, fermo e gentile come quello di tanti anni fa quando, dopo essere stato arrestato come disertore, il colonnello tedesco delle SS che stava per colpirlo viene fermato da quel sorriso da ragazzo: "Perché mi prende a botte, io non posso andare in guerra ad ammazzare chi non conosco, non vede, sono un artista, ho studiato Michelangelo e Raffaello". Così viene trattato come prigioniero politico e si salva la vita. Finita la guerra ritorna a lavorare con il padre e i due fratelli: disegnava i mobili e li impreziosiva con i suoi intarsi. Diventò anche maestro e sotto di lui sono passati una trentina di allievi.
Oggi Govoni è uno degli ultimi intarsiatori. Le sue opere sono state esposte in numerose personali; la città di Bologna l'ha ospitato in varie edizioni della fiera internazionale e su di lui è stato fatto anche un film, mentre un altro è in programmazione. Ma lui si ritrae: "Non sono mica un buffone", dice in bolognese.
Così come non vuole promuovere la sua immagine, non ha mai voluto vendere i suoi quadri ("se guadagno non lavoro più e mi ammalo") che considera i "suoi figli" e che ora vuole donare alla città. Gli spazi non sono ancora disponibili e per ora i quadri di Govoni sono visibili solo sul sito Internet www.comu ne.bologna.it/sergov Ogni tanto si presenta qualcuno per fargli fare testamento. Ogni tanto qualche agenzia prova a mettere in vendita l'appartamento dove lavora. "Macché testamento, macché vendite", brontola Govoni, "non sono ancora decrepito. Ma cosa credono, che stia per morire?".
Qualche volte di sera, nel tornare dalla bottega a casa, si accorge che la gente del quartiere non è più quella di un tempo, gentile e schietta come i protagonisti dei suoi quadri, che profumano di legno e di fatica. Come le sue mani ancora forti di uomo senza fronzoli, che nella vita ha contato solo sulle sue forze. E sul suo sorriso.
Govoni è fatto così. Appassionato alle cose nella loro realtà e concretezza. Sminuzzata e ricomposta nelle sue parole così come nelle infinite sfumature dei suoi intarsi. Vita quotidiana che si fa arte e poesia. "L'occhio è legato al cervello e nel cervello abbiamo tutta la nostra farmacia, tutto l'occorrente per vivere".
Negli occhi di Govoni leggiamo 85 anni vissuti con il cuore di un bambino. E ci auguriamo che Bologna, la sua Bologna, trovi presto uno spazio per allestirgli il museo. Un museo vivo in cui ci sia ancora il bancone su cui il maestro Govoni possa mostrare ai giovani come si lavora il legno. E raccontare le infinite storie nascoste nei suoi intarsi. Che solo lui conosce e sa raccontare.