Luoghi dell'infinito / Avvenire - dicembre 2007

LONGHI, LA LUCE DEL PARTICOLARE

La sua collezione in mostra ad Alba: un percorso dal Duecento a Morandi che svela il genio di chi ha saputo rinnovare la critica dell'arte italiana.

C'è un'invisibile presenza che accompagna i visitatori della mostra Dal Duecento a Caravaggio a Morandi ad Alba, negli spazi della Fondazione Ferrero. Qui, dove si organizzano convegni e mostre per valorizzare l'arte e la cultura piemontese, si può dire che, in qualche modo, il genius loci di Roberto Longhi - è lui il nostro misterioso accompagnatore - sia tornato nella sua terra d'origine per mostrarci la sua preziosa raccolta privata. La sua quadreria. Quella che lui amava definire "la mia piccola raccolta". Oggetto di studio e non di collezionismo (ne aborriva il termine). Si tratta di opere scelte dal suo intuito di grand connneisseur, bellissime e che vengono dalla villa "Il Tasso", sulle colline di Firenze, dove Longhi si trasferì fin dal 1939. Villa che oggi è sede della Fondazione Longhi, dove oltre ai quadri si trovano la fototeca (60.000 unità) e la biblioteca (37.000 volumi).

Roberto Longhi era nato ad Alba nel lontano 1890, lo stesso anno di Carlo Carrà, anche lui piemontese, grande amico stimatissimo da Longhi insieme ad altri due contemporanei e amici: Giorgio Morandi e Filippo De Pisis. Con un salto all'indietro, dopo aver esordito nel 1913 con un saggio sui futuristi, Longhi ebbe il merito di accendere le luci sui grandi nomi dell'antica pittura italiana: Giotto, Cimabue, Pisanello, Masaccio e Masolino; Piero della Francesca, cui dedicò nel 1927 un saggio importantissimo; poi Caravaggio e i lombardi Ceruti e Moroni, oggetto di due indimenticabili mostre a Palazzo Reale a Milano: Caravaggio e i caravaggeschi (1951) e I pittori della realtà in Lombardia (1953).
Rispetto alla cultura ufficiale, toscanocentrica , Longhi valorizzò le correnti artistiche locali, eccentriche al rinascimento fiorentino. Scoprendo "altri rinascimenti" in Umbria, Emilia, Veneto, Lombardia, Piemonte. Oggi l'officina ferrarese, la scuola bolognese e veneta, Benozzo Bozzoli, fra Galgario sono stati e sono al centro di importanti mostre. A riprova della preveggenza del grande critico.

I quadri della Collezione Longhi esposti qui ad Alba (77 dei 144 della collezione fiorentina) rivelano queste sottili concordanze, questi continui richiami. Anche con la pittura europea. Gli influssi fiamminghi, per esempio, che attraverso la Provenza giunsero a Napoli, sono qui documentati dalla tempera su tavola Il beato Egidio del Colantonio, presso la cui bottega si formò lo stesso Antonello da Messina. Così il realismo e la concretezza della cultura nordica si sposano con la solarità della luce mediterranea che avvolge i corpi, ne fa "sentire" il calore. Quella luce è il segreto della bellezza di molte opere esposte: dagli Apostoli di Bernardino Butinone alla Madonna col bambino del Bergognone, dal Congedo di cristo di Defendente Ferrari al Cristo alla colonna di Liberale da Verona. Tutti artisti, si noti, di area piemontese e lombardo-veneta. Acquistando e studiando questi artisti Longhi tesseva le trame di una nuova e per quei tempi rivoluzionaria storia dell'arte. Fatta di "minori" che oggi non lo sono più.

In apertura di mostra, di fronte alla tavola tardo-bizantina Natività del Maestro della Cappella Dotto - così ieratica e preziosa nel suo fondo oro - si rimane sorpresi nel pensare all'attenzione prestata da Longhi a un filone allora pressoché sconosciuto alla critica d'arte come l'icona. Ma per lui, che l'acquistò negli anni Trenta, era la testimonianza viva del passaggio dall'arte bizantina a Cimabue. A metà del percorso espositivo, in una nicchia separata dal resto, ecco Ragazzo morso dal ramarro di Caravaggio: dobbiamo immaginare quel prezioso dipinto appeso, come una reliquia, nella camera da letto di Longhi, alla fine del suo percorso umano. L'ultimo quadro che ebbe sotto gli occhi il 3 giugno del 1970, quando morì. Nel quadro la morte sfida la vita che si ritrae con una smorfia inorridita e sensuale.

Chiude la mostra, come una visione, la Natura morta con drappo giallo (1924), in cui la chiara solarità delle superfici luminose, dei piani e dei volumi, manifestano il genio di Morandi (che Longhi considerava il più grande tra i moderni) e ci rivelano in sintesi quella "luce del vero" che Longhi ricercò sempre nell'arte.

C'è un altro aspetto da sottolineare visitando Dal Duecento a Caravaggio e Morandi. Quello della modernità. Sia che ci troviamo di fronte a un fondo oro trecentesco (come la bellissima Pietà di Vitale da Bologna), a una tela caravaggesca (Salomè e Dalila di Gioacchino Assereto), a un ritratto del Settecento (Ritratto di giovane pittore con berretto rosso di Fra Galgario) o a una marina di Carrà (Vele nel porto), tutte queste immagini ci interpellano all'unisono perché hanno proprio la modernità come denominatore comune: la patina del tempo sembra sparire, sono opere che parlano al nostro presente e lo interrogano.

La modernità accompagna anche la vita e le scelte di Longhi. Egli per primo intuì l'importanza del rapporto tra arte, fotografia e cinema. Oltre alla sua straordinaria fototeca personale promosse l'idea di un archivio a colori di foto d'arte: quello che sarebbe poi diventato l'archivio Scala. Quanto al cinema Longhi ebbe come allievo a Bologna Pier Paolo Pasolini che fu così colpito dalle "folgorazioni figurative" del critico che se ne lasciò ispirare per le sceneggiare "pittoriche" di molti suoi film. Di rimando Longhi stesso utilizzò e promosse la tecnica cinematografica per realizzare i primi documentari d'arte.

Oggi il cinema è pieno di citazioni da opere d'arte e il metodo Longhi è stato così acquisito per silenziosa osmosi che anche ai bambini delle elementari si insegna a riconoscere un quadro da un particolare. In realtà, però, come ricorda un suo allievo, lo storico dell'arte Giuliano Briganti, "ci mostravamo reciprocamente dei piccolissimi particolari di un dipinto: la piega di un panneggio, la fronda di un albero, una nuvola, un ricciolo, sino all'estrema sfida di un'unghia, di un filo d'erba, e analizzandoli e discutendone dovevamo arrivare non a riconoscere l'opera per puro esercizio mnemonico, ma a conoscerne l'autore attraverso l'analisi dei pochi elementi a disposizione".

Tornando alla mostra, il nostro silenzioso accompagnatore Longhi ci ha così fatto capire che l'arte non ha tempo e dialoga attraverso i secoli con la società in un gioco libero di rimandi. Scrivendo che "l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa" egli la rimette in scena, ne fa circolare la linfa vitale e attraverso la magnifica prosa d'arte dei suoi scritti (Da Cimabue a Morandi, Meridiani 2004, imperdibile) la fa rivivere per noi.
Ancora tre esempi riscontrabili in mostra. La vergine con Bambino e san Giovannino di Guido Reni dipinta dal grande maestro bolognese negli ultimi anni della sua vita (1640-42) con toni pacati e vaporosi, di una religiosità così intimista e familiare da apparire moderna. Il Giovane con canestro di fiori del bresciano Dosso Dossi (1524 circa) dalla stupefacente felicità chagalliana. La Nevicata miracolosa sull'Esquilino (1508) in cui la neve scesa in estate (per indicare a papa Liberio l'area dove dovrà sorgere Santa Maria Maggiore) trasforma il paesaggio in un delicato quadro puntinista, che a Longhi ricordava Seurat. Così Longhi ci consegna la chiave della bellezza di oggi e di ieri.

La Collezione di Roberto Longhi: dal Duecento a Caravaggio a Morandi. Aperta fino al 10 febbraio. Fondazione Ferrero, Strada di Mezzo, 44 Alba (Cuneo) feriali 15-19; giovedì 15-22; sabato, domenica e festivi 10-19; Ingresso libero. Tel. 0173-295259 info@fondazioneferrero.it - sito web: www.fondazioneferrero.it