Luoghi dell'Infinito / Avvenire - maggio 2011

Alla scoperta di un atelier urbano: la Cappella degli Scrovegni, gli Eremitani, il Battistero, la Basilica del Santo, l'Oratorio di san Giorgio.

IL BELLO DELL'AFFRESCO DA GIOTTO AD ALTICHIERO

La mostra su Guariento di Arpo, pittore di corte alla reggia dei Carraresi - signori di Padova dal 1318 al 1405 - è un invito a scoprire i principali cicli di affreschi dell'età d'oro della pittura e della cultura padovana. Bisogna partire dal capolavoro unico e insuperato di Giotto, la grande cappella fatta edificare dall'usuraio Enrico degli Scrovegni (che Dante mette all'inferno ma Giotto riscatta, inserendolo come offerente nel grande Giudizio Universale), per capire la pittura di Guariento e degli altri grandi artisti-registi che trasformarono Padova in un vero e proprio atelier d'arte, creando luoghi di eccezionale bellezza - camerae pictae - dove, tra gusto sacro e profano, si celebra la fede cristiana ma anche l'immagine dinastica della ricca committenza.

Rispetto al dettato degli Scrovegni, in cui Giotto imposta il ciclo dei suoi 35 riquadri con storie dell'infanzia di Maria e della vita di Gesù, come scene a sé stanti separate da cornici, suggerendo una lettura temporale e scritturale (simile alla partitura di una monodia gregoriana), nei cicli di affreschi del padovano Guariento (nativo di Piove di Sacco), del fiorentino Giusto de' Menabuoi o del veronese Altichiero da Zevio la grammatica pittorica giottesca si evolve secondo una libertà espressiva polifonica, a più voci e registri: ai personaggi sacri si mischiano i profani, le vesti si ammorbidiscono e impreziosiscono secondo la moda (Padova era tra i più bei mercati di panni del mondo), gli edifici si espandono in acrobatiche arcate gotiche, arditi spaccati, complicate prospettive (frutto degli studi di ottica e matematica che si tenevano all'università patavina).

Così gli avvenimenti si sovrappongono, i personaggi si infittiscono, il ritmo narrativo assume la fluidità di una fiaba, le divisioni in riquadri saltano e frequenti flashback ci consentono di navigare avanti e indietro nel tempo. Se Giotto, con la sua pittura, insegnò drammaticità d'azione e naturalezza di ambientazione, i suoi seguaci moltiplicarono questi elementi ampliandone al massimo le possibilità e traghettando la pittura italiana dalla grandiosa sacralità romanica alla affascinante cultura gotica cortese e internazionale.

Affrontando possibilmente a piedi un percorso che può andare dalla Reggia carrarese agli Scrovegni e agli Eremitani, dal Battistero alla basilica di sant'Antonio (con le cappella dedicate a san Giorgio, a san Giacomo e al beato Luca Belludi) si ha la possibilità di incontrare innanzitutto quella grande opera d'arte diffusa che è la città stessa di Padova con le sue piazze e i suoi portici; e con le sue torri: quella del tiranno Ezzelino per esempio, o quella del castello dei Carraresi, oggi sede del Museo astronomico, che offre una inedita visione della città dall'alto. Sarà poi più facile rintracciare negli affreschi quei profili architettonici padovani che fanno da ambientazione agli episodi narrati, in un confronto tra città ideale e reale che ci fa sentire coinvolti in prima persona, ritratti anche noi tra la folla come comparse di una moderna fiction televisiva.

Prima tappa è la cappella privata della reggia Carrarese, che oggi si trova nell'Accademia galileliana. Qui Guariento, al suo primo incarico di corte, dipinse gli affreschi con storie dell'Antico testamento che terminò entro il 1354. Gli affreschi si integravano con uno dei cicli più belli e completi di gerarchie angeliche su tavola esistenti al mondo, vere e proprie icone (Guariento qui è influenzato dai bizantini e da Paolo Veneziano) che troveremo esposte nelle sale della mostra. Come in queste tavole, così negli affreschi (in ciò che resta) colpiscono gli sguardi di questi angeli, commossi per le sorti umane eppure penetranti e misteriosi come di chi è fisso in Dio. L'angelo che libera i tre fanciulli Anania, Azaria e Misaele dalla fornace ardente, per esempio; oppure la "trinità angelica" apparsa ad Abramo al querceto di Mamre. Nel richiamo di Dio ad Adamo ed Eva dopo il peccato originale Eva, nuda e bellissima, i lunghi capelli sciolti, ricorda la bellezza femminile cantata da Petrarca e si atteggia a modella, più compiaciuta di essere guardata che impegnata a rispondere a Dio. A questo nudo di Guariento replica Altichiero nella cappella di san Giorgio con un pudico, coraggiosissimo nudo di santa Caterina,.

Accanto agli Scrovegni, nella chiesa degli Eremitani, colpita nel 1944 da una bomba, restano alcuni affreschi realizzati da Guariento tra il 1361 e il 1365 per il presbiterio (e nella cappella Ovetari frammenti ricostruiti del Mantegna). Nelle storie dei santi Filippo e Agostino Guariento ambienta l'episodio della conversione di Agostino nel giardino di casa dove, ascoltato il suggerimento di un angelo, il futuro vescovo di Ippona rientra in casa per leggere al suo discepolo Alipio un brano della lettera ai Romani (13,13): lo studiolo richiama lo scriptorium di un umanista come Petrarca che a Padova scrisse il De viris illustribus. La scena successiva, compressa nello spaccato di una chiesa gotica (con tanto di abside dipinta, matroneo e navate laterali), racconta la vestizione di Agostino mentre nella navata di sinistra la madre, santa Monica, assiste commossa. Dagli Eremitani passando dal palazzo della Ragione (un ciclo, forse di Giotto, fu interamente perduto nell'incendio del 1420) si raggiunge la piazza del Duomo con il Battistero affrescato tra il 1375 il 1378 da Giusto de' Menabuoi. La cupola è formata da sei cerchi concentrici di angeli e santi (108 figure in successione prospettica) roteanti intorno alla figura centrale di Cristo. è la visione della "rosa" del Paradiso di Dante tradotta in pittura con una capacità di persuasione "ottica" che convince, avvince, attrae ed eleva.

Nel tamburo storie della Genesi e ai lati del Battistero quattro grandi archi con episodi della vita di Giovanni Battista, Maria e Gesù: ai miracoli assistono tra la folla Francesco Petrarca, Francesco di Carrara e sua moglie Fina Buzzaccarini, la committente, qui sepolta in una ricca tomba. Nella grandiosa Crocifissione di Giusto de' Menabuoi la folla si accalca così numerosa sulle pendici del Calvario come se tutta Padova fosse accorsa per partecipare all'evento. E, nell'abside, le illustrazioni dell'Apocalisse sono un invito a riprendere in mano un testo difficile ma ricchissimo di immagini anche attuali.

Da piazza Duomo verso il Prato della Valle incontriamo la basilica di sant'Antonio. Nella navata di destra, dalla parte opposta all'Arca con la tomba del Santo, si apre la cappella di san Giacomo con la grandiosa crocifissione di Altichiero. Il committente è Bonifacio Lupi di Soragna che fece da mediatore tra re Luigi d'Ungheria e Francesco Carrara nella loro alleanza contro Venezia. E Lombardo della Seta, discepolo del Petrarca, stipulò il contratto per la decorazione della cappella con lo scultore Andriolo De Santi. Consacrata nel 1376, la cappella fu dipinta non solo da Altichiero ma anche dal bolognese Jacopo Avanzi. Si giustifica con la committenza Lupi il fatto che le scene laterali raccontino le storie di san Giacomo il cui corpo, dopo il martirio, venne accolto in Spagna dalla mitica regina Lupa, ritenuta antenata dei Lupi di Soragna e che, secondo la leggenda, si convertì, ricevette il battesimo e trasformò il suo palazzo in quella che sarebbe poi diventata la famosa cattedrale di Santiago di Compostella.

Appena fuori dalla basilica antoniana la cappella di san Giorgio, capolavoro di Altichiero (1379) realizzata per contenere la tomba di Raimondino Lupi (cugino di Bonifacio Lupi di Soragna), è affrescata con storie di san Giorgio, santa Lucia e santa Caterina il cui corpo, dopo il martirio, viene trasportato dagli angeli sulla cima del monte Sinai, ai cui piedi sorgerà il famoso monastero ortodosso di santa Caterina del Sinai. Infine all'interno di sant'Antonio ritroviamo la mano di Giusto de' Menabuoi nella cappella del beato Luca Belludi (1382), discepolo di sant'Antonio, ambiente edificato per Naimerio e Manfredino Conti, familiari dei Carraresi e qui sepolti. L'affresco con la visione che il beato Belludi ebbe di sant'Antonio che gli annunciava la liberazione di Padova dalla tirannia di Ezzelino da Romano ci regala un'ultima prospettiva a volo d'uccello di una città d'arte che ci è ormai divenuta familiare.