Luoghi dell'Infinito / Avvenire - febbraio 2013

CONCORDANZE

L’ebbrezza di Cristo, ubriaco d’amore

Come racconta il libro della Genesi (capitolo 9, 18-24) Noè, dopo il diluvio, piantò una vigna, raccolse i grappoli, li pigiò e, ottenuto del buon vino, ne bevve fino ad addormentarsi, ubriaco e privo dei vestiti. L’episodio, umiliante per l’anziano patriarca, ma anche curioso e dai risvolti un po’ enigmatici (il figlio Cam scopre la nudità del padre e i fratelli Sem e Iafet corrono a ricoprirla), ha ispirato molti artisti. Ma forse nessuno di essi ha saputo rendere il significato cristologico di questo episodio come l’ignoto scultore gotico che realizzo l’Ebbrezza di Noè sulla facciata di Palazzo Ducale, a Venezia, all’angolo che dà verso il Ponte dei Sospiri. L’artista sembra ispirato dalle parole stesse di sant’Agostino: «Fu Cristo a piantare la vigna, lui a bere il vino nella passione salvifica fino a ubriacarsi e a giacere scoperto in modo che apparisse la forza-debolezza della Croce».
Noé appoggiato con tutto il peso del suo corpo alla vigna assomiglia a Gesù in croce. La forza di Cristo crocifisso si esprime nell’estrema debolezza di Noè che barcolla ubriaco, mentre gli occhi gli si chiudono e la coppa del vino si rovescia a terra. La posizione delle braccia richiama anche la figura dell’orante, per esempio nella crocifissione lignea del portale di Santa Sabina a Roma. Il fiotto di mosto che irrora la terra di mosto ricorda il sangue che sgorga dal costato di Cristo. La mano che coglie il grappolo dell’uva ricorda Gesù che nell’Orto degli ulivi riceve dall’alto l’amaro calice della Passione.
Nel Noè veneziano scopriamo insomma l’immagine di Gesù in croce che unisce con le braccia la terra e il cielo. Il suo corpo si identifica con la Chiesa “ vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci e, appoggiata all'albero della croce, si innalza al tuo regno” (liturgia ambrosiana, prefazio della festa della dedicazione del duomo). Ma c’è di più. Nell’immaginario biblico (per esempio negli affreschi delle logge di Raffaello), il gigantesco grappolo d’uva portato a spalla dagli esploratori di ritorno dalla terra di Canaan (Numeri 13,23) approfondisce l’identificazione grappolo-Cristo. La sua fecondità sta nel fatto che verrà pigiato: “Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me” (Isaia 63,3).
Senza spremitura l’uva non può produrre quel vino eccellente che inebriò Noè. Secondo i Padri della Chiesa l’ebbrezza di Noè non era causata dal vino ma dallo Spirito Santo. E Andrea di Creta nelle sue Omelie mariane scrive: “Gli occhi di chi sono lucidi per il vino se non quelli di Cristo? Con riferimento a lui ancora una volta nel Cantico l’anima sposata a Dio dice: Mi hai introdotto nella cella del vino (Ci 2,4): come se dicesse: mi hai introdotto nella cella della Chiesa nella quale è posto il calice della gioia, versato per la salvezza nel sangue dell’Agnello”.

Ebbrezza di Noè, 1419, altezza 150 cm, scultura, gruppo d’angolo, Palazzo Ducale, Venezia.