Jesus n° 02 - febbraio 2010

L'OSTENSIONE DEL SANTO GLOBALE

Dal 15 al 20 febbraio, il corpo del Santo di Padova sarà esposto nella Basilica veneta. Dopodiché tornerà nella sua sede originale, all'interno della splendida cappella dell'Arca, capolavoro cinquecentesco finalmente restaurato.

Festa di tutte le feste e ricordo di tutte le traslazioni del corpo di sant'Antonio - come sottolinea padre Enzo Poiana, rettore della Pontificia Basilica di Sant'Antonio a Padova - è per la città e la Chiesa patavina la data del 15 febbraio. Data che ritorna ogni anno a ricordare quella del 15 febbraio 1350 quando la tomba di Antonio ebbe la sua collocazione definitiva. Il popolo padovano chiama questa ricorrenza "la festa della lingua", a ricordo del grande fatto miracoloso avvenuto 32 anni dopo la morte del Santo: l'8 aprile del 1263, durante la ricognizione sul corpo, san Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'Ordine francescano (di cui Antonio faceva parte), trovò la lingua incorrotta: intatta e rosea come fosse viva. Da quel giorno la preziosa reliquia - che testimonia il grande dono della predicazione che Dio aveva concesso ad Antonio - è esposta insieme con altre reliquie antoniane e non nella grande cappella barocca del Tesoro della Pontificia Basilica del Santo a Padova.

Quest'anno, dal 15 al 20 febbraio, l'intero scheletro del Santo taumaturgo padovano (nato in realtà a Lisbona, in Portogallo, intorno al 1195) sarà reso vivibile attraverso la teca in cristallo estratta dalla cassa di rovere che la contiene ed esposta nella cappella delle reliquie. Si tratta di un'ostensione eccezionale che permetterà di venerare l'intero corpo del Santo, parte nell'urna di cristallo e parte attraverso i vetri dei preziosi reliquiari d'oro e pietre preziose in cui si conservano il mento, la lingua e il dito del Santo. La sera del 21 febbraio la bara ritorna nella sua sede originale, la cappella dell'Arca, da dove era stata rimossa un paio d'anni fa per consentire il restauro del prezioso ambiente cinquecentesco.

I pellegrini che dopo questa particolare ostensione torneranno al primitivo percorso intorno alla tomba del Santo scopriranno che la cappella dell'Arca è un vero e proprio scrigno d'arte e di fede; a partire dal rivestimento in marmo di Carrara ricco di intarsi, stucchi dorati, statue in bronzo brunito e candidi altorilievi. La cappella si affaccia sulla navata centrale della Basilica con un agile colonnato ed è racchiusa tra l'oro del soffitto, realizzato su cartoni di Raffaello, e il verde intarsio del pavimento. All'interno, al di là di una balaustra, una scalinata con sette gradini porta all'altare sopraelevato con tabernacolo e statue bronzee di sant'Antonio tra san Bonaventura e Ludovico d'Angiò; completano l'arredamento liturgico due splendidi candelabri in argento massiccio, cesellati da orafi veneziani e sopraelevati su raffinati basamenti marmorei.
Ma soprattutto la cappella dell'Arca, attraverso la scansione dei nove archi ciechi delle tre pareti, offre ai pellegrini e agli appassionati d'arte nove splendidi altorilievi che corrono lungo gli intercolumni dei tre lati, ad altezza d'uomo, raccontando la vita e i miracoli del Santo più venerato e invocato al mondo: Antonio da Padova. Santo la cui fama è inversamente proporzionale alla conoscenza che abbiamo della sua vita e persino dei suoi miracoli, che gli valsero la canonizzazione a neppure un anno dalla morte (avvenuta il 13 giugno del 1231) da parte di Gregorio IX, lo stesso Papa che quattro anni prima aveva dichiarato santo Francesco d'Assisi.

L'occasione del restauro dell'Arca è provvidenziale per scoprire la figura di Antonio attraverso l'arte che, come umile ancella, viene in soccorso alla fede e alla devozione antoniana e ce ne dà le ragioni. Gli altorilievi dicono, con il linguaggio dell'arte, come i miracoli sono fatti autentici, reali, avvenuti in un luogo preciso: la Padova del Duecento e i suoi cittadini, i loro vizi e le loro virtù. Miracoli testimoniati davanti al Papa da una commissione mista di canonici e laici patavini: non solo il clero, ma anche l'intellighentia della Padova universitaria.

Di miracoli comunque, ce n'è sempre bisogno, oggi come ieri. E il marmo dell'Arca ci rivela - come oggi farebbero le pagine dei quotidiani - i drammi e le disgrazie della Padova di allora, che la presenza di Antonio riscattò, evitando che si trasformassero in tragedie. Così il popolo padovano, appena Antonio morì, già gridava: "Santo subito!". In questi altorilievi realizzati nelle migliori botteghe veneziane del Cinquecento, tra cui quella di Jacopo Sansovino e dei fratelli Antonio e Tullio Lombardo, il ritmo della cronaca si trasforma in sacra rappresentazione e scandisce, con grande espressività, i fatti e i miracoli in quadri fissi, a grandezza naturale, accompagnati, nelle lunette sovrastanti, da altrettante visioni di Padova intarsiate nel marmo.
Fatti e miracoli di Antonio che possiamo leggere nelle fonti (la Vita assidua di anonimo o la Rigaldina di Giovanni Rigoldi) rimbalzano a noi attraverso la scultura con la forza di una nuova modernità: ghigni, smorfie, sorrisi; volti di madri disperate che chiedono aiuto; e, sopra tanta agitazione scenica, la presenza pacata del Santo, il suo volto sereno, la sua mano sicura che benedice, guarisce, resuscita.

Come in una sequenza di sacri misteri, nel primo quadro il venticinquenne Fernando (questo il nome di battesimo del Santo portoghese) si spoglia dell'abito agostiniano, ordine in cui aveva compiuto gli studi ed era diventato sacerdote nel monastero di Coimbra, per indossare il ruvido saio dai seguaci di san Francesco, dal cui carisma era rimasto affascinato. L'immagine di Antonio spoglio e in ginocchio davanti ai superiori ricorda il san Francesco di Giotto che rinuncia ai suoi averi davanti al padre Pietro Bernardone e al vescovo di Assisi. La nostra galleria in marmo, a uso dei pellegrini, prosegue e dal monastero di Coimbra (siamo nel 1220), con un salto di otto anni, ci trasporta nella Padova del 1228, città in cui Antonio visse solo gli ultimi tre anni della sua esistenza terrena. Possiamo colmare il vuoto di questi otto anni attraverso una qualsiasi biografia scritta su sant'Antonio e che ci riserverà non poche sorprese.

Riassumiamo per sommi capi. Antonio, entrato nell'Ordine di san Francesco, vuole seguire l'esempio dei primi cinque francescani missionari incontrati in Portogallo e che, in Africa, a Marrakech, il 16 gennaio 1220 subirono il martirio da parte dei saraceni. Antonio parte dunque per il Marocco nell'autunno dello stesso anno (a Lisbona ha studiato arabo) ma, giunto sulle coste africane, si ammala ed è costretto al ritorno. Fa naufragio in Sicilia, dove lascia dietro di sé una fama di miracoli e leggende che ancora oggi sopravvive nella memoria e nelle tradizioni popolari dell'isola e dei suoi migranti sparsi nel mondo. Nel 1221 è alla Porziuncola dove incontra Francesco d'Assisi e partecipa al cosiddetto Capitolo delle stuoie (30 maggio - 8 giugno). Diventa provinciale dell'Ordine in Romagna e rivela l'eccezionale formazione biblica e culturale ricevuta in Portogallo dagli agostiniani.
A Bologna fonda una facoltà teologica francescana. Istruisce i frati e viene mandato da Francesco a predicare contro catari e albigesi. In Francia partecipa al Concilio di Arles (dove Francesco appare in bilocazione, come si vede ancora negli affreschi di Giotto); poi è a Montpellier, Tolosa (dove avviene il miracolo della mula), Limoges. Partecipa al capitolo generale di Assisi del 1227. Diviene provinciale dell'Emilia. Predica gli esercizi a papa Gregorio IX, che lo trattiene a Roma e da cui verrà canonizzato.

La nostra galleria marmorea può qui riprendere facendoci riscoprire, negli otto quadri successivi, la figura di Antonio protagonista della vita civile della Padova del primo Duecento: la Padova oppressa dal tiranno Ezzelino da Romano, la Padova universitaria, la Padova delle madri, delle famiglie, dei problemi matrimoniali; la Padova dei buoni sentimenti ma anche delle invidie e delle gelosie. Ecco il riconoscimento di un figlio ritenuto illegittimo (il neonato parlante); la rabbia di un marito geloso (e poi pentito); la disperazione di una madre davanti al figlio di pochi mesi annegato che viene resuscitato dal Santo; la sfida di un eretico che chiede una prova dell'esistenza di Dio: un bicchiere di cristallo gettato da una torre non si spezza (ed è ancora conservato tra le reliquie antoniane). Poi la resurrezione della ragazza annegata; il miracolo del piede tagliato per voto e poi riattaccato; la resurrezione di un giovane affinché attesti l'innocenza del padre dello stesso Antonio.
Ricerca di verità nei rapporti umani. E cronaca di ordinaria quotidianità: annegare a Padova era facile anche per un adulto, a causa della fitta rete di rogge e canali. Storie vere o "verosimili" che si concludono al meglio grazie alla presenza carismatica di Antonio; oppure semplici metafore come l'episodio della sezione del cadavere di un usuraio, nel cui petto non viene più trovato il cuore, rinvenuto poi in un forziere.

Alle prediche di Antonio accorrevano così tante persone, da Padova e da fuori, che la gente per aspettare di ascoltarlo dormiva all'addiaccio e Antonio era costretto a predicare nelle campagne perché le chiese della città non erano sufficienti ad accogliere i suoi uditori. Privazioni e disagi che lo portarono a morire a 36 anni non ancora compiuti. L'ultima ricognizione medico-scientifica fatta sul suo corpo nel 1981 conferma che Antonio morì sfinito per l'eccesso di zelo apostolico che lo portava, specie nei periodi quaresimali, ad affrontare interminabili giornate di predicazione e poi a confessare per ore e ore, fino a tarda notte, nutrendosi scarsamente e non concedendosi che poche ore di sonno.
Dopo la Quaresima del 1231 si ritirò nei pressi del convento dell'Arcella, su un grande albero di noci, in una capanna che si fece costruire sui rami con accanto altre due capanne per i suoi confratelli che lo assistevano. Era giugno e, come scrive il suo primo biografo: "Vedendo che il popolo doveva attendere al necessario lavoro del raccolto, Antonio giudicò di dovere interrompere la predicazione" (Assidua).

Sentendo prossima la fine Antonio desiderò essere trasportato a Padova nella chiesetta-oratorio di Santa Maria Mater Domini, luogo che amava più di ogni altro e che oggi corrisponde alla cappella di Luca Belludi, suo discepolo, i cui resti riposano proprio nella prima bara di Antonio, visibile dietro l'altare della cappella stessa.
Ma alla sua morte scoppiò il caos e, per capire cosa rappresentasse Antonio per Padova, dobbiamo leggere la sua prima biografia: "I frati cercavano con ogni diligenza e cautela di tener celata agli estranei non meno che ad amici e conoscenti la beata morte di Antonio, onde non venir travolti dal subbuglio delle folle, quand'ecco frotte di fanciulli si misero a percorrere la città gridando: "è morto il padre santo! è morto santo Antonio!". Udendo questo la popolazione accorre in fitte schiere all'Arcella, trascurando le proprie occupazioni, con cui si guadagnava da vivere (...). Primi fra tutti si precipitano in un baleno gli abitanti di Capo di Ponte, in gran moltitudine, con numerosi robusti giovani, e senza indugio dispongono intorno al convento scorte armate" (Vita Assidua, 18, 1-3).
Scoppia quindi la contesa per il possesso del corpo di Antonio tra gli abitanti della vicina frazione di Pontelungo - che rivendicavano il fatto che Antonio fosse morto nel loro territorio - e il clero e il popolo di Padova. I frati dell'Arcella seppellirono frettolosamente il corpo in attesa che la questione fosse risolta. A Padova si sfiorò una vera e propria guerra civile, ma poi la lite si ricompose e dal 13 giugno, giorno in cui Antonio fu sepolto all'Arcella, si arriva al 17 giugno quando, disseppellito il cadavere (anche la terra fu salvata come reliquia preziosa), il Santo fu trasferito nella chiesetta Santa Maria Mater Domini. Il timore dei frati e delle autorità era che, durante il tragitto, le spoglie mortali di Antonio fossero assaltate e contese dalla folla che desiderava toccarle o impossessarsi addirittura di qualche preziosa reliquia, fosse pure un brandello della veste. D'altronde pochi mesi prima, durante la predicazione quaresimale, vennero assegnate ad Antonio alcune guardie del corpo per proteggerlo dalla folla.

Alla sua nuova e definitiva sepoltura in Santa Maria Mater Domini - l'oratorio intorno a cui sorse nei secoli l'attuale Basilica - il corpo fu onorato solennemente dal vescovo e dal podestà e iniziò subito ad accorrere gente dalla città e dalla campagna. Da quel momento si moltiplicano le guarigioni istantanee a contatto con la tomba e inizia quello che ancora oggi è lo stupefacente, quotidiano, ininterrotto fluire di pellegrini da tutto il mondo: seme di quella universalità che Antonio ha conquistato nel tempo, così che papa Leone XIII arriva a chiamarlo "il Santo di tutto il mondo". Leggiamo nella Vita Assidua: "Accorrono i veneziani, si affrettano i trevigiani, si notano vicentini, lombardi, slavi, aquileiesi, teutoni, ungheresi; i quali tutti, vedendo con i loro occhi rinnovarsi i miracoli e moltiplicarsi i prodigi, lodavano e glorificavano l'onnipotenza del Creatore".

Ed è la folla dei devoti la protagonista dell'iconografia di Antonio, come possiamo vedere nei quattro bassorilievi in bronzo che Donatello realizzò, cinquant'anni prima dei rilievi dell'Arca, per l'altare maggiore della Basilica. Qui la presenza della folla è traboccante. A questi bassorilievi di Donatello si sono certamente ispirati gli scultori dell'Arca, sia nell'espressività sia nell'uso della tecnica dello "stiacciato", che permette di rappresentare vari piani prospettici, passando dal rilievo a tuttotondo alle più lontane dissolvenze e sfumature pittoriche. Tra i rilievi di Donatello è rappresentato il miracolo della mula che, dopo essere stata tenuta per tre giorni senza cibo, si inginocchia davanti all'Eucarestia anziché andare verso la biada; episodio notissimo, avvenuto a Tolosa, ma che manca nei rilievi dell'Arca.

A pochi passi dall'Arca, appena usciti dalla Basilica sulla destra, il ciclo di affreschi cinquecenteschi appena restaurati che si trovano al primo piano della Scoletta del Santo, nella sala conciliare, completano la conoscenza per immagini che un pellegrino può farsi in loco sulla vita di Antonio. Uno di questi affreschi ci dà la dimensione di quell'evento davvero "di popolo" che rappresentò il trasferimento del corpo del Santo dall'Arcella a Padova. In un altro affresco ecco che, per intercessione di Antonio, Padova viene liberata dal Ezzelino da Romano (significativamente molti nemici del tiranno venivano sepolti nell'Arca, sotto la protezione di sant'Antonio). Ma, all'interno del ciclo, sono soprattutto degni di nota dal punto di vista artistico gli episodi che portano la firma di Tiziano (1510-1511): il miracolo del neonato che parla, quello del piede riattaccato e quello del marito geloso; infine l'affresco che rappresenta Nicola di Stra mentre distribuisce il "pane di sant'Antonio".

Ma quanto è estesa la devozione antoniana nel mondo, quanti sono i luoghi dove si prega in una chiesa a lui dedicata? Da una rapida occhiata ai dati forniti dalle edizioni del Messaggero, scopriamo che Antonio, "sole di Padova", brilla sui cinque continenti: chiese, santuari, parrocchie o semplicemente un altare, una cappelletta o una statua ne celebrano la memoria un po' dovunque; intorno a questi luoghi si radunano i fedeli per le varie feste e ricorrenze, sentitissime soprattutto dagli immigrati italiani sparsi nel mondo, che tengono vive le iniziative di carità come il "pane di sant'Antonio".
In ogni regione d'Italia sant'Antonio è patrono almeno di una città. All'estero è patrono del Portogallo e del Brasile, nazione che vanta un record di 411 parrocchie e addirittura 19 basiliche o cattedrali antoniane. In Spagna esistono 320 romitori, 117 chiese parrocchiali e 5 santuari a lui dedicati e un ciclo di affreschi dipinto a Madrid da Francisco Goya. In Francia centri antoniani sono presenti ad Avignone, Marsiglia, Parigi e in Provenza. Altri Paesi: Gran Bretagna, Belgio, Svizzera, Austria, Germania, Polonia, Slovenia, Crozia, Albania.
In America sant'Antonio è patrono della città di Beaumont, nel Texas. In Canada il suo culto è esteso nell'Ontario e a Toronto, Montreal, Vancouver. Nel Quebec la prima festa antoniana risale al 1913. Nello stato di New York è dedicata a sant'Antonio la più antica chiesa della East Coast e a Buffalo la costruzione di una chiesa antoniana risale addirittura al 1891. A Endicott (New York) esiste una chiesa dedicata a sant'Antonio costruita nel 1913. Un'altra chiesa a Wilmington nel Delaware. A Boston la festa del 13 giugno è celebrata in molte chiese della città. A san Diego, in California, la devozione a sant'Antonio è stata diffusa dai siciliani. Così pure in Australia, ad Adelaide, gli emigrati siciliani di Poggioreale (Trapani) organizzano tutti gli anni la festa del Santo. A Melbourne nel 1962 è stato fondato un santuario antoniano. In America del Sud il culto antoniano è diffuso in Messico, Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, Panama. Altre chiese e santuari antoniani sono in Eritrea, a Instanbul, a Beirut, in India e nello Sri Lanka.

è come se il corpo di Antonio si fosse sminuzzato, sparso e diffuso in tutto il mondo e oggi fosse simbolicamente rappresentato, ricomposto in questa eccezionale ostensione. Per una nuova evangelizzazione. Non c'è del resto Santo più invocato e amato, visceralmente amato, di Antonio. Amato ancora oggi, come ci testimonia il rettore della Basilica, padre Enzo Poiana, raccontando i suoi viaggi missionari con le reliquie.

Ai vari check in negli aeroporti internazionali, nonostante i severissimi controlli, il reliquiario di sant'Antonio stranamente passa sempre senza difficoltà attraverso il metal detector: un piccolo miracolo - piccolo finché si vuole - di un grande Santo abituato a nascondersi tra la gente, ad affiancarsi alla sua quotidianità, persino al parlare comune come quando si dice: "Troppa grazia sant'Antonio". Ricorda padre Enzo che al ritorno da un viaggio pieno di difficoltà, che aveva messo alla prova la sua fede e quella dei suoi confratelli, venne fermato ma subito il direttore dell'aereoporto, venuto a sapere che portava una reliquia di Sant'Antonio, chiese a padre Enzo la benedizione: segno che ancora oggi il Santo di Padova supera le difficoltà e si apre la strada - attraverso i suoi successori - in quei "non luoghi" della modernità dove spesso manca qualsiasi riferimento al sacro.

La nuova bara in pietra che per due anni ha contenuto il corpo di sant'Antonio durante i restauri dell'Arca partirà per l'India, come altare per la chiesa di Bangalore, comunità antoniana che padre Poiana ha recentemente visitato. La nuova tomba, che è stata utilizzata durante i restauri e che per due anni è stata "a contatto" con il corpo di sant'Antonio, è una copia della più antica tomba del Santo che oggi contiene le spoglie del beato Luca Belludi e che si trova nella cappella a lui dedicata. In questo luogo sacro, appena dietro la cappella dell'Arca, i devoti si fermano a lungo in preghiera. Sulla parete destra, a fianco dell'urna-altare, l'affresco trecentesco di Giusto de' Menabuoi ci mostra la stessa bara attorniata da una folla numerosa di fedeli e di ammalati che si sporgono per toccarla e ottenere la guarigione.
Folle. Le stesse folle di ieri, di oggi e di sempre, a Padova come in India, nello Sri Lanka come in Brasile o in Canada. Il miracolo di sant'Antonio è anche la presenza di queste folle che nell'anno 2010 tengono ancora desta nel mondo la fede davanti a un sepolcro vuoto da cui un uomo è risorto. Un sepolcro nuovo come la fede che accompagnerà in India quell'urna con la croce scolpita a rilievo sui lati, simbolo dei Bugliones, l'antica famiglia portoghese (il ceppo di Riccardo di Buglione) da cui nacque Fernando-Antonio, santo internazionale. Una croce che si dirama in tre ghiande di quercia per ogni braccio, simbolo di vita eterna. E simbolo della Basilica del Santo: la casa madre della grande famiglia antoniana sparsa nel mondo.