El Vangel

Mimep 2013

Introduzione

La poesia evangelica di don Edo Mörlin

Ogni lingua e ogni dialetto ha il suo sapore e traduce una visione del mondo e delle cose rara e irripetibile come una farfalla tropicale in via di estinzione. Così, come il napoletano canta e conclama una visione solare della vita, il dialetto milanese – la lingua del Porta e del Tessa – conserva ancora oggi una sua particolarissima vocazione all’umiltà, all’ironia e alla concretezza un po’ burbera e schiva: quel sorriso sulle cose, quella luce “lombarda”, quello sguardo che entra nei particolari. Così avviene per le cose umane. Figurarsi per le divine. Così la vita di Gesù raccontata dagli evangelisti nel dialetto aramaico, quando viene tradotta in milanese da un cuore e da una personalità come quella del sacerdote don Edo Mörlin acquista sfumature e toni che rinforzano il messaggio di Gesù, spezzano il pane della Sua parola, lo sbriciolano come si fa per renderlo appetibili agli uccellini. E viene in mente la parabola della donna cananea che si ciba delle briciole che cadono dalla mensa del padrone.

La poesia evangelica in dialetto milanese di don Edo Mörlin, scritta e poi declamata dal pulpito come lui usa fare dopo avere detto Messa in Italia o recitata dal palco negli spettacoli insieme all’attore milanese Marino Zerbin conserva intatti questi sapori, suoni colori e profumi così familiari ai milanesi... e anche a chi milanese non è ma ha vissuto a Milano abbastanza a lungo per capire, gustare e magari anche tentare di imitare il dialetto meneghino… cosi come noi milanesi tentiamo il vernacolo napoletano o pugliese.

La ricchezza del vernacolo di don Edo nasce da due fiotti di sangue paralleli che scorrono nelle sue vene generose di sacerdote, missionario e poeta. Due fiotti: uno bianco come le guglie del Duomo di Milano e uno rosso come la terra africana della sua Uganda. Don Edo (classe 1947) è stato ordinato sacerdote in Africa a Kitgum per imposizione delle mani del vescovo di Gulu . Don Edo viene da una famiglia e porta un cognome che indica un’interrotta generazione di nobiltà milanese: i Visconti. Il fratello di don Edo è l’ingegner Benigno Mörlin Visconti, direttore della Veneranda Fabbrica del Duomo. E all’ombra del Duomo don Edo è stato educato all’amore a Cristo e alla Chiesa particolare e universale, ambrosiana e quindi anche africana. Anzi ugandese. Don Edo ha portato il vangelo nel cuore dell’Africa traducendolo nel dialetto locale, il dialetto acioli. E come un’onda di ritorno, in contro esodo, ha tradotto per la sua Milano il vangelo – El vangel per il di d’incoeu – quasi che la nostra sia una terra nuovamente da evangelizzare. Dal’Africa credente alla vecchia Europa incredula e nichilista, all’anima cristiana di una Milano nascosta ma viva e capace di ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica con quel senso di solidarietà schiva ma sincero che è tipico del cuore lombardo.

Scrivere in rime e in puro milanese il vangelo poi non è operazione di facciata, da revival, ma traduce in un ritmo che potrebbe essere quello dei salmi (pura poesia appunto), la storia di un popolo che, come tutti i popoli della terra, alla sua origine ha trovato nella poesia il motivo, lo scopo , la linfa della sua stessa esistenza.

Così questo vangelo in endecasillabi fa rivivere nelle vie e nelle piazze milanesi le vicende della vita di Gesù avvenute tra le mura di Gerusalemme, nelle campagne assolate e sotto i cieli della Palestina. Leggete una delle prime composizioni: Gesù tra i dottori del tempio. Vi ritroverete con Giuseppe e Maria alla ricerca di Gesù, sperduti per le strade e tra i suoni e i rumori di una Gerusalemme che assomiglia ben presto a Milano: il Tempio diventa il Domm e i due santi pellegrini che passano per le strade evitando la confusione della Fiera degli Obei Obej finiscono per passare la notte sui gradini di Porta Orientale (a due passi dai Giardini Pubblici), così come facevano e come fanno tuttora i “barboni” della vecchia e nuova Milano.