L'Osservatore Romano - 03 giugno 2008

"Exempla". Da Federico II ad Andrea Pisano, in mostra a Rimini fino al 7 settembre

IL BATTESIMO DELL'ANTICHITà OVVERO LO "STUPOR" DELL'ARTE MEDIOEVALE

Si presenta con il titolo originale e sintetico di Exempla questa mostra riminese di scultura - ma non solo - nata nell'ambito della XXIX edizione del Meeting per l'Amicizia dei Popoli e in collaborazione con i Musei Vaticani. Exempla, cioè modelli, esempi da seguire. Esempi di forme antiche - spesso provenienti da materiali di spoglio greco-romani (come gli scavi per la costruzione dei castelli di Federico II di Svevia in Puglia) - che vengono riutilizzate in altro contesto; oppure riprese (non copiate) con un forte senso di continuità col passato; come se l'antico non fosse mai venuto meno; anzi, come fosse il miglior linguaggio del presente dopo una notte d'oblio (durata in realtà quasi un millennio). E questo risveglio non è vissuto come nostalgia di un ritorno all'antico (come sarà nel più maturo rinascimento) ma come un "dato" concreto in cui ci si imbatte; e che il realismo cristiano naturalmente fa proprio.
Il risveglio della scultura nella prima metà del Duecento in Italia ha un luogo e dei protagonisti precisi, come il sottotitolo della mostra esplicita: La rinascita dell'antico nell'arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano. Il "luogo" è la bottega artistica di Castel del Monte - una delle corti di Federico II, puer Apuliae - là dove un altro figlio di questa terra, Nicola (de Apulia, ma poi diventato celebre come Pisano) inizia una scuola che dalla Puglia alla Toscana culminerà nel pulpito del battistero di Pisa e del Duomo di Siena, suoi massimi capolavori (di Nicola sono visibili in mostra due calchi in gesso dal portale esterno del Duomo di Lucca). Si formeranno sotto di lui in Toscana il figlio Giovanni (grandissimo scultore), Andrea Pisano e Arnolfo di Cambio
Exempla è una mostra di alto livello scientifico, difficile da un lato, come riconoscono gli stessi suoi ideatori; ma godibilissima dall'altro, per chiunque ne segua semplicemente il percorso nella penombra suggestiva di castel Sismondo, roccaforte dei Malatesta, signori di Rimini. Il fascino e la rarità dei pezzi esposti (alcuni per la prima volta), le sculture in pietra calcarea pugliese o in candido marmo di Carrara, le monete d'oro e i preziosi cammei (in onice, agata, sardonica, calcedonio e diaspro) irraggiano un senso di antichità ritrovata. Il confronto si gioca in continui ammiccamenti e rimandi che segnano il passaggio dall'arte antica al romanico-pugliese per approdare al gotico toscano, con influssi d'oltralpe e qualche accenno alla scultura etrusca e normanna.
La romanitas si rinnova, secondo il programma culturale di Federico II. E ne guadagna la scultura cristiana. Infatti, mentre la statuaria classica greco-romana si rivela fredda nella sua perfezione (gli dei e gli eroi non provano emozioni, sono al di sopra dell'umano sentire) con la nuova scultura della generazione dei Pisano e di Arnolfo la pietra "sorride" grazie all'influsso del cristianesimo, che pone al centro la persona. Un solo Dio si incarna nel grembo di una Vergine e gli uomini - ciascun uomo - è chiamato per nome e può incontrarlo. Così la scultura a tutto tondo del Duecento, liberata dai limiti del bassorilievo (e dalla paura iconoclasta di creare nuovi idoli) nel XIII secolo si fa autonoma e trasforma l'eredità greco-bizantina del terribile volto del Pantocrator (o della Testa di Zeus o Silvano esposta a Rimini) nei tratti più dolci del Volto del Cristo patiens: scandalosa condiscendenza del Padre che nel Figlio rivela al mondo "il sorriso di Dio". Pur rimanendo Signore e Re dell'universo, come si vede nella bellissima triade pittorica esposta a Rimini: la Testa di Cristo di Pietro Cavallini (tempera fine XIII secolo); il volto del Creatore di Jacopo Torriti (sinopia, 1290-95); infine l'icona del Redentore di scuola romana (tempera, XIV secolo).
I tratti del Dio giusto e terribile giovano al programma imperiale di rinascita del sacro romano impero d'Occidente. Federico II - stupor mundi - è una figura modernissima e contraddittoria di imperatore, illuminato e tiranno, coltissimo e multietnico, amante della caccia col falcone (in mostra il manoscritto miniato De arte venandi com avibus) e degli studi universitari. Nel 1224 Federico II aprirà l'università di Napoli con le facoltà delle arti, teologia e medicina. E all'università di Napoli Tommaso d'Aquino potrà accostare, pochi anni dopo (siamo nel 1239) i testi di filosofia naturale di Aristotele, che lo aiuteranno a rifondare il concetto di bello (pulchrum) in senso ontologico, legandolo al buono e al vero.
La terribilità del potere imperiale di Federico II si esprime in uno dei pezzi più belli esposti: il leone di Lagopesole, uno dei 200 castelli federiciani sparsi nel meridione d'Italia. Questo leone dalla folta criniera e dallo sguardo ferino - e che sta azzannando un'antilope - è un frammento in marmo bianco di sarcofago del III secolo d. C., forse proveniente da Roma. E venne riutilizzato e riadattato intorno agli anni quaranta del XIII secolo dagli scultori di corte per decorare il trono di Federico II e incutere deferenza e sottomissione nei suoi sudditi. Il leone può essere letto come simbolo araldico degli Altavilla, dinastia normanna da cui discendeva Federico II da parte materna (Costanza d'Altavilla); o, più semplicemente, rappresentare il terribile potere dell'imperatore svevo che cercava di legittimare in ogni modo la sua sacralità. Con riferimenti biblici al re Davide che giocava con le fiere. Ma in quell'antilope morente e indifesa tra le sue zanne potremmo anche vedere la Chiesa, soffocata dal potere imperiale. Per questo Dante, pur essendo ghibellino, mette Federico II e il suo notaio Pier delle Vigne all'Inferno; e noi li ritroviamo entrambi esposti a Rimini in due busti-ritratti.
Un altro straordinario frammento - che insieme con il leone di Lagopesole costituisce uno dei pezzi più emozionanti di Exempla - è rappresentato dalle due teste accostate di Cristo Giudice e dell'animula della Vergine, che viene assunta in cielo tra le braccia del Figlio. Questi due frammenti sono quanto rimane di una Dormitio Virginis realizzata dalla bottega di Arnolfo di Cambio (ultimo decennio del XIII secolo) per la lunetta del portale destro della facciata di Santa Maria del Fiore. Il volto di Cristo, dalla folta barba e capigliatura, è chiuso nella sua terribile selvaticità e domina il volto della piccola Maria, che qui davvero appare "figlia del suo Figlio" così come Dante la invoca nell'Inno alla Vergine (Paradiso, canto XXXIII). Maria è una bimba timorosa, ma piena di speranza, sotto lo sguardo di Cristo, terribile come il leone di Lagopesole. Ma, se guardiamo bene in faccia questo volto di pietra, vi scopriamo un sorriso; o addirittura una smorfia che lo scultore inventa "torcendo" in modo innaturale la bocca e il naso. Il volto di Cristo si piega verso Maria, quasi volesse sussurrarle qualcosa all'orecchio; o, forse, baciarle una guancia. Con una tenerezza che contrasta con la sua ferinità. In questo bacio impossibile c'è già una deformazione in senso espressionistico, nordico, gotico e moderno.
La figura femminile è un'altra grande conquista del cristianesimo: in Maria tutte le donne sono benedette e diventano madonne e signore. Ecco allora la bella Ifigenia, frammento di sarcofago della seconda metà del II secolo, volgere pudica le spalle in un panneggio che ne evidenzia le rotondità accanto al simbolo stesso della donna: l'anfora. E subito dopo Donna con brocca in marmo bianco, di Arnolfo di Cambio, figura sdraiata e di spalle, mostra i fianchi prosperosi, il braccio appoggiato a un brocca vuota e rovesciata. Il volto è corroso, manca il naso ma lo sguardo è ancora vivo, lo stesso dell'animula di Maria: è lo sguardo della speranza cristiana. Davanti a questa scultura, che faceva parte della fontana di una piazza di Perugia (quella del Grifo), ritornano le parole di Dante dello stesso inno alla Vergine: "Sei di speranza fontana vivace".
Ecco allora come il marmo antico in Nicola Pisano, Giovanni, Andrea e Arnolfo di Cambio riesce a sorride e a prendere vita. Speranza. E addirittura a "danzare" con il passo di un'antica vestale, ma all'interno di un significato culturale nuovo che il cristianesimo immette nella forma classica: La danzatrice (acefala) di Giovanni Pisano è infatti una profetessa inebriata, le vesti del panneggio mosse dallo Spirito. Con la stessa leggerezza si muove l'accolito di spalle che scosta la cortina funebre nel sepolcro del cardinale de Braye scolpito da Arnolfo di Cambio.
Il rito cristiano - persino la processione funebre rappresentata nel sepolcro Annibaldi dello stesso Arnolfo (uno dei più grandi scultori gotici) - diventa motivo per fare respirare la pietra: i cinque chierici con ceri, turibolo, mitria e libri sacri non formano una ieratica teoria di figure identiche a se stesse (come le Vergini nel corteo dei mosaici bizantini di Ravenna); anzi, ciascuna di queste figure ha un'identità propria, un suo movimento interiore, una corporeità che la rende autonoma. Sempre nel sepolcro Annibaldi raggiungiamo il culmine di questo processo nel giovane che gonfia le guance paffute per attizzare l'incenso del turibolo, sollevato all'altezza del volto. E ci sembra di sentirne il soffio e il profumo.

Exempla. La rinascita dell'antico nell'arte italiana. Da Federico II ad Andrea Pisano.
Rimini, Castel Sismondo. 20 aprile - 7 settembre