L'Ossevatore Romano - 14 marzo 2009

I maestri della ceramica in mostra ad Arezzo

LO SPLENDIDO BIANCO DEI DELLA ROBBIA

Trasformare l'umile creta in materia preziosa. adatta a realizzare pale d'altare e gruppi scultorei che nulla hanno da invidiare alle più nobili opere in marmo di Donatello e dei grandi artisti rinascimentali fu merito indiscusso di Luca Della Robbia (1399/1400-1482). A lui si deve, nella Firenze del Quattrocento, l'"invenzione" (o la riscoperta) dell'arte della terracotta policroma invetriata, sperimentata con successo e spirito creativo per la prima volta nel Tabernacolo del Sacramento (ora in Santa Maria in Peretola). Scrive Vasari "Avendo una meravigliosa pratica nella terra, la quale diligentissimamente lavorava, trovò il modo di invetriare essa terra co'l fuoco, in una maniera che è non la potesse offendere né acqua né vento.". In pratica si trattava, dopo la prima cottura e la dipintura - fatta con colori contenenti una speciale miscela di piombo stagno e silicio - di sottoporre l'opera a una seconda cottura a una temperatura più bassa, che la vetrificava.
Modernissimo sperimentatore - come lo sono sempre stati gli artisti di ogni epoca - Luca utilizzò lo splendido bianco invetriato come colore dominante, rivestimento spirituale, materia fatta luce e condensata in pieghe, aureole, sorrisi. Un bianco che stacca dal blu cobalto dei fondi, che rappresentano la profondità del cielo-Paradiso, suggeriscono la presenza del divino e sostituiscono i "fondi oro" dell'antica pittura medioevale. Poi vengono gli altri colori, pochi, puri, essenziali come nelle vetrate delle cattedrali: il verde dei mantelli e degli elementi vegetali, vasi fioriti e splendide cornici di ghirlande dove spicca il giallo di mele, cedri e cotogne. E un gusto per la natura morta con frutta, insetti e piccoli animali (lucertole, lumache) che anticipa Caravaggio e rappresenta anche una specie di erbario e di hortus conclusus (immagine mariana), soprattutto nell'Annunciazione.
Le grandi pale d'altare robbiane realizzate con questa tecnica rappresentano un'originale sintesi delle tre arti - pittura, scultura e architettura - e suggeriscono, al di là della splendida cornice, lo spazio vivo di un teatro - di una sacra rappresentazione - dove candidi attori sono sospesi nella contemplazione del Mistero.
La qualità di queste opere è alta. Luca infatti fu anche un ottimo scultore in marmo, studiò nella bottega di Nanni di Banco e lavorò al fianco di Ghiberti, Donatello e Brunelleschi nel grande cantiere del duomo di Firenze, ombelico dell'arte europea. Oggi di Luca Della Robbia si possono ammirare in Santa Maria del Fiore due lunette: la Resurrezione e l'Ascensione. E confrontare le due cantorie in marmo di Luca e Donatello esposte al Museo dell'Opera del Duomo. Brunelleschi, come architetto sperimentatore di nuovi materiali, apprezzò subito questa tecnica al posto del mosaico in due suoi capolavori: la facciata dello ‘Spedale degli Innocenti e la cappella della Pazzi in Santa Croce, utilizzando medaglioni realizzati da Andrea Della Robbia (1435-1525), nipote di Luca.
Per tre generazioni dalla bottega di famiglia, aperta nel 1446 in via Guelfa, a Firenze, uscì una vastissima produzione di "invetriate". Apprezzata anche dai Medici, quest'arte interpretò la spiritualità degli ordini mendicanti (francescani e domenicani delle grandi personalità religiose dell'epoca: Girolamo Savonarola, san Bernardino da Siena, santa Brigida. Due fratelli di Giovanni (terzogenito di Andrea), colpiti dalle prediche del Savonarola, entrarono nel convento domenicano di san Marco continuando l'attività artistica nella chiese e nei conventi dell'ordine. Ma furono soprattutto Luca il Giovane e Girolamo i maggiori continuatori di Luca e Andrea. Attraverso i mercanti fiorentini che viaggiavano per l'Europa e raccoglievano commissioni private e pubbliche, laiche e religiose le opere dei Della Robbia furono apprezzate e diffuse in Spagna, Francia, Inghilterra e Fiandre. Girolamo stesso lavorò alla reggia francese di Fontainebleau.
Ad Arezzo una grande mostra - I della Robbia. Il dialogo tra le Arti nel Rinascimento -, aperta fino al 7 giugno nel Museo Statale d'Arte Medioevale e Moderna, rende giustizia a questa vasta produzione e al suo alto livello artistico. Le opere esposte sui due piani del museo mettono a confronto le terracotte robbiane con opere di artisti rinascimentali come Andrea Pisano, Donatello, Perugino. Fondamentale gli scambi tra Donatello e Luca: Donatello sperimentò la scultura dipinta di Luca, che viceversa si cimentò nello stiacciato donatelliano. Difficile distinguere le mani tra i due. D'altronde, come scrive uno dei curatori del catalogo: "gli invetriati di Luca indicarono una via nuova alla scultura fiorentina del Quattrocento" (Alfredo Bellandi, catalogo Skira, pag. 69).
La conoscenza delle terracotte robbiane si amplia visitando i grandi capolavori conservati nelle chiese di Arezzo nelle quattro valli circostanti: Casentino, Valdarno Valdichiana e Valtiberina. Nella splendida Trinità conservata nel Duomo di Arezzo il Padre offre il Figlio crocifisso in un cielo segnato da una ferma e ricca partitura di nubi arricciate, angeli adoranti, serafini e cherubini; la cornice della grande pala germoglia in splendide ghirlande di fiori e frutti ornamentali che sono la "firma" dei Della Robbia. Nella piccola predella sottostante la confraternita dei piagnoni, seguaci del Savonarola, si inginocchia davanti alla Madonna col Bambino.
Da non perdere una visita al convento francescano di La Verna, nel Casentino, dove si trovano le grandi pale realizzate da Andrea e Giovanni. Il percorso nelle valli aretine coinvolge una ventina di centri. In particolare a Foiano della Chiana, nella chiesa di san Francesco, è stato ricomposto e restaurato (non lo si vedeva così dal Settecento) un intero gruppo di nove figure a tutto tondo e a grandezza naturale di santi e dolenti ai piedi di un antico crocifisso quattrocentesco. Per drammaticità, ma non per stile, il gruppo, composto da Maria sostenuta dalle pie donne, può ricordare opere lignee sulla Passione nei Sacri Monti del ‘600. Ma, viste da dietro, queste opere, concave e vuote all'interno, assomigliano a sculture astratte contemporanee; oppure a quei vecchi tronchi di ulivo scavati da cui parrebbe impossibile possano ancora germogliare foglie. Eppure quest'arte rifiorisce oggi dopo oltre 500 anni e dà ancora il meglio di sé. Nei suoi brillanti. lucidi, indelebili colori. O nel trionfo del bianco più puro come nell'edicola sopra l'altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Fraternità (sempre a Foiano) dove appare una squisita Madonna con Bambino - detta Madonna della neve - realizzata da Andrea su disegno di Luca.
La serenità e la dolcezza di queste opere segna davvero la distanza tra l'antica e ieratica arte medioevale e l'umanesimo cristiano rinascimentale. Il contenuto sacro è il medesimo ma il processo comunicativo é inverso. Nell'arte bizantina si va dal divino all'umano attraverso una lunga contemplazione che rivela la dolcezza di tratti all'apparenza severi; qui invece la dolcezza degli sguardi e la mobilità delle forme parlano un linguaggio umano che introduce al divino. Il linguaggio dell'umile terra. Resa preziosa dall'arte e dalla fede.