L'Osservatore Romano - 31 maggio 2011

A Santa Croce a Firenze il ciclo più antico e completo sulla storia del ritrovamento della vera Croce firmato da un allievo di Giotto.

A TU PER TU CON LA VERA CROCE

A restauro finito un anno di ponteggi aperti al pubblico sono un'occasione un'unica per ammirare come non le abbiamo mai viste - e non potremo più facilmente rivedere - le Storie della Vera Croce affrescate tra il 1380 e il 1390 da uno degli allievi di Giotto, Agnolo Gaddi, sulle pareti della cappella Maggiore della basilica di Santa Croce a Firenze. Storie che per la ricchezza di particolari tipiche della pittura postgiottesca si prestano proprio ad essere indagate da vicino.

Agnolo Gaddi usa infatti uno stile narrativo umile e didascalico per narrare gli episodi riportati da Jacopo da Varagine nella sua Legenda aurea. Episodi di cui esistono varie versioni che concorsero a formare quella che giustamente è chiamata "leggenda" sul ritrovamento della Vera Croce.

Già nel IV secolo, col ritrovamento della santa reliquia da parte dalla regina Elena, madre di Costantino, era nata la festa dell'Esaltazione della Vera Croce che si celebra ogni anno il 15 di settembre, con particolare solennità nella chiesa d'Oriente. E a partire dal secolo XII la devozione della santa reliquia della croce si diffondeva attraverso la predicazione francescana di cui Firenze, con la cattedrale di Santa Croce, rappresentava uno dei centri pulsanti.

Ecco allora spiegata l'importanza di questi affreschi che illustrano il testo di Jacopo da Varagine su un tema che non ha molti riscontri nella pittura occidentale, se si eccettua il ciclo-capolavoro che sessant'anni dopo Piero della Francesca dipinse per la chiesa di san Francesco ad Arezzo. O la serie di 22 tele settecentesche che viene esposta nell'abside del Duomo di Milano in concomitanza della cerimonia del Santo Chiodo.

Il restauro degli affreschi della cappella maggiore di Santa Croce assume anche un significato particolare dopo la tragedia che ha recentemente colpito il Giappone. Il suo restauro, durato quattro anni, è stato realizzata infatti grazie alla collaborazione tra l'Opificio delle pietre dure di Firenze, l'Opera di Santa Croce e l'università giapponese di Kanazawa. Una uguale somma è stata stanziata dall'Italia e dal Giappone: 130.000 euro dall'Opera di Santa Croce e corrispondenti 150 milioni di yen dal mecenate Tetsuya Kuroda. Orgoglio e senso di riscatto di un popolo sensibile alla bellezza. Nel segno del dolore, che è l'altra faccia della bellezza.

Una bellezza che per i cristiani è "bellezza crocifissa". I giapponesi hanno visto tra il 500 e il 600 la collina di Nagasaki fiorire tante volte delle croci e dei roghi dei martiri cristiani. Quella stessa Nagasaki che con Hiroshima ha vissuto il terrore dell'esplosione atomica. E oggi, nel dolore, la storia spinge a cercare una verità nuova: "Sono felicissimo come storico dell'arte italiana di poter vivere insieme a voi l'inaugurazione di una nuova pagina dell'arte del Trecento fiorentino" ha dichiarato il professor Takaharu Miyashita dell'università di Kanazawa, direttore del centro di ricerca italiano sull'affresco. E la delegazione giapponese potrà riscoprire l'origine di questa bellezza all'interno della basilica di Santa Croce, nel Crocifisso di Donatello come negli affreschi dell'ultimo Giotto della cappella Bardi e Peruzzi.

E naturalmente nel ciclo di Agnolo Gaddi che racconta in 10 quadri le storie della Vera Croce nella cappella maggiore, a destra dell'altare, ripartendole in cornici orizzontali e verticali arricchite di fregi con sedici figure di santi francescani e dottori della chiesa e ventiquattro medaglioni con profeti e apostoli. Una immensa pagina miniata rischiarata dalla suggestiva luce, multicolore e cangiante, che viene dalle tre doppie file di vetrate della parete di fondo, opera dello stesso Gaddi. L'impaginazione prevede cinque storie a destra e cinque a sinistra. Partendo dall'alto vediamo Set, figlio di Adamo, ascendere al cielo per ricevere un ramoscello dell'albero della vita da piantare sulla tomba del padre. Una grande scena di cordoglio funebre si sviluppa intorno al corpo disteso e senza vita del progenitore di tutta la stirpe umana. Da quel ramoscello spunterà un albero stupendo che Salomone cercherà invano di inserire nel Tempio e che viene poi utilizzato, di ripiego, come trave di passaggio sul fiume Giordano.

Davanti ad esso la regina di Saba, venuta per ammirare la sapienza di Salomone, si ferma per adorarlo, riconoscendone l'origine e profetizzando che da quel Legno sarebbe venuta la salvezza. La scena bellissima del Giordano che si incunea tra due file di montagne in un paesaggio brullo ricorda scene analoghe di pittura rinascimentale ambientate nelle crete senesi e nel paesaggi toscano come il Battesimo di Gesù del Beato Angelico. Nel terzo riquadro, davanti a una realistica scena di spaccato di ospedale fiorentino, con gli ammalati distesi e i medici che li accudiscono, Agnolo Gaddi ambienta il ritrovamento della vecchia trave della Croce avvenuto secoli dopo a Gerusalemme, nella piscina probatica che oggi si trova davanti alla basilica di san'Anna, presso la porta delle Pecore. Luogo di guarigione che viene descritto da Giovanni nel suo vangelo (5, 1-17): quando scendeva l'angelo del Signore a muovere le acque, chi vi si immergeva per primo restava guarito. Così all'origine di quelle guarigioni, viene indicato il Legno che servirà per la croce.

Nel quarto riquadro, e siamo nel Nuovo Testamento, Elena, madre di Costantino, si mette alla ricerca della santa reliquia, fa scavare sul Golgota e rinviene tre croci: per identificarle vi fa stendere sopra un morto che risuscita solo a contatto con la Vera Croce. Anche qui lo sfondo propone un tipico paesaggio tra la campagna toscana e la tebaide egiziana. Quest'ultima scena del ritrovamento o inventio e riconoscimento della Croce rappresenta l'anello di congiunzione tra la parete destra e la sinistra.

Se la parete di destra è dominata dalla figura della regina di Saba, quella di sinistra è posta sotto il segno di un altra donna, l'imperatrice Elena che, vestita da pellegrina e con un cappello frigio sul capo, entra solennemente in Gerusalemme, portando sulle spalle l'insegna della Croce, mentre davanti a lei la folla si inginocchia. Più sotto il re persiano Cosroe attacca Gerusalemme, la espugna e tra i tesori e le reliquie si impossessa anche della Croce. Nel terzo riquadro re Cosroe II si fa adorare come un dio a causa del potente talismano della Croce; nel frattempo Eraclio (o Costantino, con una differenza di tre secoli, a seconda della versione) sogna nella sua tenda un angelo che gli mostra la Vera Croce simbolo di vittoria: In hoc signo vinces. Così affronta il re persiano Cosroe (o in alternativa Massenzio) nella terza scena a destra. Finalmente, nell'ultima scena in basso a sinistra, Eraclio offre al re persiano la salvezza mediante il battesimo ma poi, davanti al suo rifiuto, lo fa decapitare e riporta la Vera Croce a Gerusalemme. Nel corteo regale, tra i presenti Agnolo Gaddi effigia se stesso e il padre Taddeo; alla decapitazione di re Cosroe fa assistere due membri della famiglia fiorentina degli Alberti, committenti dell'intero ciclo; e infine nei ritratti che affollano gli strombi delle bifore inserisce il volto di Giotto.