L'Osservatore Romano - 25 ottobre 2012

DA AFRODITE A ELENA PASSANDO PER MINERVA

“Costantino fu sì beato ma lo fu per una tal madre” scrive Ambrogio riferendosi alla figura dell’imperatrice Elena. Il santo vescovo milanese infatti, nei suoi scritti considera “determinante e predominante” nel passaggio dall’Impero romano pagano all’Impero romano cristiano la figura della madre di Costantino, che la Chiesa indivisa d’Occidente e d’Oriente venera con il titolo di santa. Elena, pellegrina della fede, è una donna pagana di origini britanniche e di religione druidica che sposa Costanzo Cloro, subisce la presenza di un’altra concubina, si converte per influsso del figlio che la eleva al rango di imperatrice. Ma lei, colta la sostanza della nuova religione, si fa pellegrina in Terrasanta alla ricerca della Vera Croce, la trova, la porta in solenne processione presentandola ai fedeli di Gerusalemme. Da qui nasce la Festa dell’Esaltazione della Croce, diffusa in Oriente e in Occidente.

Questa fortunata campagna archeologica di Elena, secondo sant’Ambrogio, fu ispirata dallo Spirito Santo. Il riconoscimento della Vera Croce poi, sempre secondo le parole pronunciate dal santo vescovo milanese nell’orazione funebre per Teodosio, avvenne in modo diverso rispetto a quello descritto dai cicli pittorici ispirati alla Legenda Aurea. Piero della Francesca ci descrive nei sui affreschi di Arezzo il riconoscimento della Vera Croce attraverso il contatto delle tre croci ritrovate sul Golgota con un morto che, risorgendo, indica quale sia l’autentica. Per Ambrogio invece il riconoscimento avvenne grazie al titulus che Pilato aveva fatto affiggere sulla croce proprio perché Elena potesse essere certa dell’autenticità del suo ritrovamento.

Ambrogio istituisce anche un affascinante paragone tra Maria ed Elena: come lo Spirito Santo ha visitato Maria perché portasse agli uomini Gesù, così ha visitato Elena perché portasse agli uomini la Vera Croce. Ambrogio ci ricorda che Elena è un’umile stabularia (addetta alle stalle dei cavalli) che venne innalzata al rango di regina: “Cristo la elevò dal letame all’Impero, secondo quanto sta scritto: Solleva dalla terra il misero e dal letamaio rialza il povero (Salmo 112,7)”.

“Con Maria è stata redenta l’umanità, con Elena l’Impero” ha scritto la storica Marta Sordi. L’Impero nascente aveva bisogno di una figura femminile che ne moderasse gli eccessi. Così Elena, inserendo nella corona e nel morso del cavallo di Costantino i due chiodi della croce, corregge il pensiero e l’azione dell’imperatore, come sottolinea sant’Ambrogio: la corona ne domina l’intelligenza e il morso del cavallo ne frena gli istinti. Clavus in latino significa chiodo ma anche timone, quel timone con cui il nuovo imperatore cristiano deve guidare con sapienza e giustizia l’Impero. E la funzione del chiodo nel morso è moderativa, frenante e repressiva nei confronti dell’arroganza del potere stesso.

Nella mostra milanese possiamo vedere come l’immagine di Elena si evolva e assuma nell’arte occidentale connotati di continuità con l’arte classica greca: il mito della bellezza femminile di Afrodite si trasforma nell’immagine dai tratti fortemente morali della matrona romana, per trasferirsi infine nella sensuale icona dell’eroina cristiana. Così la piccola tavola di Cima da Conegliano proveniente da Washington ci mostra, ritta in un paesaggio collinare veneto, la nobildonna Elena come una guerriera, un’amazzone, una Minerva cristiana appoggiata alla croce, mentre la lucente corazza riluce e le imprigiona il seno, elemento femminile che diventa simbolo di fortezza inespugnabile. Nella grande tela del Veronese proveniente dai Musei Vaticani invece, Elena è una sontuosa principessa veneziana, riccamente vestita e che sogna, seduta sul suo trono, la ruvida croce che un angelo le porge

Tra le tante interpretazione che la letteratura e l’arte hanno dato della figura della madre di Costantino, nel Novecento Louis de Whol tratteggia nel suo romanzo storico L’albero della vita un ritratto credibile di Elena, forte e combattiva, una donna che di fronte all’uccisione di Crispo, ordinata dal padre Costantino, fa per tutti noi la grande domanda al vescovo Osio: “Come può essere che simili mani, simili mani macchiate di sangue costruiscano il regno di Cristo sulla terra?”. E il vescovo le risponde: “Non credere che non sia profondamente grato per la battaglia di ponte Milvio … ma una croce sull’elmo e sullo scudo non trasforma senz’altro il cuore umano!”.