Studi Cattolici - gennaio 2005

EPIFANIE

Recensione al libro di poesie di Marco Beck, Un'eternità di passaggio, Nino Aragno Editore.

Con il ritmo vigoroso e concreto di una originale scrittura poetica, governata dalla flessibilità dell'endecasillabo, Marco Beck - in questa nuova raccolta, Un'eternità di passaggio - ci introduce a visioni di una bellezza concreta, sobria, incarnata, quotidiana. Una bellezza che nasce dal ritmo stesso delle cose, degli incontri, dei pensieri; una bellezza che sboccia lenta e spontanea, naturalmente nascosta e quasi pudicamente protetta sotto un'apparente forma di prosa. Al lettore che ne segua il procedere è dato di trovarsi a passare dall'angustia del sentiero a inattese epifanie. Quasi - ed è questo il pregio dell'autore - che quelle epifanie fossero conquista del lettore, tanto la mano di Beck sa ritrarsi a lasciar parlare la realtà stessa delle cose.
La speranza cristiana è certamente la molla che muove il poeta; una speranza non ingenua (in Pittura senese osa scrivere: "muori, solo alla fine raggiungendo, se riesci, la risurrezione postulata dai vangeli"); una speranza che si domanda se Cristo, "seimila volte, di nuovo massacrato" (in Torri Gemelle) abbia pronunciato anche lì "la parola inaudita, scandalosa" del perdono; la resurrezione infine, intuita nella voce del "presunto giardiniere" (in La voce del giardiniere). Ma se la speranza è il fondamento del pensare poetico di Beck egli, appunto, con estrema onestà non salta mai i passaggi - le ore, i minuti, i secondi del quotidiano, straordinario e drammatico battere del cuore -; ma, nel rischio del procedimento poetico, trova ogni volta - per grazia (E grazia su grazia è il titolo di una delle sette sezioni) - le ragioni stesse del cuore: pascalianamente intese.
Beck rivitalizza e rende attuali immagini classiche, sovrapponendo al presente calchi archeologici e letterari: la cagna di Ulisse si disseta con il loutraki (liquore greco) offerto da una Penolope-turista milanese (I cani dell'Acropoli); il sapore speciale di un'improvvisata alla moglie in vacanza (Variazione estiva su un tema tibulliano); la fine degli anni verdi del figlio in una foscoliana Finale ligure (Ritorno a Zacinto); propilei ed erettei che cingono le pendici del Monte Rosa (Il tempio nella pianura); la silhouette della figlia sovrapposta alla pittura pompeiana (Flora 2000); a sorpresa, implicito, forse inconscio, uno slogan di pubblicità anni '60 ("metti un tigre nel motore" ) emerge da un Beck turista che, nei pressi di Nemea - località greca dove Ercole sconfisse il mitico leone - immagina che nel serbatoio della sua Hyundai entri la forza stessa di quel leone (Nemea). Dopo una pausa d'amore coniugale nell'antica Nauplia greco-moresco-rinascimentale (Meriggio al "Napoli di Romania") la Sicilia completa la geografia di Beck che - davanti al suo fa morire Pirandello tra le braccia della "Vergine Madre" dell'inno di Dante, inizialmente confusa con la defunta moglie Antonietta (Oltrecielo).
Tutta la poesia di Beck è ritmata dal passaggio sonno-realtà: al risveglio riscopre come pura grazia la presenza della sposa (Se tutto fosse grazia); la dinamo della bicicletta che non funziona è domanda di luce a Dio (Il sole sul manubrio); il piccolo danno causato all'utilitaria della moglie gli richiama alla coscienza qualche piccola omissione (Lo sfregio sulla fiancata); l'attardarsi serale nell'ufficio deserto ha il gusto e il pre-sentimento della morte (L'ultima scialuppa).
Se in questa raccolta ogni incontro di Beck con le sue tante "eternità di passaggio" ha come limite la coscienza stessa del poeta - ed è il problema e il limite della poesia religiosa - spostando tempi e luoghi (prima e dopo la resurrezione) con felice vena surreale Beck riesce a fare incontrare Pietro e Cristo sul lago di Tiberiade nel modo più imprevisto: non camminando sull'acqua ma edenicamente venendosi incontro a larghe bracciate (Dove neppure uccelli e volpi). Semplicemente nuotando. Ed è il miracolo più grande.