Studi Cattolici n°12 - dicembre 2013

Il “pensiero dominante” di don Luigi Giussani

La corposa biografia sul Servo di Dio don Luigi Giussani (1922-2005) scritta da Alberto Savorana, (Vita di don Giussani, Rizzoli, Milano 2013, pp. 1350, € 25), uno dei suoi “ragazzi” che per tanti anni gli fu vicino, ci consente di conoscere un uomo, prete, teologo, educatore di giovani – potremmo chiamarlo il “don Bosco del Novecento” – di cui è stata avviata il 22 febbraio 2012 la causa di beatificazione. Don Giussani ha segnato la storia di tante persone che lo hanno incontrato e che si sono lasciate affascinare dalla sua personalità. Possiamo chiederci subito: che cosa ci ha lasciato di essenziale, qual è stato il nocciolo della sua testimonianza di vita, di fede, di pensiero? Savorana, nella sua Introduzione ci viene incontro attraverso le parole che un giovanissimo Giussani scriveva ad Angelo Majo, suo compagno di studi nel seminario di Venegono: “La gioia più grande della vita dell’uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore. Il resto è veloce illusione o sterco”.
Questa viva presenza Giussani la cercò con tutto se stesso in ogni momento. Se molti lo hanno seguito, e intorno a lui è nato un Movimento che la Chiesa ha riconosciuto, nessuno, neanche il più lontano, incontrato anche per una sola volta, è potuto rimanere indifferente a questo “accento” che egli dava alla vita e che chiamiamo nel linguaggio cristiano “dono” o “carisma”. Un carisma che ti veniva già incontro ascoltando il suono della sua voce roca. Un carisma che gli fece cercare, per esempio, l’incontro con un intellettuale come Giovanni Testori: Giussani dal primo istante lo abbracciò e per Testori fu l’inizio della conversione. Con Pier Paolo Pasolini, che Giussani stimava per la sua lungimiranza di pensiero e la sua denuncia dell’omologazione che il Potere operava sull’individuo, fu un incontro mancato per la tragica prematura scomparsa del regista e scrittore.

INCONTRARE E CONOSCERE
Quante persone comuni e quante importanti personalità della società civile e religiosa, in Italia e nel mondo, si sono confrontate con la geniale figura di questo prete brianzolo! Una chiave di lettura di questo libro potrebbe essere proprio questa: partendo dal ricchissimo Indice dei nomi si può andare a cercare il tale o il tal altro e rimanere sorpresi dall’imprevedibilità di questi incontri che si sono svolti al di là degli schemi ideologici e degli schieramenti. Troveremo Aldo Moro, Giuseppe Dossetti e Giuseppe Lazzati; troveremo Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II; troveremo due cardinali divenuti papi come Ratzinger e Bergoglio; altri rimasti tali come Colombo, Biffi, Caffarra; incontreremo grandi pensatori come Hans Urs von Balthasar e Jean Guitton. Ma anche un prete semplice come don Zeno Saltini che affascinò Giussani che riconoscerà in Nomadelfia un esempio concreto di mondo nuovo che nasce dalla fede.
Giussani era amante della poesia, soprattutto Giacomo Leopardi di cui fin da giovane conosceva a memoria i testi. Egli trovava in Leopardi un grande testimone dell’assoluto: in lui la domanda era alta, ma la risposta “rattrappita” dal punto di visita della ragione. Una vittima del razionalismo moderno, insomma. Ma “che vittima” se ancora negli ultimi tempi della sua vita, quando Giussani non si muoveva più dalla poltrona, fu trovato in piedi davanti alla libreria a cercare un libro del “mio caro Giacomino”.
Il poeta Franco Loi ha dato di don Giussani una descrizione interessante: “ Poeta Giussani lo era intimamente. La parola in lui era fondamentale: usava la parola in modo poetico, non intellettuale. Invece di usare termini difficili e dire cose che sono il prodotto di una lettura di libri, Giussani faceva sgorgare quel che diceva da se stesso e dalla sua esperienza di vita. Poein, in greco, è fare. Il fare di Giussani era poetico perché era un fare spirituale (…). Cresceva i ragazzi nella libertà. Per questo a volte mancò una sintonia, nel metodo, tra lui e la Chiesa del suo tempo”.
L’obbedienza alla Chiesa è stata la caratteristica di Giussani in un periodo storico in cui si teorizzava il contrario . Nonostante le difficoltà, egli fu sempre obbediente come testimonia Angelo Scola in un’intervista del 2008: “L’obbedienza all’autorità era un dato incrollabile, imparato sulle ginocchia di sua mamma e nella sua parrocchia, corroborato nella formidabile avventura seminaristica compiuta a Venegono, consolidato in tantissime prove. Certo la sua era un’obbedienza libera: parlava chiaro, aveva con l’autorità ecclesiastica un rapporto testimoniale e non politico”. Giussani si incontrò varie volte con il cardinal Joseph Ratzinger, allora prefetto per la Congregazione per la dottrina della fede, per sottoporgli il pensiero e l’insegnamento che andava sviluppando nel Movimento da lui fondato. Ricorda Giussani: “Perfino a Ratzinger ho esposto questo epifonema (“massima espressione sintetica”): se una realtà non c’entrasse col presente, non ci sarebbe. Non “non sarebbe vera”, addirittura non ci sarebbe, non esisterebbe!” Gli chiese poi se questa stessa verità si potesse applicare a Cristo. La risposta di Ratzinger fu affermativa.
Cristo e il metodo per avvicinarlo era il centro del suo pensiero. Dal teologo protestante Reinhold Niebuhr, oggetto della sua tesi di dottorato, trasse una delle frasi che più hanno caratterizzato la sua impostazione di pensiero. Scrive Niebuhr: “Niente è tanto incredibile quanto la risposta a una domanda che non si pone”. Da qui Giussani deriva la riflessione che Cristo è risposta a una domanda umana di cui l’uomo contemporaneo non è più capace. Una domanda che corrisponde al senso religioso. Senza questa domanda pienamente umana, senza la coscienza del proprio io e delle sue esigenze elementari non si capisce Cristo.

TROVARE LE RAGIONI DEL SENSO RELIGIOSO
Il senso religioso, titolo del suoi libro più famoso e diffuso, tradotto in molte lingue (dall’arabo al giapponese) è il tema a cui don Giussani dedicò le sue lezioni di Introduzione alla teologia in Università Cattolica negli anni 70-80. Il senso religioso – il grande assente della cultura contemporanea – è invece all’origine della domanda che porta a Cristo. Giussani lo aveva capito tanti anni prima quando insegnava religione al liceo Berchet di Milano. Natalino Sapegno, nel suo Disegno storico della letteratura italiana, liquidava come “domande adolescenziali che il vero filosofo allontana” quelle domande di senso che Giussani cercava di stimolare nei suoi ragazzi. A questo punto Giussani ricordava ai suoi alunni: “Omero, Sofocle, Virgilio, Dante, Dostoevskij, Beethoven sarebbero degli adolescenti, perché tutta la loro espressione è determinata da quelle domande, grida quelle esigenze”. Giussani chiama quelle domande e quelle esigenze (chi sono, da dove vengo, dove vado, perché il dolore) “senso religioso”. Al Berchet tra i suoi alunni, troviamo Luigi Negri, Massimo Camisasca, Claudio Risé, Giuseppe Zola, Angelo Rizzoli, Giuliano Pisapia, Mimmi Cassola, Angelo Scola, Paolo Pillitteri, Carlo Fontana, Giulio Giorello, Tiziana Maiolo.
Uno dei meriti di don Giussani è stato quello di avere aiutato tante persone a “girar pagina”, superando la crisi del Sessantotto. Una crisi che coinvolse anche il suo Movimento che allora si chiamava Gioventù studentesca (GS). Giussani, come ha sottolineato lo stesso cardinal Ratzinger, pose uno “spartiacque tra una concezione del cristianesimo come impegno morale e sociale (…) e un cristianesimo in cui Cristo – e in Lui Dio – è il centro”. In particolare, storicamente, oltre i termini “Dio” e Cristo” Giussani pose al posto dell’azione e dell’attivismo politico la costruzione della comunità cristiana come vera risposta alle esigenze e alle domande dell’uomo. Comunità in cui, contrariamente a quanto avveniva in quegli anni, non si stempera nel gruppo la responsabilità personale (in questo Giussani era vicino al personalismo di Emmanuel Mounier). Spiazzando conservatori e tradizionalisti, afferma come fattore centrale la “conversione” e il cambiamento di sé e della propria mentalità (“metanoia”). La conversione, come sottolinea Savorana, deriva per Giussani ontologicamente dalla fede. Questa parola “ontologia” (che ha a che fare con l’essere) ricorreva frequentissima nella sue lezioni in Cattolica: chi scrive la ricorda risuonare dalla sua viva voce con un accento che da sonoro si trasformava in energia profonda, certezza intellettuale, sicurezza affettiva che “Qualcosa” di sicuro c’è nel mondo e ci sostiene.
Anche la costruzione della comunità era sottomessa all’ontologia. Così don Giussani provocava un gruppo di studenti universitari di Comunione e Liberazione: “Io della vostra compagnia me ne infischio”. Parole dette per criticare uno sbilanciamento utopico di quei ragazzi nel porre le loro speranze nel “gruppo”. Poco prima Giussani infatti aveva affermato: “Non è affatto per creare una compagnia che noi siamo qui. (…) noi creiamo una compagnia non per affermare un’amicizia, ma per affermare una Presenza, una Presenza che è in questa compagnia”.
Le vicissitudini di salute furono tante per Giussani ma le affrontò con letizia fino all’ultimo giorno. L’amicizia con Cristo si esprimeva per lui con chiunque gli stesse accanto, ma anche nel rapporto con una poesia di Leopardi, nell’ascolto di un brano musicale, nel gustare un buon bicchiere di Barolo. Cristo era il suo “pensiero dominante”. Ricordava don Giorgio Pontiggia: “Mentre ero con lui capitava qualcuno per un breve saluto. In quei brevi momenti don Giussani era tutto preso da quel rapporto. Vedendolo, pensavo che Cristo per lui non era un oggetto di devozione o qualcosa di astratto, ma gli si faceva presente attraverso la persona che aveva davanti. Era affascinante questo”.