Blog - 02 gennaio 2022

Siamo tutti figuranti nel presepio ma al posto del bambino un morbo ci appesta

Le lucine del presepe scattano a intermittenza e i personaggi si animano nel buio, il martello del fabbro batte davvero l’incudine e Gesù si gira davvero, a destra e a sinistr,a nella sua culla di paglia e legno. “Davvero”, o almeno così sembra per effetto della Luce, la grande protagonista del Vangelo di Giovanni. Su e giù, su e giù, avanti e indietro, destra e sinistra, secondo un ritmo e una direzione stabiliti dall’alternarsi di luci e ombre che “spostano” e “rimettono a posto” persone e cose. Un presepe vivente, insomma, animato dalla Luce. La memoria torna al presepio dei bambini, pochi giorni fa nel cortile della scuola san Carlo di Inverigo, vigilia di Natale. E al presepio degli adulti nel giorno di santo Stefano, sulla collina di Agliate Brianza, coi figuranti e coi mestieri veri, il gregge di pecore vere e i fuochi dei pastori accesi per davvero. Dove una famiglia vera culla l’ottavo bimbo venuto al mondo, e la Madonna è una mamma vera, e Giuseppe un papà vero, e il Bambino è il suo bambino per davvero. Ci si sente stretti, sicuri dentro a questo popolo così coeso. Ed Erode è solo una lontana minaccia.

Ma nel presepio vero del nostro vivere quotidiano un morbo vero appesta l’aria. Non sappiamo da dove sia venuto né se, come e quando, se ne andrà. I Magi non l’avevano previsto e gli scienziati erano concentrati su altro. Forse una guerra non dichiarata scatenata da Erode, una bomba biologica sfuggita di mano a qualche sovrano del XXI secolo. Ci avevano detto che sarebbe finita con l’immunità di gregge. Ma poi abbiamo scoperto che il virus potrebbe riprodursi ad ogni capo del mondo in infinite varianti, ognuna con gradi e pericolosità diverse. Dal gregge la colpa è passata alla povertà. E se si riproducesse all’infinito! E se fosse stata smarrita la chiave con cui il virus è stato costruito?

O se invece fosse il primo esplicito e dichiarato attacco della natura a un’umanità invadente? Vorremmo essere ottimisti ma ci hanno illuso troppe volte. Prima una normale influenza. Poi un’influenza mortale che riempiva casse senza un nome sopra. Sembrava che qualcuno sussurrasse: “lasciate ogni speranza voi ch’entrate”. Di certo niente sarà più come prima, ci dicono da due anni. Ma allora sapevano. Ma come, nelle normali influenze nessuno si preoccupa più di tanto delle varianti, e gli aerei viaggiano da un continente all’altro senza green-pass né quarantene. E ora dobbiamo rinunciare per sempre alla compagnia degli amici, dobbiamo rinunciare a inginocchiarci in chiesa, a leggere il foglietto con le letture e il menù al ristorante.

Ci vorrebbe il grande scienziato che fa la scoperta. Oppure ci vorrebbe il politico libero che faccia il suo mestiere invece che farsi dettare l’agenda dai virologi, ripetitori inutili, spesso dannosi, di quello che la scienza vuole (o non vuole) farci sapere. Un tempo si parlava di scienza democratica. Ci vorrebbero liberi scienziate e pensatori, che invece di gridare all’untore riflettano e diano idee al parlamento e al governo. Bisognerebbe parlare meno di virus e di no-vax e più di prospettive creative per uscirne. Forse avremmo diritto di sapere, davanti ai nostri morti, chi è stato a sparare. E forse bisognerebbe che l’ONU proibisse le armi biologiche così come ha fatto con le armi chimiche e atomiche. E chiudesse questi laboratori di morte.

Sopravviveremo. Arriveremo a un altro presepio e a un altro anno ma in che condizioni? Abbiamo punito tutti i grandi dittatori della storia e ce ne vantiamo sempre. Abbiamo fatto trionfare la democrazia. Ma oggi sotto la dittatura del virus la democrazia come sta? Quel popolo di figuranti, di mestieranti del presepe vivente di Agliate chiede risposte. Intanto la Chiesa offre ogni giorno sugli altari i frutti del nostro lavoro e delle nostre sofferenze perché nasca di nuovo il Bambino. Nascerà.

Nascerà ancora quel germe di bene in un mondo dove è stato seminato un morbo di morte. Un virus che magari non uccide ma che pone limiti gravissimi alla vita. La rinchiude nelle case dove ci portano da mangiare, da studiare, da lavorare. Protetti dal virus e dalla vita, dai parenti e dagli amici come piace al nuovo potere che nelle piazze spegne con gli idranti ogni residua, scomposta, indecisa, magari confusa, magari peccatrice, ma commovente fiammella di umanità e di bene.