Blog - 19 gennaio 2023

Europa, una rivoluzione “verde” nemica delle nozze di Cana

Solo dal rispetto della natura nasce il rispetto dell’ambiente. La transizione green che l’Europa vuole imporci è solo una grande ipocrisia

Quanto sei lontana – Europa! – da quel silenzio che alle nozze di Cana aleggiava sull’acqua delle sei giare trasformate in vino, un vino delizioso che alle parole di Gesù traboccò spumeggiante di gioia. E quanto sei lontana Cana, Galilea delle Genti, dalla memoria e dal cuore della nostra odierna Europa. Quel tuo vino che fin dall’antichità allietava il cuore dell’uomo e quell’olio che faceva brillare il suo volto. Quanto lontane queste parole del salmo 104 dall’Europa di oggi, che legifera e scambia il vino per veleno e l’olio purissimo d’oliva per un eccesso da mitigare. Europa, che con le tue leggi lasci uccidere i tuoi figli nel grembo delle madri, hai perso il tuo centro, la tua ragione di esistere, hai perso il tuo Dio che ti ha generato.

Del nostro grano, un tempo segno di abbondanza e che colmava i granai, ora hai calmierato la produzione e in Italia si abbandonano i campi come per un lutto, una peste, un’epidemia. Pane, vino, olio. Sacri elementi della cucina mediterranea e della liturgia cristiana che ha reso la materia sacramento! Ora nella farina si può mettere la polvere di quelle cavallette che furono un flagello per l’Egitto. Ma quante infinite meravigliose varietà di farine abbiamo noi sotto questo cielo italiano. Varietà che tu Europa del Nord ignori, come non conosci il sole che fa fiorire la spiga. La tua polvere è polvere di morte. Anche le ossa potrebbero ispirarti nuovi miscugli per le tue farine. Ma l’Italia non è un deserto, è tutta un giardino, e le colline, coltivate a vigna sono il suo canto, il suo ricamo. Le case poi di pietra fresca d’estate, al naturale. Le pietre che d’inverno si scaldano con la legna dei camini, legna che cuoce il pane e non può far male a nessuno, perché ha il sapore di casa, di intimità, e fa pensare a Ulisse che intorno al fuoco raccontava le sue storie ai Feaci. Sì, profumo di legna bruciata! Inquina forse più dei suv che tu Europa hai permesso e dei tir che non hai mai saputo trasferire su rotaia? Invece per te è bello rivestire con un cappotto di materia artificiale tipo “polistirolo” le case di pietra degli antichi borghi e il bugnato delle città d’arte? per guadagnare forse qualche grado è lecito togliere il gusto dell’abitare? Dovremmo vivere sigillati con ricambi d’aria condizionata da altri motori? È questa la rivoluzione verde? Meglio una casa con gli infissi di legno che respira.

Solo dal legno e dalla terra nasce l’intelligenza e il rispetto dell’ambiente, solo dall’amore della materia, solo dalla sapienza dei contadini che conoscono il ritmo delle semine e dei raccolti. La rivoluzione verde nascerà dal chinarsi tutti sulla terra, vangare, sarchiare, seminare, raccogliere, ascoltare il ritmo delle stagioni e assecondarle, per quanto sia ancora possibile dopo averle alterate. Cambiare vita e non le cose che hanno mille anni di vita. E poi chi lo sa che la natura non sappia rimediare da sola, senza che combiniamo altri guai. La transizione ecologica suona un po’ come il grande imbroglio, la grande ipocrisia, il grande fratello. A trenta all’ora in città forse si inquina di più che a cinquanta? E poi in mancanza di infrastrutture oggi in certe grandi città non si superano i quindici. Leggi inutili e dannose se poi, appena fuori, scatta una trappola di cartelli con il limite di 50-70-50, messa lì apposta dal Comune per fare cassa. Poi liberi tutti, chi vuole può pigiare a piacimento sull’acceleratore, e chi non vuole può ritrovarsi un tir alle spalle in seconda corsia che suona, lampeggia, incalza, scalpita a 100 all’ora per farti spostare. La grande ipocrisia dei trenta all’ora miseramente cade!

Il pane. Il vino. La pergola dell’uva. Un dialogo col bicchiere rosso di vino e uno sguardo al cielo, che ancora ci regala l’essenziale, con la preghiera di lasciarci stare, di lasciar perdere l’ultima transizione ecologica europea, di smetterla di continuare a fare danni perché “loro” – i burocrati verdi – sono gli stessi che su quei danni hanno guadagnato per anni, e adesso cercano nuove fonti di speculazione: agraria, edilizia, automobilistica, robotica. Alla fine, pensandoci bene, potremmo costruire una nuova alleanza con i popoli del Sud del mondo, i popoli del Mediterraneo, popoli poveri che amano Dio e la prole, e costruire con loro un nuovo ponte di civiltà tra le sponde del nostro piccolo grande mare, e coltivare in pace il grano, l’ulivo e la vite.

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