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Tràdigo e il vivere la vita "prima che s'inquini"

08 febbraio 2013 - Vincenzo Guarracino

Verso spazi selvatici, andava il Cervo, prima "di approdare «dove trabocca l'anima / in una polla che ride / d'erbe più nuove / di un tempo che fine non ha». Mi pare che convenga partire da qui, da un testo centrale della raccolta precedente, Cercando il cervo (Book 2003), e da ciò che in esso si inscena, per capire dove ora, nella raccolta dal titolo suggestivo rorto dei semplici (Ares 2013), Alfredo Tràdigo situa se stesso come autore e la sua visione della poesia. Un'istanza di autenticità, di pienezza, tensione verso un mistico contatto e comunione con le creature, in un tempo estatico di reciproca accettazione e appagamento: è questo che si può leggere in quei versi, frammenti di un mosaico più vasto, col Cervo in questione soggetto e oggetto di una quiete di ben più complesso spessore metaforico. Ed è proprio questa figura che in un certo modo si presta a fare da collante tra le due raccolte, a testimonianza che, come si diceva una volta, in un poeta autentico "tout se tient". Dove mai, secondo il salmista, il Cervo potrebbe trovarsi ad appagare la sua sete se non a una fonte? Ed è giusto la "fontana" che si incontra alle soglie della nuova raccolta: spazio salvifico e lustrale, la "fontana", luogo di approdo a una condizione di serena accettazione del dono dell'esistente. Anticipazione e profezia dell' oggi, dunque, i versi di ieri: con l'ansia di allora che sembra trovare compimento nel riconoscimento dell"'attimo" come "compimento inatteso" di una promessa (Bastava una luce), come sguardo che è "lo stesso" di sempre (<<con ancora me dentro», dice più avanti in Non è per il tuo fascino), sorpreso e stupito dal dono, ma anche inguaribilmente assetato di bellezza come esperienza sempre nuova e incolmabile. Dove questo potrebbe avvenire se non all'interno di un recinto di edenica trasfigurazione e beatitudine, quasi un privato e personale " colle" di leopardiana memoria (e Leopardi, secondo me, è ben più presente di quanto sembri, o è dichiarato), qual è la poesia di Tradigo a partire dalla sua stessa struttura? Una struttura che è quella, breve, dell'idillio: illuminazioni, ecco, si potrebbero definire questi testi, concentrati e compresi in versi tersi e rigorosi, racchiusi spesso nel respiro breve di un'immagine, di un pensiero, incrostati attorno a un' emozione sensoriale (un suono, un sapore, un odore), che presto vola via come una farfalla, come la nota di un canto, come il baluginio di un raggio di luce o di un colore. Fin dal titolo: da quell 'Orto dei semplici, che assolutizza un' emozione in un'impressione cromatica, trasformando un giardino di molteplici e selvatiche essenze in uno spazio di delizie e di memorie, nel quale l'io si scopre e sente esposto al vento di una fatale necessità di decifrarsi e decifrare il senso di ciò che lo circonda e determina, in una trama intelligente di giorni e stagioni. Con ascetica disponibilità, con sguardo umile e dimesso. Aspettando, ascoltando, guardando (stavo per dire "mirando"), acuendo insomma tutti i sensi. E soprattutto credendo: che «ogni stella è un pensiero buono» (Amnistia bianca), che ogni occasione dell'apparire e della vita va colta nel suo specifico valore di positività, «prima che s'inquini».


IL CAFFÈ

Tradigo, ritorno d’un poeta

07 dicembre 2012 - Pasquale Maffeo

Ecco fresca di stampa, dopo un decennio di silenzio, la terza raccolta lirica di Alfredo Tradigo, L'orto del semplici (Ares, pp.80, € lO), cui Cesare Cavalleri dedica una illuminante nota introduttiva. Giornalista culturale nella redazione di "Famiglia Cristiana", collaboratore di quotidiani e periodici cattolici, Tradigo si occupa in prevalenza di critica d'arte, pittura e scultura, prediligendo l'iconografia e i simboli della fede nel tempo, come attestano due suoi volumi, ma con l'occhio attento anche alla modernità, al fare contemporaneo, alle novità che meritano di essere rilevate.
La brevissima inquadratura è utile a chi si inoltri nel percorso della nuova silloge: sia per l'intelligenza delle sequenze tematiche che la scandiscono, ben sette; sia per l'accesso alla sintassi prosodica che tutte le omologa e connota nel registro d'una pronuncia limpida e netta, rigorosamente essenziale, spogliata dell' interpunzione, rivestita di inediti coni verbali. Nel fondo, qua e là, si avverte qualche ascendenza ungarettiana, a volte una tensione semantica che richiama Hopkins. Voce dunque ancora costruita e modulata su una linea di canto, di cantabilità, che si colloca in un alveo di tracce novecentesche a dire la continuità di senso e vocazione, a smentire anarchie e progetti di azzeramento. Centrale in questa poesia troviamo l'uomo che sente e consente, la creatura che non evade, non si aliena, che anzi si ritrova e si rimisura in incontri e accettazioni lungo un cammino di vita che tra urti e intoppi procede guardando i volti e i colori delle stagioni, presago dell'approdo: Infinite le vie che il cuore percorrerà nell'inverno (p.62). Vi è come il maturare d'una sapienza, l'innervarsi d'un pensiero egemone che in tutto il tessuto tiene le maglie della scrittura, a cominciare dall'inizio: Le anime crescono più lente dei corpi lo sai (p. I O). Il nativo paesaggio lombardo: acque che lo solcano, nevi che lo imbiancano, alberi e frutti che lo dicono fertile, ecco, lo scorrere dei visibili segni si dipana simmetrico al dilatare di un paesaggio dell'anima in cui generazioni di monaci seguitano a muovere passi notturni «Verso le celle del cuore» (p.13). Sono affioramenti dell'alfabeto di Dio. Altri, lavorati a sbalzo o a ricamo, ne porta la città madre, Milano: Tra santi stiliti tra guglie incrostate di gotici fiori/Nell'occhio del Duomo rinasce Maria(p.33). Non un' emozione, non un trasalimento attraversa la vocalità di Tradigo. Nulla s'incrina nella levigata pronuncia. Per effetto di un modulo espressivo che schiva la frontalità, disloca immagini e istanze, immette in germinazioni trasversali la visione che cresce e rimane. Persino gli affetti domestici risultano contemplati e attutiti, non conoscono impennate. Un ricordo del padre, un giovanile amore della madre, la nascita del nipotino sono eventi interlocutori d'un destino che si direbbe universale: Il tempo consuma cavalli col suo vento leggero (p.73). Questa la certezza, la coscienza del poeta. La quale s'identifica in emblema nella geografia de Il ' hortus simplicius, invenzione cinquecentesca che allineava erbe officinali buone a lenire e curare le variegate infermità dei viventi.

Dalla Prefazione di Cesare Cavalleri (2012)
Diciamo tutto e subito: Alfredo Tradigo è un poeta contemplativo; la sua poesia è essenzialmente visiva e uditiva, basata cioé sui sensi che san Tommaso designa come «maggiormente conoscitivi». Quanto alla vista, è superfluo esemplificare perché tutto il libro è accarezzato dallo sguardo del poeta; per l'udito, ascoltiamo:

«Cerco la fonte di questo antico cinguettare
Di passeri dai colmi dei tetti e giù dentro le gronde»...

fino alla conferma che sta nel titolo della poesia: Nel suono il senso.

Anche i sensi meno «conoscitivi» sono evocati dal poeta in angolatura che va oltre il senso.
L'olfatto è soddisfatto da una sola goccia di colonia del padre

«Sulla pelle rasata di fresco,
Poi la nostra corsa in Lambretta
Verso la roggia gelata
O l'ansa tranquilla del fiume».

E il gusto si appaga di baci furtivi:

«Più dolce il sapore / Dei fichi rubati
Così dei tuoi baci / Ritrosa amica mia».

Nel panorama della poesia contemporanea questa, che rappresenta la terza raccolta poetica dell’Autore, si presenta esplicitamente già nel titolo. I “semplici” sono le piante medicinali che venivano coltivate in appositi giardini: esiste ed è ancoro attivo dal Cinquecento l’Horto dei Semplici di Padova di cui troviamo lo schema grafico in copertina e nel frontespizio. Nella metafora poetica le piante officinali diventano le persone semplici che l’Autore ha incontrato nella sua esperienza esistenziale che si trasforma, attraverso la scrittura, in esperienza poetica. Storie vissute quindi, brevi profili di persone reali di cui si dà nelle Note finali qualche breve cenno biografico.