Camille Pissarro, Bianca gelata, 1873

Thomas Merton
Amate l'inverno quando la pianta tace

O piccole foreste, toccate
Lievi la neve con i rami bassi!
O pietre coperte
Coprite la casa dei germogli!

Segrete
Vegetali parole,
Acqua ignara,
Quotidiano zero.

Prega non distratto
Albero curvo
Scolpito nell’acciaio –
Zenith sepolto!

Fuoco, volgiti dentro
La tua debole fortezza,
Nel tuo saldo nucleo infantile, La tua casa di nulla.

O pace, benedici questo luogo pazzo:
Silenzio, ama questo sviluppo.

O silenzio, zero dorato
Sole intramontabile.

Amate l’inverno quando la pianta tace.

L’inverno è la negazione di tutto ciò che è vita. Come si fa ad amarlo, a parte per qualche bella giornata di sole? L’austero invito del monaco trappista e poeta Thomas Merton (1915-1968), ci coglie dunque impreparati. Il suo invito silenzioso ha il sapore di un mantra da ripetere all’infinito nella nebbia dei boschi, fino a immedesimarsi in questo impossibile amore. Rifugiarsi nell’inverno. Amarlo. Ma a che pro? È una via negativa quella che Merton propone, la via della mistica, della non-conoscenza. L’inverno è un’occasione per conoscere Dio “sole intramontabile” attraverso la negazione di tutto ciò che non è Dio.
Dal suo eremo nei boschi del Kentucky il poeta chiama le cose, le invita al silenzio attraverso una catena di immagini. I rami nascondano la neve, la neve le pietre e le pietre i germogli. Le parole vegetali e segrete, l’acqua che non le conosce. Tutto si azzera in funzione della preghiera. Merton si identifica con quel tronco curvo che descrive con due immagini contrastanti: l’acciaio nascosto nel legno e lo zenith nascosto sottoterra. Ma proprio da questi contrasti nasce il “sole intramontabile” della penultima strofa.
Al centro della composizione il poeta invita il fuoco, nella sua “debole fortezza” (ancora un paradosso) a ripiegarsi su sé stesso, nel suo nucleo primordiale (“infantile”) per ritrovarsi “casa di nulla”. È il Nulla che prepara l’avvento del Tutto attraverso la pace, la benedizione e il silenzio. Il fuoco è un castello interiore (Teresa d’Avila) che custodisce l’anima delle cose e degli uomini. L’ultimo verso riprende il titolo ed è invito all’uomo moderno perché si spogli come un albero che attende la primavera. Se il mondo è un “luogo pazzo”, tutto ritrova senso in quell’invito “amate l’inverno quando la pianta tace”. Un invito a partecipare al canto dell’inverno, amare l’inverno e ciò che custodisce come un seme sotto la neve.