Famiglia Cristiana n° 22 - maggio 2006

RAFFAELLO A ROMA

INIMITABILE RAFFAELLO

La città dove ottenne fama e successo, e dove visse l'amore per la bella Fornarina, vede oggi raccolti da tutto il mondo i capolavori del grande genio. E per la prima volta ricostruita la pala della Deposizione.

La grande mostra monografica che apre a Roma, alla Galleria Borghese (19 maggio-10 settembre, catalogo Skira) presenta 27 tavole-capolavoro e 30 preziosi disegni preparatori dell'insuperabile artista rinascimentale. Un classico che appartiene a ogni tempo e a ogni pubblico. Spontaneo e inimitabile dalla vena artistica felicissima, paragonabile nel campo della musica solo al genio di Mozart.
Raffaello non si discute. Le sue opere sono viste e riviste grazie a innumerevoli stampe e incisioni che circolavano già nell'Ottocento; e quelle riproduzioni si sono ormai impresse nella nostra memoria lunga: Lo sposalizio della Vergine visto sopra il letto dei nonni o La Madonna della seggiola sul vecchio comò della zia che ne lustrava col sidol la cornice d'ottone. Indiscutibili icone di matrimoni e maternità che si volevano felici. Come quel Giuseppe e quella Maria nello Sposalizio, davanti al sacerdote, avvolti in una straordinaria luce ambrata. Icone dell'Italia familiare e contadina; prima che la luce del tubo catodico irrompesse con le sue fictions.
Raffaello era nato sotto cieli tersissimi e vaporosi d'acque e colline, gli stessi cieli che fanno da sfondo a tutti i suoi quadri; cieli che il grande storico dell'arte Bernard Berenson definì "guaina dell'anima". Cieli di quell'Urbino ventoso cantato da Pascol nel suo Aquilone Cieli d'infanzie serene che il pennello di Raffaello segnava con la geometria di eteri alberelli: spruzzi radi di foglie, steli da erbario; e discreti, silenziosi assi di simmetria.

Nato e morto il 6 aprile
Raffaello era nato sotto quei cieli il 6 aprile del 1483, venerdì santo, ore tre della notte. Trentasette anni dopo, alle tre di notte del 6 aprile era ancora venerdì santo; e Raffaello si spegneva nella sua bella casa, nella Roma dei papi e dei principi della Chiesa per cui aveva lavorato 12 anni come sommo pittore e architetto: le Stanze vaticane, la Fabbrica di san Pietro. Chiudeva gli occhi la notte del 6 aprile 1520 davanti alla tavola del suo ultimo capolavoro - La Trasfigurazione - appoggiata alla parete opposta al suo letto.
L'attuale mostra alla Galleria Borghese si occupa delle opere che Raffaello disegnò e dipinse nel breve periodo che va dal 1505 (un anno dopo Lo sposalizio della Vergine) e quel 1508 in cui lascerà A Urbino il ragazzo Raffaello Sanzio aveva imparato il segreto dei colori nella bottega del padre, Giovanni Santi; e alla magnifica corte di Federico da Montefeltro aveva assorbito la cultura umanistica. Era stato anche allievo del Perugino, algido e ateo pittore di pale con Madonne e Santi. Il suo primo dipinto però Raffaello lo realizzò diciassettenne nell'umbra Città di Castello, come un'altra bella mostra dedicata ai suoi esordi dimostra.
Giunto a Firenze, Raffaello si confrontò con altri due grandi artisti che avrebbero con lui formato la triade del genio rinascimentale italiano: Michelangelo e Leonardo. Imparando dal primo la drammaticità dei corpi in movimento e del colore puro e cangiante; dal secondo la sottigliezza e il mistero dei moti dell'animo umano nella luce. Raffaello scelse una terza via che si manifestò già compiutamente nella pala della Deposizione Baglioni-Borghese, per la prima volta ricomposta qui in mostra. L'artista dinamicizza e rivoluziona il tema della Deposizione (si veda in apertura come sarebbe dovuta essere nel più tradizionale disegno preparatorio) anticipando quel perfetto equilibrio tra pittura di natura e di storia - tra tono elegiaco ed epico - che preluderà alla cifra stilistica della maturità: le Stanze vaticane.

Superare natura e storia
Scrive Raffaello: "il pittore ha l'obbligo di fare le cose non come le fa la natura, ma come ella le dovrebbe fare". Rispetto alla staticità dello schema classico della Deposizione egli "inventa" il dinamico personaggio centrale: un giovinetto che con misurata classica cadenza muove l'azione da destra verso sinistra. Dal "venir meno" di Maria tra le pie donne sotto la croce (collegato al calvario in collina con le tre croci) al ricevimento del corpo da parte del terzetto Giuseppe d'Arimatea, san Giovanni e Nicodemo che trascinano Cristo verso il sepolcro. Al centro Maddalena prende la mano di Gesù (in un disegno preparatorio gliela bacia) mentre accarezza i suoi bei lineamenti. L'alberello segna l'asse di simmetria, punto di equilibrio; il movimento è dato dall'inarcarsi del profilo del giovane la cui gamba sinistra, ben piantata in verticale sul terreno, segna il fulcro dell'equilibrio statico, altrimenti compromesso.

La figlia del fornaio di Trastevere
Il genio inimitabile di Raffaello è tuttuo qui: nell'estrema naturalezza e semplicità che si ritrova in ogni sua opera. Così il Cristo benedicente esposto alla Borghese sorge dal sepolcro con i segni vivi e sanguinanti della passione. Anche qui è l'atto in sè a parlare, senza enfasi, senza commento "artistico", senza quasi che il pittore intervenga a sottolinare un suo sentimento di troppo. Lo stesso equilibrio si ritrova nella piccola tavola Il sogno del cavaliere proveniente da Londra: sotto l'alberello d'alloro il cavaliere sogna la Virtus e la Voluptas, due attraenti e desiderabili fanciulle, armonizzate in lui secondo i dettami della cultura neoplatonica.
Della vicenda affettiva di Raffaello ci parla la tavola La Fornarina: purissimo ritratto matrimoniale, verginale pudicissimo seno che ha il biancore di un velo di sposa. Raffaello forse sposò segretamente questa bellissima donna, figlia del fornaio senese Francesco Luti, trasferitosi a Roma nel quartiere di Trastevere. Si chiamava Margherita e i suoi bellissimi lineamenti sono ripresi da Raffaello nel ritratto di donna La Velata (visibile a Firenze , Palazzo Pitti); e forse anche nella mitica nereide Galatea, affrescata a Villa Farnese. Raffaello in realtà avrebbe dovuto sposare la nipote del cardinal Bibbiena per compiacere l'alto prelato cui doveva la committenza delle Stanze vaticane; e che, come scrive il Vasari "lo infestava per dargli moglie". Il pittore riuscì a rimandare le nozze finché morì inaspettatamente. La morte prematura anche della nipote del cardinal Bibbiena e la lapide nel Pantehon accanto alla tomba di Raffaello cancellò il caso-Fornarina: A Maria Bibbiena, sposa di lui, che con la morte prevenne le liete nozze e prima di esse fu porta via ancora fanciulla. Ma il corpo di Maria Bibiena non c'è e il fatto che quattro mesi dopo la morte di Raffaello una Margherita vedova risulta fosse stata accolta nel convento di sant'Apollonia in Trastevere confermerebbe il legame tra Raffaello e la sua bella e fedele Fornarina. Ridimensionando così anche la fama di dongiovanni attribuiva a Raffaello dallo stesso Vasari, che ne attribuì addirittura la morte a probabili eccessi amorosi.

Donne o madonne?
Riguardo infine alle splendide Madonne di Raffaello resta aperta una domanda: donne o madonne? Il pittore americano neoconvertito Bill Congdon, allievo di Pollok, disse che trovava più religiose le mele di Cézanne che le madonne di Raffaello. A ben guardare invece queste belle maternità esposte a villa Borghese si intuisce che per Raffaelo il problema non esisteva. Divino e umano erano per lui la stessa cosa. La natura e la materia erano vinte nella luce della pittura; in una naturalezza e in una materialità nuova che portava una firma sola: Raphael Urbinas.