11 luglio 2025
da: Il Sussidiario
Gerusalemme:
"Palestinesi, ebrei, cristiani, la guerra divide, la musica ci ha uniti"

Il coro della scuola Magnificat di Gerusalemme
Parla il direttore della Scuola di musica Magnificat di Gerusalemme. Frequentata da studenti ebrei, palestinesi e cristiani. La loro unità dona speranza
Le dita sullo schermo del cellulare scorrono veloci da “fra Alberto” al “Continua a leggere” che rivela l’ultima parte del lungo messaggio. Cronaca quotidiana da Gerusalemme. Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas, frate Alberto Joan Pari, dei francescani minori della Custodia di Terra Santa, scrive ogni giorno in Italia agli amici.
Tra tante voci di guerra una voce di speranza e di sano realismo cristiano. Più di 600 whatsapp fino ad oggi per raccontare la vita del Conservatorio musicale che fra Alberto continua a dirigere sotto le bombe e i continui coprifuoco. Annunci di morte contro note di pace.
Scrivere ai suoi amici per fra Alberto è un modo di condividere una situazione oggettivamente difficile. Sdrammatizzandola però ogni qual volta si apre uno spiraglio di possibilità di bene. 600 messaggi. Per chi li legge dall’Italia un modo di partecipare a una vita che nonostante tutto continua. Sono i ragazzi stessi della scuola a non volersi fermare per paura, a voler finire gli esami, fare i concerti, accompagnare con la loro musica le funzioni religiose. Sono ebrei, palestinesi, cristiani cattolici e ortodossi. Voci di speranza.
Fra Alberto, innanzitutto come è nata la sua vocazione e in particolare il suo impegno in Terra Santa?
La mia vocazione è nata dopo alcuni anni di ricerca di una comunità internazionale che avesse anche un’apertura al dialogo ecumenico ed interreligioso. Dopo essere stato due anni presso la comunità di Taizé e aver compreso la chiamata, ho lasciato fare al Signore, che mi ha condotto dai frati minori della Custodia di Terra Santa.
Cosa ha significato per lei in questi anni dirigere la Scuola musicale Magnificat di Gerusalemme?
Sono il direttore dell’istituto da ormai dieci anni e questo tempo per me è stato importante per comprendere cosa significhi dirigere un complesso educativo che opera in un contesto multiculturale, multietnico e interreligioso. Tutto ciò ha significato per me crescere a livello umano, spirituale, educandomi alla pazienza, all’ascolto e all’apertura di cuore.
Come è nata e con quali finalità questa scuola?
La scuola è nata dall’intuizione di un frate musicista, Armando Pierucci, che 30 anni fa, arrivando a Gerusalemme, si è accorto che non c’era educazione musicale soprattutto per i bambini e i giovani della città vecchia.
Prima del 7 Ottobre com’erano i rapporti tra studenti ebrei e musulmani? E oggi?
Al Magnificat si cresce insieme facendo musica, non ci sono differenze di ceto sociale, etnia e religione; nelle discipline collettive come il solfeggio, il coro, l’orchestra, studenti di ogni religione studiano insieme, non ci ha mai nemmeno lontanamente sfiorati il pensiero che si potesse agire per differenze di credo. È vero però che quando nel Paese ci sono tensioni, anche all’interno del nostro piccolo mondo si percepisce il disagio.
Ci racconta a questo proposito se esiste qualche storia che testimoni la speranza?
I segni di speranza non mancano. Ad esempio dopo il 7 Ottobre le ragazze dell’orchestra, per la maggioranza cristiane e musulmane palestinesi, non volevano più incontrare il loro direttore, che è un ebreo israeliano. Lui ci ha chiesto di convincerle a venire all’incontro per parlare e ha tenuto loro un discorso bellissimo dichiarando di non essere né il suo Governo, né il suo esercito, ma il loro insegnante che vuole continuare a creare del bello insieme. Le ha conquistate, l’orchestra ha continuato a incontrarsi ed è cresciuta molto dal punto di vista musicale e umano.
Come hanno reagito i ragazzi ai bombardamenti e al clima di continua incertezza e paura di questi due anni di guerra?
Mai avremmo pensato di vivere qualcosa del genere. La guerra più lunga del Paese è stata nel 1967, per sei giorni, e nessuno di loro era ancora nato. Dal 7 ottobre 2023 sono passati più di 630 giorni e l’ultima guerra con l’Iran ha veramente spaventato tutti per 12 giorni. Le scuole erano chiuse, mancavano gli ultimi appuntamenti scolastici, i concerti e gli esami di fine anno. Non posso negare che siamo stati tutti un po’ traumatizzati, chi più, chi meno.
Cosa vi ha sostenuto?
La musica, l’amicizia, siamo come una piccola grande famiglia, tutti ci conosciamo e sapevamo di essere nella stessa barca e senza un altro Paese dove andare.
Come è nata l’idea di mandare in Italia ogni giorno un messaggio agli amici sulla situazione che state vivendo?
Ho iniziato l’11 ottobre 2023, pensavo sarebbe stato solo per pochi giorni, mai avrei pensato di dover scrivere per quasi due anni. Sapevo che amici e familiari venivano bombardati da immagini tremende dai media e non riuscivano ad avere una reale consapevolezza della realtà. Ho pensato che raccontando ogni giorno ciò che viviamo sarebbe stato più veritiero e meno drammatico, cercando sempre di lasciare un messaggio positivo e di speranza.
Come siete riusciti a mandare avanti le lezioni e gli esami?
Siamo stati molto creativi, anche il periodo della pandemia ci aveva educato a trovare metodi alternativi. Comunque siamo fortunati, perché la scuola è nel sotterraneo del convento; quindi, abbiamo potuto riaprire subito dopo che le restrizioni permettevano attività educative nelle classi che avevano rifugi sicuri in caso di attacco missilistico.
Che età hanno i vostri allievi e come riescono a conciliare scuola e conservatorio?
I più piccoli hanno 4 anni, i più grandi 25 anni. Le famiglie aiutano molto a organizzare bene i tempi dei loro figli, sappiamo tutti che basta spegnere computer e cellulari e il tempo per tante belle attività si moltiplica e si riesce a fare tutto per bene.
Qual è il vostro metodo educativo nel campo musicale?
Non ne abbiamo uno specifico, un po’ il metodo Suzuki, un po’ il metodo classico dei conservatori italiani, oltre a influenze di scuole diverse, russa e americana, ma le linee guida vengono dalla tradizione italiana.
Qual è stato nel passato e qual è oggi nella sua vita il rapporto con la musica? Quali gli autori preferiti?
Ho studiato flauto traverso e da frate canto gregoriano e canto in generale, amo molto Mozart e Vivaldi, ma apprezzo tutta la musica, non credo di aver un autore preferito.
La scuola musicale Magnificat di Gerusalemme cosa rappresenta in Medio Oriente?
Siamo così piccoli che non credo rappresentiamo nulla nel Medio Oriente, ma a Gerusalemme siamo ben conosciuti, siamo un piccolo centro di eccellenza della musica classica e un centro di coesistenza pacifica.
Oltre alla musica classica c’è spazio nella vostra scuola per le diverse tradizioni musicali?
Abbiamo deciso di non aprirci alla musica mediorientale, ci sono molte altre scuole per questo. Abbiamo pensato di preservare la classicità non come tradizionalismo, ma come eccellenza e priorità.
Quale è il suo impegno nel coro anche rispetto al servizio liturgico in Terra Santa?
Il direttore del coro è il maestro fra Corrado Sica, un fratello carissimo da poco giunto a Gerusalemme, io sono un tenore del suo coro. Il Coro degli adulti del Magnificat, formato soprattutto da religiosi, religiose, volontari e qualche genitore della scuola, cura tutte le grandi liturgie della Terra Santa, soprattutto il Natale a Betlemme e la Settimana Santa a Gerusalemme.
Al di là del campo musicale, quali sono gli artisti e gli scrittori che lei predilige?
L’arte italiana rinascimentale e barocca mi affascina, soprattutto quella che si può gustare a Roma. Amo l’architettura, l’archeologia, l’arte sacra. Sono iconografo. Per quanto riguarda la letteratura negli ultimi anni ho letto molto scrittori giapponesi, amo anche la cultura giapponese e gli scrittori israeliani, per comprendere meglio il popolo con cui vivo.
Infine, se dovesse coniugare la parola “pace” con la parola “bellezza” nell’attuale situazione in Terra Santa, in particolare nella vostra scuola musicale Magnificat, cosa ci potrebbe dire?
Sono certo che è vera la frase “La bellezza salverà il mondo”, una citazione tratta da L’idiota di Dostoevskij. Nel romanzo, la frase viene pronunciata dal principe Myshkin, che a volte sembra essere ossessionato dall’idea che la bellezza possa redimere l’umanità. Tuttavia, la frase rimane enigmatica e aperta a diverse interpretazioni. In russo, la frase originale è “Mir spasët krasota”. Il termine “mir” può significare sia “mondo” che “pace”, aggiungendo un ulteriore livello di complessità al significato. Dostoevskij stesso, nel romanzo, mette in discussione questa idea, lasciando il lettore a riflettere sulla vera natura della bellezza e sul suo potenziale salvifico. Credo che sia una bella sintesi di quel che cerchiamo di vivere ogni giorno al Magnificat.