Jesus n° 01 - gennaio 2012

MIRACOLO ECUMENICO A FIRENZE

A Firenze si prega per l'unità davanti a tre icone provenienti dalla galleria Tret'jakov di Mosca dove sono esposte due tavole di Giotto. Rivive così una tradizione spirituale antica che invita cattolici e ortodossi a guardare insieme ai volti di Cristo e di Maria.

L'Oriente e l'Occidente cristiano, la Chiesa ortodossa e quella latino-cattolica si sono incontrate in questi giorni a Firenze, città che, dal punto di vista ecumenico, è famosa per il Concilio del 1439 in cui cattolici e ortodossi, dopo lo Scisma avvenuto a Costantinopoli nel 1054, tentarono una riconciliazione che non diede però i frutti sperati. Oggi nel Battistero fiorentino si torna a prega per l'unità dei cristiani davanti a tre capolavori dell'iconografia russa provenienti dalla galleria Tret'jakov. La galleria moscovita, da parte sua, accoglie altrettanto solennemente, due importanti tavole di Giotto provenienti da Firenze. Attraverso il culto delle immagini e la contemplazione della bellezza si rivitalizza così una tradizione spirituale antica e mai venuta meno che unisce le due Chiese e invita sia i cattolici che gli ortodossi a guardare nella stessa direzione, contemplando insieme i volti di Cristo e di Maria.

A Firenze, città d'arte per eccellenza, si celebra così un piccolo miracolo ecumenico. Il Battistero di Santa Maria del Fiore, il "Bel San Giovanni" di Dante (Inferno, canto XIX) accoglie fino al prossimo 19 marzo sotto la sua volta ottagonale dominata dal Cristo Pantocrator di Coppo da Marcovaldo, la solenne ostensione di queste tre preziose icone russe. La più antica icona esposta è quella della Madre di Dio Odighitria proveniente da Pskov (fine secolo XIII). Poi viene un capolavoro come l'Ascensione dipinta nel 1408 dal più grande pittore di icone russo, il beato Andrej Rublev (1360-1430): si tratta di una delle icone delle "Dodici grandi feste", che faceva parte dall'iconostasi della cattedrale della Dormizione a Vladimir e che, salvata dal degrado e restaurata, finì alla Tret'jakov. Infine, nel Battistero è esposta un splendida Crocifissione del 1500, opera della maturità di Rublev Dionisij (1440-1510), proveniente dalla cattedrale della Trinità del monastero di san Paolo di Obnora.

Queste icone ritrovano così la loro vera dimensione religiosa a confronto coi mosaici di un artista del XIII secolo come Coppo di Marcovaldo (1225-1276) che ha introdotto nella sua città – ed è questa già una felice coincidenza – l'iconografia bizantina.
Le tre icone provenienti dalla Tret'jakov e protette da teche, sono inserite al centro del Battistero, rivolte all'altare e fissate su un supporto di vetro con il testo del Credo apostolico niceno-costantinopolitano in greco, latino, russo e italiano. Davanti a esse officiano le comunità cattoliche, greco-ortodosse e russe così numerose in Italia.

Simmetricamente, alla galleria Tret'jakov di Mosca è esposta una Maestà di epoca giovanile di Giotto proveniente dalla chiesa di San Giorgio in Costa e normalmente conservata nel Museo di Santo Stefano al Ponte a Firenze, Insieme ad essa il polittico di Santa Reparata proveniente da un altare della cattedrale di Santa Maria del Fiore e che originariamente si trovava nell'antica chiesa di Santa Reparata, oggi inglobata nello stesso Duomo: si tratta di un'opera realizzata, secondo alcuni documenti, da un "parente" di Giotto.

Questo scambio artistico-culturale dal titolo In Christo/Bo Xcructe, nato sotto l'alto patrocinio dei Governi russo e italiano e respo possibile grazie alla disponibilità del patriarca moscovita Kirill e dell'arcivescovo di Firenze monsignor Giuseppe Betori, è stato promosso dallo storico Alberto Melloni, della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna. Melloni sta curando l'edizione critica dell'intero Corpus christianorum, che comprende, in edizione digitale, tutti i concili ecumenici e quelli successivi celebrati nelle altre Chiese come la greca, la russa, la copta e l'armena. Rileggendo i testi del Concilio Niceno II del 787 per esempio, in cui si poneva fine alla lotta iconoclasta, che ristabiliva l'ortodossia del culto delle icone – sottolinea Melloni – si scopre come in quegli anni si andasse consolidando nelle Chiese d'Oriente e d'Occidente un patrimonio culturale comune: le immagini e la loro spiritualità.

Il professor Melloni ricorda le parole che il patriarca Atenagora disse a Paolo VI nello storico abbraccio avvenuto nel 1964 durante il Concilio Vaticano II: «I nostri due popoli si amano più di quanto ci amiamo noi». Una frase, commenta Melloni, che forse non corrispondeva pienamente alla realtà ma che metteva genialmente la carità al centro del dialogo tra le due Chiese.
Ed è proprio l'Inno della Carità di san Paolo a dare il "la", a suggerire la nota giusta per capire questa iniziativa. Lo stesso Inno alla Carità che il regista russo Andrej Tarkovskij inserì nel suo film-capolavoro Andrej Rublev girato nel 1966 sulla vita del monaco pittore che la Chiesa ortodossa ha proclamato beato nel 1988 e di cui, per la prima volta in Italia, possiamo ammirare a Firenze la splendida Ascensione. Si tratta di un'opera che alcuni studiosi attribuivano fino a oggi anche a un allievo di Rublev, Danil, ma che proprio attraverso un esame ai raggi X, eseguito prima che l'icona venisse trasferita in Italia, conferma la paternità di Rublev. è bello immaginare che oggi Andrej Rublev sia venuto idealmente con le sue opere a visitare Firenze e i cattolici, così come è bello pensare che il nostro più grande artista medioevale, Giotto di Bondone (1267-1337), fiorentino, nato a Vicchio, nel Mugello, sia partito in trasferta per la Russia con la sua splendida Madonna in maestà col Bambino. Giotto dipinse quella Madonna più o meno negli stessi anni in cui veniva realizzata la Madonna di Pskov che è esposta adesso a Firenze accanto all'Ascensione di Rublev. La scuola di icone di Pskov, precedente alla scuola moscovita e più povera, era caratterizzata dall'uso del colore rosso nei fondi, più facilmente reperibile e meno costoso rispetto al più prezioso fondo oro. Siamo in una regione di confine, che corrisponde all'attuale Lettonia e che fa da ponte tra l'Europa occidentale e l'immensa distesa della Russia. è interessante notare come l'immagine della Madonna – la Madre di Dio – sia presente nelle tre icone esposte a Firenze così come nelle due icone inviate a Mosca. Così questo scambio ecumenico viene provvidenzialmente posto sotto lo sguardo di Maria, madre della Chiesa.

Maria, che sotto il volto di una giovane donna fiorentina o di una contadina russa mostra il frutto del suo grembo: Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, che il Concilio Niceno II definì circoscrivibile nella carne e quindi rappresentabile in un'immagine. Non una carne o un'immagine qualsiasi, sottolinea Alberto Melloni, ma un individuo con un'identità precisa, irripetibile, nato in un determinato tempo e luogo.

L'icona di Cristo dunque, la sua divinoumanità (vero uomo e vero Dio nell'unità ipostatica) è pietra angolare e coronamento, chiave di volta e fondamento dell'unità delle Chiese. Unità che è dono dello Spirito Santo e che brilla negli occhi di Maria: è lei sotto la croce nell'icona della Crocifissione di Dionisij così come è ancora lei al centro dell'icona dell'Ascensione di Rublev, tra due angeli biancovestiti. Nell'Ascensione la figura di Maria appare davvero "colonna e fondamento" della Chiesa terrena che guarda al Figlio innalzato al cielo.

La galleria Tret'jakov ha riservato un'accoglienza eccezionale alle nostre due tavole giottesche, inserendole nel corridoio dedicato agli impressionisti e dedicando loro un ampio suggestivo spazio in cui la Maestà è esposta all'altezza originaria per cui l'aveva dipinta Giotto. Accanto è esposto il polittico di Santa Reparata, dipinto su due lati, di cui quello frontale mostra i volti dei quattro patroni di Firenze: a destra il vescovo Miniato protomartire e il suo assistente Eugenio, a sinistra Zenobi vescovo tra il V e il VI secolo e il suo assistente Crescenzio. I santi vescovi sono radunati intorno a una Madonna con il Bambino così spontanea e naturale come solo Giotto avrebbe saputo dipingere.

L'arte di Giotto aveva superato infatti la rigidità della pittura bizantina, quella delle icone appunto, staccandosi dal suo maestro Cimabue per esprimere una nuova naturalezza, inaugurando l'umanesimo cristiano nel segno di una figura carismatica come san Francesco. Del resto se Giotto era un terziario francescano, l'ordine laico nato dal carisma francescano, Andrej Rublev prima che pittore era innanzitutto monaco e, con un ritardo di un secolo rispetto a Giotto (il Medioevo russo si protrasse nel Quattrocento) aveva cambiato la direzione della pittura russa condizionata dall'influsso severo di Teofane il Greco.

Rublev aveva scoperto una nuova umanità e una ricca paternità spirituale nella figura-guida di san Sergio di Radonez, fondatore del monastero della Santissima Trinità e di quella teologia trinitaria che Rublev tradusse nella splendida icona della Trinità, suo capolavoro, oggi eposta alla Tret'jakov.

Se Giotto "vola" in Russia, Andrej Rublev sbarca in Italia. Possiamo prenderci così la libertà di immaginare i due grandi pittori medioevali incrociarsi in qualche aeroporto del nostro mondo globalizzato, distratti e spaesati come lo sono sempre gli artisti, la testa tra i colori, il cuore pieno di nostalgia per la propria terra natale: i castagni del Mugello e le colline di Assisi di Giotto, cantore della vita di san Francesco; i boschi di betulle e la neve del monastero della Trinità di san Srgio dove Rublev viveva, dipingeva e pregava. Giotto ha il cappello calcato sulla testa così come lo vediamo dal suo autoritratto nel Giudizio universale della cappella degli Scrovegni a Padova: lo sguardo acuto di un uomo pratico, un borghese abituato a tenere in piedi una delle più prestigiose botteghe di pittura d'Italia. Giotto aveva molti seguaci ma era inimitabile, così come affermava il grande critico Roberto Longhi: «Di giotteschi, nel Trecento, non vi fu che Giotto stesso». Andrej Rublev invece ha gli occhi fissi, lo sguardo umile e assorto, incornciato dalla lunga, severa barba monastica così come lo conosciamo dall'icona realizzata nel 1988 per celebrare la sua canonizzazione.