Petali in forma di rosa

Rosario Mazzeo
Poesia - Ed. Mimep Docete

“La rosa non cercava né scienza né ombra: / confine di carne e sogno / cercava altra cosa”. L’immagine della rosa, evocata nel suo “essere oltre” da questa poesia di Federico Garcia Lorca (Casida de rosa) ci aiuta a mettere a fuoco la misura della poesia di Rosario Maffeo. Una poesia che, dal suo nucleo centrale, attraverso molteplici strati – i “petali” appunto” che le danno profondità – si apre come la rosa verso l’oltre, l’altro, l’infinito.

Con questa breve raccolta poetica l’autore compie in realtà un lungo tragitto attraverso il Novecento e l’attuale secolo XXI drammaticamente caratterizzato dal crollo delle evidenze per giungere a una pacificante certezza: quella della fede nella presenza di un Padre. Una Presenza che nasce nel segno di Maria. Nel suo grembo. L’immagine della rosa racchiude questa verità. In Ascensione a pagina 68 “le radici e le ore, rose dell’Eterno”; e in “Guarda” “tornerà Lui con i petali di rosa”. Cos’è questa rosa? La mistica rosa, Maria, racchiude il figlio come un’ape d’oro nel suo seno. E la poesia di Mazzeo ha il suono di questo mistico ronzio.

La composizione “Per una foto ricordo” fa da incipit alle quattro sezioni dedicate ai misteri del rosario (Gioia, Dolore, Luce, Gloria. In essa l’autore sfoglia i petali del suo passato, confessando le umanissime personali incertezze riguardo alla fede: “restai per anni sfilacciato / tra il forse e il non so / dei figli nati in tortura”. E la tortura sono le “formule” delle preghiere e dei moralismi. E invoca un Liberatore. Martellante ripete tra le strofe l’invocazione “Maranathà” (Vieni Signore Gesù) mentre passa tra le varie tentazioni umane: la filosofia, la sapienza, la poesia. Viene alla mente il viaggio di Dante accompagnato da Virgilio e poi da Beatrice. Anche nel suo piccolo viaggio alcune figure attraggono Mazzeo: si trattiene dubbioso con Pilato (“le mani di Pilato incatinate erano le mie”); poi si imbatte in Barabba, tratteggiato in poche indimenticabili strofe (“Ecco Barabba, l’uomo / ubriaco nell’osteria dei piani / bestemmiare nella litania / delle cose da fare” “moderno uomo / nell’osteria dei piagnoni / a bestemmiare ubriaco”); poi ecco Pietro, Adamo, e la Madre. E infine Ecco l’Uomo (Ecce Homo) a cui ripetere: Maranathà.

Entriamo ora nei quattro misteri del Rosario, formato ciascuno da quindici poesie. In ciascun mistero il linguaggio poetico, il tono, la versificazione si adattano al tema: gioia, dolore, luce, gloria. Nei misteri gaudiosi il poeta si rivolge a Maria in versi fluidi come in ogni inizio, come se tutto iniziasse di nuovo da quel Bimbo, da quella santa tenerezza che san Francesco, con la sua invenzione del presepio, volle dare al momento dell’incarnazione: “Ora è bambino, Maria, / che sgambetta, dove la paglia / con il fieno vede e respira // la Sua prima “Cara / cara” a te sul viso, / che ride, Vergine pia”. Così l’Epifania, Simeone, lo Smarrimento di Gesù.

Quindici poesie sulla Gioia cui seguono per contrasto altre quindici sui giorni più lunghi di Gesù, quelli della sua Passione. Anche qui referente è la Madre a cui il poeta si rivolge chiedendole ragione di tanti dolori, dove il dolore (per esempio in “Non vedi” p. 45) è cosificato come nelle sculture dei Sacri Monti: “chiodo all’amo, colonna bestemmiata da frusta, ramo che maledice, fustagno, nave belluina”; affinché Lei intervenga con la sua “àncora / in quel mare / che è grembo immenso / del perdono: / fammi rientrare”. Anche qui il poeta è impigliato all’amo, alla voce delle sirene di Ulisse, al “rito di mani bianche” di Pilato e di fronte a Gesù che soffre impotente alla colonna chiede aiuto alla Madre. I peccati “annodano come foulard la gola della vita” e Maria è invocata come salvezza dal poeta-Giuda, dal poeta-Pilato, dal poeta-Pietro. Finché sotto la croce invoca: “Inchiodami /a questa / tua croce / d’uomo/ Cristo.”, verso che richiama il verso iniziale è “Se non mi incolli / o Cristo che vieni / rimango urlo / fatto e perduto.) E’ qui, in questo verso-chiave la forza poetica di Mazzeo, che rivela tutta la sua tensione interiore tra la verità e la propria libertà.

Nella sezione dedicata ai mestieri della Luce, la figliolanza a Maria è sottolineata nella poesia “Signore, io sono” in cui il poeta, che con la presenta raccolta intende celebrare il suo settantesimo compleanno, scrive: “Signora, io sono / che nel primo istante concepito / a Te hanno dato come fiore / esile di rosa per restare / tuo in ogni cosa”; dove in questo ultimo verso c’è il ricordo del Totus tuus di Giovanni Paolo II.

La raccolta si conclude con il breve poemetto “Preghiera per la pioggia” che fa da controcanto all’iniziale, drammatico testo “Per una foto ricordo”. Qui l’elemento liquido scorre, s’impolla, si fa specchio di un viso che è l’icona di Cristo. Là dove all’inizio (“Per una foto ricordo”) tutto trovava inciampo, difficoltà, fatica qui felicemente zampilla. E l’autore si ritrae mentre gioca addirittura con le tre persone della Santa Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo); e la fa con una santa confidenza, conquistata dopo un lungo cammino poetico ed esistenziale fatto dubbi e cadute, così che quel “gioco” non è atto di superbia ma fiducia di bambino. Una fiducia, piovuta come grazia, come dono dall’alto che rigenera il mondo: “occorre far piovere / e vedere campi pieni / di frutta e grano”. “Deve diventare mia la parola” conclude Mazzeo, “prima che le pietre / mi chiudano tra gli uomini / E se la poesia che fa da incipit gridava ad ogni strofa “Maranathà” (vieni Signore Gesù) qui il poeta ripete “è venuto”. Già venuto.

Il mondo ritrova senso attraverso la voce poetica, la frammentarietà del mondo contemporaneo si ricompone nella forma antica ed eterna della rosa. E l’Uomo esiste; e il poeta ripete come Pietro: Sull’acqua tu non sei un fantasma”.