Saggio - agosto 2006

Introduzione al catalogo mostra MESSAGGERI DI LUCE

IL COLORE DEGLI ANGELI

200 antiche icone russe dalla collezione Orler esposte a Monreale

Qual è il colore degli angeli? Può un essere di luce rendersi visibile, il suo bianco scomporsi nei colori dell'iride? E possono quei colori tradursi in terrei pigmenti, fissarsi su tavole di legno o inglobarsi nella superficie calcinata di un muro? Condensarsi in occhi, volti, piedi, mani, svolazzanti panneggi. Occhi e volti credibili che parlino di Dio, del Dio che essi contemplano notte e giorno; e poi, con labbra mute e mani, piedi, ali, possono le loro icone trasmetterne il messaggio agli uomini?
Nelle antiche icone la presenza degli angeli è una nota di basso continuo, un fruscio discreto di seta negli angoli; ma anche, a volte, è uno squillo argentino che irrompe improvviso. Scampanellio prezioso. Ancora un fruscio di vesti e ali. Silenziose presenze. L'immagine poetica dell'angelo è un perfetto ossimoro in cui si confronta la terribile potenza e l'indicibile dolcezza di Dio. Nell'aura che irraggia i giovanili capelli. Nell'imperscrutabilità di sguardi e pensieri. Nel vigore del corpo di guerriero piantato a terra, le gambe a compasso, saldo nella volontà di agire. Così l'arcangelo Michele, armato di bilancia e spada, è pronto a trafiggere satana e a pesare le anime. Gli angeli sanno anche essere straordinari interpreti della tenerezza divina. Come i tre nell'icona del Battesimo, dolcemente chini come salici lungo il fiume Giordano, le braccia rispettosamente velate per ricevere adoranti il Corpo intoccabile e bellissimo del Dio che esce dall'acqua.
Tutto ciò nei colori dell'arte. Poi, certo, può anche accadere nella vita e nei racconti della Bibbia di confondere gli angeli con occasionali viandanti, oscuri pellegrini, ignoti compagni di viaggio. Che prima o poi però si riveleranno messaggeri divini. Come l'arcangelo Raffaele - colui che guarisce - nel lungo viaggio descritto nel libro di Tobia. O come l'angelo della resurrezione seduto sulla pietra rovesciata del sepolcro, che lascia sconvolte e impaurite le tre donne.
L'arte ha certamente un ruolo primario e decisivo nella nostra conoscenza degli angeli. Nei paesi slavi, per esempio, i bambini incontrano il sorriso dei loro grandi occhi pensosi tra le mura domestiche, nelle icone appese nell'angolo bello (krasni jugol, angolo rosso). Nelle chiese ortodosse, nell'ordine superiore dell'iconostasi (la Deesis) i fedeli ortodossi imparano quale sia il posto degli angeli nell'economia divina: accanto al trono di Dio, come le grandi icone degli arcangeli Michele e Gabriele, precedute dalle icone della Vergine Maria e di san Giovanni Battista. Il posto degli angeli è lì davanti al trono. Ma a volte irrompono nelle vicende umane, come il grande angelo nell'icona dell'Annunciazione: ad ali aperte, con lo slancio di chi viene dal cielo a portare un annuncio, lo vediamo vibrare di luce e colore sulle porte regali dell'iconostasi; o, più discretamente, sussurrare all'orecchio dei quattro evangelisti, seduti nei loro suggestivi scriptorium, sui battenti delle stesse porte.
Il posto degli angeli è nella penombra del Tempio dove dalle icone, sotto il tremolio delle lampade a olio, sembrano ammiccare e quasi ci tirano per la giacca, per trattenerci a sè. Reggono lo scettro del comando e la sfera trasparente del mondo. I loro volti parlano il linguaggio misterioso della bellezza e della grazia di cui è adorna la loro effige; i corpi immateriali sono avvolti in panneggi, resi preziosi dalla ragnatela dell'assist, colpi di luci in sottile trama d'oro zecchino. Forse quello che ci sta guardando ora è un angelo del monaco-iconografo Andrej Rublev, pennello dello Spirito Santo e Raffaello del nord: i capelli gonfi e vaporosi del suo angelo sono trattenuti da un nastro che s'avviticchia in uno spirituale tirabaci svolazzante sopra le orecchie, segno del soffio invisibile dello Spirito. "E come lo Spirito ne odi il suono ma non sai da dove venga né dove vada" (Giovanni 3,8).
Angeli, signori del silenzio. La bocca chiusa da un invisibile sigillo, gli occhi grandi e ardenti, riflettono lo sguardo di Colui che i loro stessi occhi contemplano. Angeli: occhi di Dio!
I fedeli ortodossi hanno imparato a guardare così i grandi angeli della Deesis: faccia a faccia, in dimensione naturale, come fossero loro contemporanei. E hanno imparato a seguirne le vicende nelle icone delle Dodici Grandi Feste allineate nel terzo ordine dell'iconostasi ed esposte sul leggio centrale nel periodo liturgico della festa. Hanno imparato a vederli agire nei paesaggi evangelici evocati dalle icone, le lande deserte della Palestina. Nell'icona della Natività, per esempio, tre angeli coi piedi ben piantati sulla roccia della montagna si chinano a dare l'annuncio a pastori, tra pecore e radi ciuffi d'erba.
Se l'iconografia angelica in occidente si è evoluta da quelle robuste e concrete immagini bibliche verso sempre più improbabili e fantasiose visioni new age (gli irridenti puttini alati di Raffaello finiti sulle t-shirt o il mondano alveare d'ali delle scenografiche visioni di Correggio) nell'arte bizantina e slava l'angelo conserva tutto il primitivo ancestrale brivido delle rivelazioni bibliche, soprannaturali e umane a un tempo. Angeli che esprimono l'autocoscienza del mistero che contemplano. Schiere che presidiano il trono di Dio e che sarebbero potute intervenire nella notte del tradimento, a difendere Gesù: "credi che io non possa pregare il Padre che mandi subito in mia difesa più di dodici legioni di angeli?" (Matteo, 26,53). Ma anche lesti a volare tra i rami della croce, a raccogliere nei calici, come api operose, le ultime gocce del Suo sangue prezioso.

Creazione
Il libro della Genesi parla per la prima volta degli angeli dopo il racconto della Creazione. Un angelo scaccia Adamo ed Eva dal paradiso terrestre e un cherubino con la spada fiammeggiante ne custodisce le porte; impedendo all'uomo il ritorno al paradiso perduto, divenuto per lui inaccessibile. Quel cherubino, il cui volto campeggia al centro di sei ali fiammeggianti, diventerà per gli ebrei - di cultura aniconica come i musulmani - l'unica immagine religiosa consentita senza cadere nell'idolatria. Due cherubini scolpiti (come già sui portali del palazzo di Babilonia le divinità alate dal volto d'uomo dette karibu) verranno posti a destra e a sinistra dell'Arca dell'Alleanza, il luogo più sacro del Tempio di Salomone. Là il profeta Isaia avrà la visione del serafino (da seraphim, bruciare) che gli purificherà le labbra con un tizzone ardente (Isaia 6, 6).
Se gli angeli non appaiono nelle prime pagine di Genesi, all'atto della Creazione, sappiamo però che la dottrina cristiana, nutrita di fonti patristiche, pone all'inizio, fuori dal tempo, una grande lotta tra le schiere condotte da Michele e Lucifero, capo degli angeli ribelli. Si fronteggiano due irriducibili opposti: Michele - chi è come Dio? - , nome che segna la distanza tra sé e il totalmente Altro, tra creatura e Creatore; e Lucifero - letteralmente portatore di luce -, il più bello degli angeli, il più affascinante, il più puro. Lucifero che si paragona a Dio e gli si oppone, così da dovere essere cacciato da Michele nelle profondità degli Inferi.
Mentre sono rare le rappresentazioni di questa grande lotta ancestrale tra angeli fedeli e ribelli (lotta che ricorda i grandi cicli mitologici dell'antichità, e anche il più recente Silmarillion introduttivo alla famosa trilogia tolkeniana Il signore degli Anelli), l'iconografia altomedioevale rappresenta nei grandi affreschi e nelle icone l'ultimo atto della storia umana - l'Apocalisse - in cui si compie il destino dell'umanità. Gli angeli conducono i giusti in Paradiso, i demoni trascinano i dannati all'Inferno.
Nell'iconografia ortodossa è particolarmente messa in evidenza l'azione degli angeli. Se al momento della creazione presiedono all'apertura dei cieli distesi "come una tenda sul mondo " (salmo 104, 2), nel capitolo finale della storia, davanti al trono vuoto dell'Etimasia, su cui siederà Cristo Giudice, essi hanno il composito di arrotolare quei cieli consumati dalla storia così come si ripiega una vecchia stoffa; o si accartoccia un'antica pergamena .

L'angelo e l'uomo
Se il libro della Genesi tace la presenza degli angeli all'atto della Creazione, l'arte bizantina - per esempio con i mosaici della cupoletta di destra nell'atrio di san Marco a Venezia - ce li mostra mentre presenziano alle fasi dell'attività creativa di Dio nei primi cinque giorni del mondo. Inserendo tra Dio e il creato il primo modello di essere creaturale. Nel sesto giorno poi - come si può vedere nell'immagine della porta diaconale della cattedrale Sol'vycegodsk - il Dio creatore (identificato iconograficamente con Cristo secondo la teologia paolina, Efesini 1, 4) plasma la piccola figura umana (l'anima dell'uomo) alla presenza di un arcangelo dalle vesti preziose. Ma ancora più splendenti dello stesso arcangelo risultano nell'icona Adamo ed Eva dalle vesti regali bordate d'oro, che li identifica "signori del Paradiso" per quel breve tempo felice che precede il peccato originale. Tempo felice in cui, nella brezza della sera, Dio scendeva a conversare con loro. Tempo felice in cui - re e regina - l'uomo e la donna davano un nome a ciascuna pianta o animale. Così tutto ciò che Dio ha creato davanti agli angeli del cielo ora deve essere ordinato e "nominato" dall'uomo e dalla donna. Dice infatti il salmo 8: "L'hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai rivestito e tutto hai messo tra le sue mani". E ancora: "L'hai fatto poco meno degli angeli". Nell'immagine dipinta sulle porte diaconali (museo di Sol'vycegodsk) Adamo ed Eva hanno il nimbo come l'arcangelo, dal quale si distinguono solo per la mancanza delle ali. Anzi, come abbiamo visto, essi appaiono in posizione di privilegio. L'icona stabilisce qui, visualizzandolo, il paragone tra lo stato angelico e la condizione umana già proposto nei versetti del salmo 8: "Cos'è l'uomo perché tu te ne ricordi… eppure l'hai fatto poco meno degli angeli" L'uomo non è inferiore agli angeli, solo ha un destino diverso da loro, un destino in cui si gioca il dramma della sua libertà, continuamente aperta alla possibilità del Bene e del Male. Torniamo all'icona della Creazione: dopo la caduta l'iconografo russo rappresenta l'uomo e la donna nella loro opaca nudità: la loro pelle non è più rivestita dalle vesti luminose della Grazia, ha preso il colore della terrestrità. Pure entrambi non sono caduti irrimediabilmente negli Inferi e Dio ha cucito per loro due tuniche di misericordia. Se un cherubino impedisce loro di tornare nel Giardino dell'Eden, pure Dio porrà sul loro cammino angeli in sembianze di pellegrini, angeli coi piedi per terra, simili a uomini, che li aiuteranno a ritrovare la via del Bene.

L'angelo custode
Inizia qui a esplicitarsi meglio la funzione, il ruolo degli angeli: intermediari tra Dio e l'uomo, suoi messaggeri (angelos in greco, malak in ebraico). Il destino dell'uomo, il desiderio del suo cuore, la nostalgia che lo coglie a sera è quella di ritornare alla primitiva innocenza, al perduto regale splendore, a quei "dialoghi" con Dio nella brezza del crepuscolo. In questo viaggio di ritorno che è la vita umana l'angelo è guida sicura. Scrive san Basilio: "Presso ogni fedele vi è un angelo che lo conduce attraverso la vita, come educatore e pastore". E Gesù riferendosi al Regno dell'innocenza perduta: "Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non entrerà in esso" (Marco 10,15; Luca 18,17). Gli angeli vivono per loro natura quello stato di purezza originale che a noi è negato; ma sono anche la garanzia che quello stato di grazia esiste davvero. Con l'esortazione che ci è tanto familiare - proteggi, custodisci, reggi, governa - ci rivolgiamo al nostro angelo custode e lo preghiamo di agire nel mondo e nella storia. A non disprezzare queste cose come "cose da bambini" ci esorta lo stesso Gesù nel vangelo: "Siate attenti a non disprezzare nessuno di questi piccoli, perché vi dico che i loro Angeli vedono sempre la faccia del Padre mio". (Matteo 18,10).
Come nell'icona L'angelo custodisce l'anima e il corpo del dormiente, (Nikifor Savin, inizio sec. XVII, San Pietroburgo, Museo russo) così nella testimonianza novecentesca di una mistica italiana, Maria Valtorta ( 1897-1930) il nostro angelo custode sta in ginocchio presso di noi che siamo tabernacolo e tempio dove abita il mistero della SS. Trinità: "Il volto di luce condensata, dalle linee perfette, pur stando così curvo, mi sorride. La sua incorporea veste pare uno smeraldo chiaro fatto abito di luce. Alle spalle un breve manto di un rosso chiaro, vivissimo, come di rubino trapassato da un raggio di sole. Le ali sono due bianchi splendori raccolti lungo i lati.

Essere come Dio
Il loro destino gli angeli se lo sono misteriosamente giocati all'origine, nell'istante infinito che precedette l'inizio del tempo umano. Ma perché Dio, dopo le sfere angeliche e il mondo, avrebbe creato l'uomo? E soprattutto perché poi, per salvarlo, avrebbe deciso di farsi Lui stesso uomo? La risposta dei Padri della Chiesa è scandalosa, mozzafiato: "Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventasse Dio". Ma "in Lui". In un Amore più grande, dunque. Non per sua natura o per suo merito l'uomo si salva ma perché creatura perdonata dal suo stesso Creatore. La funzione degli angeli diventa così di intermediari tra l'invisibile carità di Dio e la limitata terrestrità dell'uomo. Superando anche le leggi della fisica e della gravità.
Così un angelo trasporta nell'aria il profeta Abacuc dalla Giudea a Babilonia per sfamare il profeta Daniele, come si vede nell'icona Daniele nella fossa dei leoni, (XVI secolo, museo di Novgorod). Nei due angoli superiori dell'icona della Trasfigurazione i profeti Mosè e Elia, miniaturizzati e racchiusi in arricciate nuvolette, vengono "recapitati" da un angelo dal cielo al monte Tabor, dove compaiono a grandezza naturale in piedi, accanto a Cristo in gloria. Nell'icona della Dormizione nelle medesime nuvolette, fiorite nel cielo di Gerusalemme, gli angeli trasportano i dodici apostoli (anche qui ridotti in piccola dimensione) al capezzale della Vergine morente.
Ancora un angelo protegge e fa uscire indenni i tre fanciulli ebrei Anania Misaele e Azaria dalla fornace ardente del re Nabucodonosor (Daniele, 3): l'angelo prende per mano i ragazzi e danza con loro tra le fiamme. Infine è ancora un angelo a nutrire con un pane dal cielo Elia nel deserto (1 Re 19,4); e anche a Maria dodicenne, reclusa nella stanza alta del Tempio (protovangelo di Giacomo), riceve il pane da un angelo così come si vede in un particolare in alto a destra nell'icona della Presentazione della Vergine.

Lo stato angelico
Nel monachesimo bizantino e russo lo status monacale è ritenuto quello più vicino alla condizione originaria dell'uomo; l'atelier ideale dove più naturalmente si sviluppa la pittura delle icone: volti che appartengono alla dimensione dell'aldilà, sguardi in cui contempliamo - "come in uno specchio" direbbe san Paolo - la nostra vera immagine impressa nei tratti di Cristo, degli angeli, dei santi.
L'iconografia ortodossa ha creato una interessante variante "con ali" per l'icona Giovanni Battista angelo del deserto. E addirittura una variante dell'icona di Cristo con le ali: un giovanile imberbe Gesù Angelo del beato silenzio. Questo particolare tipo iconografico si sviluppa in Russia nel secolo XV e riprende l'immagine bizantina dell'Angelo del gran consiglio. Le caratteristiche del Cristo del Beato silenzio sono molto vicine all'identikit di ogni buon monaco ortodosso. Alla sua infanzia spirituale, di cui parla san Pietro nella sua prima lettera - "come bambini appena nati desiderate un puro latte spirituale" (Pietro2,2) -; e poi alla matura "bellezza incorruttibile di uno spirito docile e silenzioso" (Pt 3,4). Presenza discreta che "non grida e non alza la sua voce nelle piazze" (Isaia 42,). L'icona monastica di Cristo Beato silenzio - le labbra serrate, le mani ripiegate sul petto - richiama l'invocazione: "ponimi come un sigillo alla mia bocca, un freno all'aprirsi delle mie labbra" (salmo 141,3). Cristo angelo del silenzio è dunque il modello, l'icona che invita al Grande Silenzio monastico. E il grado massimo di ritiro del mondo è indicato dalla grande stola nera con croci (il grande skema) che riveste il monaco ormai separato totalmente da tutto.

L'angelo suggellato
Un sigillo dunque, sulle labbra. Viene in mente il racconto di Nikolaj Leskov L'Angelo suggellato (1873) in cui l'icona dell'Angelo che guida e difende la setta russa dei Vecchi Credenti (i raskolniki, che non accettarono la riforma liturgica di Pietro il Grande e rimasero fedeli alle tradizioni dell'antica fede ortodossa e alla migliore tecnica di pittura delle icone) viene sequestrata alla piccola cooperativa di artigiani costruttori (artel') dai funzionari statali che marchiano con un sigillo - sfigurandolo quel volto bellissimo e soprannaturale. Sulla liberazione da quel marchio infame e dissacrante e sulla restituzione dell'icona alla piccola fervente comunità si gioca tutto il racconto. Così il fine dell'esistenza umana diventa, fuor di metafora, liberare l'Angelo suggellato che portiamo dentro, che ci rivela l'immagine del nostro vero volto.
Ma a volte le immagini ingannano. Anche le icone possono diventare moda e mondanità. Come nel racconto di Leskov, grattando la superficie dell'icona si possono trovarvi demoni dipinti in qualche angolo. Solo lo studio e la preghiera davanti all'icona ci salvano dal farne un idolo, ci aiutano a scavare sotto la sua superficie per comprenderne lo spessore culturale, espressione e autocoscienza di un popolo che crede.

Tre pellegrini a mensa
Nelle icone gli angeli hanno sempre una posizione eretta o leggermente china, adorante. Non sono mai seduti, in posizione di riposo, ma sempre pronti ad aiutare, proteggere, servire l'uomo. La posizione seduta non si confà alle angeliche creature. Che non conoscono la fatica. Ma nell'icona Ospitalità di Abramo avviene un fatto nuovo: nel deserto tre sconosciuti pellegrini siedono a mensa, "nell'ora più calda del giorno" (Genesi 18) sotto l'ombra delle querce di Mamre, presso la tenda di Abramo e Sara. I tre uomini si lasciano servire dall'anziano patriarca e da sua moglie, e annunciano loro il concepimento e la nascita di Isacco. Riferendosi a questo episodio di ospitalità ( e l'ospitalità è ritenuta sacra e tenuta in grande considerazione nelle culture primitive), san Paolo scrive: "non dimenticate l'ospitalità; perché, praticandola, alcuni senza saperlo hanno albergato degli angeli " (Ebrei 13,2).
Nella successiva elaborazione teologica e iconografica i tre pellegrini ospiti di Abramo si trasformano in alate presenze, icone splendenti, immagini delle tre Persone della santissima Trinità. Nell'icona Trinità angelica dell'iconografo russo Andrej Rublev - monaco e discepolo spirituale di san Sergio di Radonez, il grande mistico della Trinità - tutto si simbolizza e sublima: la mensa diventa altare, il monte figura dell'inaccessibile luogo del Padre, il Tempio corpo vivo del Figlio, l'albero verdeggiante Spirito, la coppa sangue del Sacrificio. Il Concilio moscovita dei Cento Capitoli definì la Trinità di Rublev modello unico e insuperabile di Trinità per tutti gli iconografi . I tre alati pellegrini seduti a mensa diventano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tre in Uno: "Tres vidit unum adoravit" (Gioacchino da Fiore, Adversus iudeos).

Padroni degli elementi
Gli angeli, presenti al momento della Creazione, sono padroni dalla materia e dei suoi elementi: comandano alle nubi, al cielo e alla terra, alle acque e a tutte le forze del cosmo. L'arcangelo Michele dirotta le acque del fiume che minaccia di distruggere la chiesa-monastero di Chonae in Frigia, come si vede nella bella icona Miracolo di Chonae (secolo XII, monastero di Santa Caterina del monte Sinai). Sempre Michele doma un branco di cavalli selvaggi e ne affida le redini ai santi russi Florio e Lauro, protettori dei cavalli nell'icona Miracolo dell'arcangelo Michele con santi Floro e Lauro (inizio XVI secolo, Mosca, Galleria Tret'jakov).
Gli angeli possono anche modificare, con il loro intervento, il corso della storia. Se Michele, all'origine, guida alla vittoria le milizie angeliche nella lotta contro Lucifero, tanto più può felicemente condurre le milizie terrene dello zar a sconfiggere i tatari, così come è descritto nella grande icona moscovita Benedetta la legione del sovrano celeste (1552, Mosca, Galleria Tret'jakov). Storia e metastoria si sovrappongono nella fiammeggiante cavalcata mentre nugoli d'angeli escono come rondini dai tetti di Gerusalemme incontro all'esercito trionfale, che si lascia alle spalle Babilonia che brucia. Questa icona è davvero un anticipo storicizzato dell'Apocalisse che canta l'unità della cultura e della coscienza religiosa russa.
Cavalcando il grande cavallo alato, Pegaso fiammeggiante, l'arcangelo Michele calpesta e sconfigge satana così come san Giorgio uccide il suo drago. In successive elaborazioni Michele, cavalcando, tiene tra le mani le forze della terra e del cielo: la tromba, l'arcobaleno, il turibolo fumante, la lancia e la croce. Dimostrando la sua signoria sul cosmo e i suoi elementi allo stesso modo che gli angeli che circondano Maria nell'icona Madre di Dio del Roveto ardente (fine sec. XVIII, Russia centrale) sottomettono le forze della natura (folgori, nubi, gelo, terremoti, fuoco, inondazioni) a Maria, che nelle litanie lauretane è invocata come Signora degli angeli, Regina angelorum.

Ordinati in Maestà
Torniamo all'immagine dell'Apocalisse, grandiosa sintesi iconografica di molteplici eventi che hanno come protagonisti gli angeli. Innanzitutto le gerarchie celesti delle grandi Maestà medioevali, come il capolavoro di Duccio da Boninsegna (Siena, museo del Duomo). Nella cupola del battistero di Firenze (il "bel san Giovanni" di Dante, Inferno XIX,17) vediamo realizzata da Coppo di Marcovaldo una delle più belle rappresentazioni a mosaico delle nove schiere angeliche: Angeli, Arcangeli, Principati, Potestà, Troni, Dominazioni, Cherubini e Serafini. Anche nell'icona russa Sinassi degli angeli intorno all'Emmanuele le angeliche gerarchie fanno corpo intorno al trono di Dio secondo l'ordine stabilito da Dionigi l'Areopagita nel suo De coelesti hierarchia. Nell'Apocalisse, sotto il trono di Cristo giudice in Maestà, ribolle il drammatico travaglio delle anime. Il fiume ascendente dei beati viene docilmente condotto dagli angeli verso Dio. I dannati, recalcitranti e tormentati dai demoni, sono cacciati nella bocca della Bestia, il rosso Leviatano. Anche qui, nella profondità degli abissi, sono gli angeli a legare satana in catene per mille anni (Apocalisse 20, 2-3).
In basso a destra, sull'altro lato dell'icona, un grande angelo riapre i battenti delle porte del Paradiso che il cherubino dalle ali fiammeggianti custodiva serrate dopo il peccato d'origine. Nell'atto finale della storia i beati - e davanti a tutti il buon ladrone, il Ladro teologo della tradizione ortodossa - sono introdotti dall'angelo nel paradiso ritrovato, tra alberi e prati fioriti; per riposare, finalmente tornati "come bambini", nel seno dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe.

L'Angelus
Nell'icona dell'Annunciazione l'incontro tra Maria e l'angelo Gabriele (le cui parole sono scolpite nella mirabile preghiera dell'Angelus) è il momento decisivo della storia umana. Sono a confronto l'angelo di Dio e una semplice ragazza ebrea misteriosamente preservata dal peccato d'origine. L'angelo e la ragazza sono messi a confronto fisico e interiore: i loro profili si dividono lo spazio prospettico e simbolico dell'icona. L'uno è davanti all'altra in silenziosa attesa e il silenzio è percosso dalle poche essenziali parole racchiuse nell'antica preghiera dell'Angelus. Gabriele porta lo sconvolgente annuncio del Dio che cerca un grembo di donna per venire al mondo. La ragazza pone la sua obiezione - "non conosco uomo" -, ma poi cede con umiltà al disegno rivelato dall'angelo. La Trinità stessa, dicono i Padri, pare trepidasse in attesa del sì di Maria. Tutto il destino dell'umanità pendeva da quelle labbra di sedicenne, da quel suo sì bisbigliato all'angelo Gabriele.
Nell'icona dell'Annunciazione di Ustjug, (1120, Mosca Galleria Tret'jakov) una delle più ieratiche e primitive annunciazioni, di cui è evidente la derivazione dalla pittura monumentale, Gabriele ha le ali ripiegate e Maria è tutta raccolta in sè. In altre icone del medesimo soggetto, invece, le ali dell'angelo sono aperte e dinamiche a sottolineare lo slancio, l'abbrivio, come di cigno che plani sull'acqua. E Maria, di fronte all'impetuosità dell'angelo, si ritrae turbata. Angeli statici sbozzati grezzamente nella pietra come capitelli medioevali; oppure guizzanti e dinamici come leggiadre eleganti farfalle.

La scala angelica
Le antiche steli indicavano la sacralità del luogo dove il Dio si era rivelato. Il patriarca Giacobbe, appoggiando il capo su una pietra, sognò una scala con gli angeli di Dio che salivano e scendevano dal cielo. Alzatosi Giacobbe mutò il nome di quel luogo in Betel, eresse la pietra che gli era servita da cuscino e la unse con olio. (Genesi 28, 10-18) Più avanti, nel passaggio di un fiume, Giacobbe lottò tutta la notte corpo a corpo con una strana presenza, con "qualcuno" che l'iconografia rappresenta come un robusto angelo che sloga l'anca a Giacobbe; ma da cui Giacobbe ottiene benedizione: "ho visto Dio faccia a faccia eppure la mia vita è rimasta salva" (Genesi 32, 23-32).
L'immagine della scala di Giacobbe unisce terra e cielo. Nella vita spirituale si scende per salire, si sale per discendere. Ogni salita è una discesa, ogni discesa una salita. Giovanni Climaco (da climax scala) nel suo trattato La scala spirituale fissa trenta gradi di perfezione che egli propone al cammino spirituale dei suoi monaci. Gradini che corrispondono agli anni della maturità di Cristo. L'icona Visione di san Giovanni Climaco (scuola di Novgorod, sec. XVI, san Pietroburgo, Museo russo) mostra gli angeli che aiutano i monaci virtuosi a salire, mentre i demoni tormentano i più deboli cercando di arpionarli con gli uncini delle tentazioni, per precipitarli poi nelle fauci spalancate della Bestia.

Vizi e Virtù
I gradini della Scala sono facilmente accostabili alle Virtù cristiane. Una delle schiere angeliche porta il nome Virtù e trova il suo opposto nel gruppo di demoni che rappresentano i Vizi. La traduzione iconografica di questo schema si trova in una variante russa dell'icona Discesa agli Inferi (bottega di Dionisij, 1502-1503, san Pietroburgo, Museo russo): nell'antro infernale dodici demoni (a ciascuno è attribuito il nome di un Vizio) vengono trafitti da dodici angeli, cui corrispondono i nomi di altrettante Virtù. Ogni Vizio viene così sconfitto dalla sua corrispondente Virtù.

Tetramorfismo e antropomorfismo
La natura, con la sua bellezza, sembra già sottendere la presenza degli angeli. Certi tramonti sembrano dipinti dal passaggio delle loro ali; certe nuvole poi le richiamano. Le chiome degli alberi, mosse dal vento, palpitano di foglie simili agli innumerevoli occhi che si nascondono nelle ali del cherubino, che non perde mai di vista il trono di Dio. L'arte traduce la natura in effetti di grande cromaticità, come nei rinascimentali angeli di Benozzo Gozzoli: le fiammature delle ali ricordano quelle cangianti delle farfalle; e richiamano gli "occhi" della ruota del pavone.
Un certo tetramorfismo colpiva già nell'antica visione biblica di Ezechiele: quattro esseri alati, il leone, il bue, l'aquila e il cavallo diventano nel trattato De coelesti hierarchia di Dionigi l'Areopagita simboli degli angeli. Poi nell'Apocalisse di san Giovanni si trasformano nei quattro esseri viventi, simboli degli evangelisti: il bue è Luca, il leone Marco; l'aquila Giovanni e il figlio d'uomo (al posto del cavallo) Matteo. In quest'ultimo il tetramorfismo diventa antropomorfismo e l'essere umano si trasforma in angelo.
Come il santo Francesco d'Assisi, "tutto serafico in ardore", (Dante, Paradiso XI, 37), che durante l'estasi in cui ricevette le stimmate - così come viene rappresentato innumerevoli volte dall'arte - viene trapassato nelle mani e nel costato dalle piaghe di Cristo che il santo vede apparirgli tra le ali di un cherubino, in volo sopra il cielo di La Verna.

Conclusione
"Ma a che serve vedere gli angeli?" - ricorda Isacco il Siro -; "se li vedi una volta sarà con gli occhi del corpo. Mentre se vedi te stesso ogni giorno, sarà con gli occhi dell'anima". Ecco allora che l'Angelo suggellato di Leskov è dentro a ciascuno di noi. Liberarlo significa scoprire il nostro vero volto, la sua vera icona. Non siamo monadi. La cultura russa e slavofila pone all'origine del nostro essere il principio creativo della sobornost': comunionalità, comunione. Il nostro vero volto si specchia in un altro. Nel Tu scopriamo l'Io . L'icona del nostro volto è un Altro di cui siamo fatti. Per questo la Trinità angelica è immagine e sintesi della divinoumanità di Dio, comunione di tre Persone.
A qualcuno può essere anche capitato di vedere o sentire angeli. Lo scrittore Eugenio Corti, autore del romanzo Il cavallo rosso, racconta spesso che, durante la ritirata di Russia, alcuni compagni dichiaratamente atei vennero salvati da uomini sconosciuti in circostanze particolari che, poi misteriosamente scomparsi, si rivelarono, secondo quanto testimoniarono gli stessi interessati, i loro angeli custodi. Un collega mi racconta di avere ricevuto un provvidenziale avvertimento, un colpetto sulla spalla mentre in macchina stava per addormentarsi al volante. Ancora un amico riferisce di essere stato svegliato nella notte da una voce che lo avvisò per tempo di un tumore ai polmoni dal quale si è fatto subito operare.
"Qualcuno" lottò con Giacobbe lungo quella buia notte del racconto biblico: non potè vedere la sua faccia né tantomeno vincerlo. Ma l'angelo, o forse Dio stesso, lasciò dopo la lotta a Giacobbe uno strappo al nervo sciatico, una slogatura all'anca, una ferita. Che lo accompagnerà per tutta la vita. Ma anche una benedizione e una promessa: "non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele perché hai combattuto con Dio e hai vinto". (Genesi, 32,29). Non più "tu" ma "popolo". Un nome e una storia. Vincendo con Dio. Scoprendo non il volto di un angelo ma il proprio stesso volto umano.
Così dalla terra russa, dalla Santa Madre Ru' delle izbe, delle chiese, delle immense distese di steppe e di laghi si alza un canto. Canto di un popolo che non ha perso la coscienza di aver vissuto sotto un cielo popolato d'angeli. Canto di un popolo che calpesta ancora una terra di betulle dalla bianca scorza; su cui qualche monaco ancora può scrivere i suoi pensieri d'angelo.