Informazioni

  • Categoria: Cultura
  • Editore: Mimep Docete
  • Data: 2023
  • Acquisto online: Mimep

Introduzione

Nel 2023 ricorrono i 150 anni dalla nascita del poeta e scrittore francese Charles Péguy (1873 – 1914). Scrisse questo testo poetico in occasione di un pellegrinaggio compiuto dal 14 al 17 luglio del 1912 da Notre-Dame di Parigi a Notre-Dame di Chartres: 80 chilometri a piedi in soli tre giorni per ringraziare la Madonna per la guarigione del terzogenito.

Il testo dell’Arazzo segna le tappe di una originale conversione del poeta che si allontanò dal socialismo per ritornare al cristianesimo. Conversione non banale in cui Péguy prende le distanze tanto dal clericalismo quanto dall’ideologia pacifista e liberticida. Ed è proprio questa contrapposizione a segnare anche metricamente L’Arazzo di Notre-Dame, nel ritmo delle quartine, nel confronto delle immagini, delle metafore, dei rimandi che si inseguono strofa dopo strofa fino a rivelarci una originalissima chiave di lettura.

Cento scatti d’autore ci portano nelle pieghe della pietra, nella “carne” potremmo dire, delle sculture della cattedrale di Chartres, una vera summa artistica e teologica del pensiero medioevale con i suoi grandi portali e sulla strada che i pellegrini percorrevano da Parigi a Santiago di Compostela. L’immagine della prospettiva dei covoni di grano che corrono verso la grande guglia dedicata a Maria Assunta è icona del viaggio di Péguy verso il cielo.

Autore: Charles Péguy è stato un grande scrittore poeta e saggista. Studiò all’Ecole Normale Superieure di Parigi e fu allievo di Romain Rolland e di Henri Bergson, di cui poi divenne amico. Nel 1907, si convertì al cattolicesimo, e da allora produsse molte poesie e liriche a tema mistico e religioso. Tenente della riserva, durante la Prima guerra mondiale si arruolò nella fanteria. Morì in combattimento, all’inizio della prima battaglia della Marna, il 5 settembre 1914.

Recensioni

RADIOSPADA

L’Arazzo di Notre-Dame di Charles Péguy: un pellegrinaggio mariano di carne e poesia

Luca Fumagalli - Radiospada.org - 17 dicembre 2023

La fede di Charles Péguy, ritrovata dopo anni di militanza politica socialista, fu sempre sofferta. Il matrimonio civile lo teneva lontano dai sacramenti – all’amico Lotte confidava: «È un’impresa folle. Ma godo del dono della grazia» – e gli amici cattolici, Maritain in primis, lo criticavano aspramente. Anche sul versante lavorativo e famigliare le cose non andavano affatto bene: non solo la sua libreria, comprata grazie ai quarantamila franchi che la moglie aveva ereditato dal padre, era in perdita, ma pure la stabilità coniugale si era incrinata a causa della sua infatuazione per la giovane Blanche Raphaël, di origini ebraiche.

Fu così che nel giugno del 1912, raccolte le proprie miserie, lo scrittore francese si mise in cammino, compiendo un pellegrinaggio a piedi da Notre-Dame di Parigi a Notre-Dame di Chartres. Voleva ringraziare la Madonna per la guarigione del figlio Pierre Marcel, ma quei centotrenta chilometri, tra andata e ritorno, divennero per lui molto di più, ossia un’occasione di meditazione, un’opportunità quanto mai preziosa per fare i conti con se stesso, col proprio passato e col proprio presente.

Dall’esperienza scaturì un poema di alta spiritualità, L’Arazzo di Notre-Dame, pubblicato per la prima volta nel 1913 sulla rivista «Cahiers de la Quinzaine».

Frammentato in gruppi di quartine e sonetti – a edificare spiragli di intuizione che si aprono via via alla luce – L’Arazzo appare il testamento di un’anima inquieta, per certi versi non troppo dissimile da Le confessioni di Sant’Agostino o La montagna dalle sette balze di Thomas Merton, richiamando pure il climax laico di quei grandi narratori di viaggi come Omero, Dante, Melville, Coleridge e molti altri ancora. È inoltre una delle ultime opere di Péguy, il quale sarebbe morto di lì a poco, a soli quarantuno anni, freddato da una pallottola tedesca sul fronte della Marna (la moglie ne fu talmente scossa che, seppur atea, si risolse infine a fare battezzare i quattro figli).

L’immagine artistica dell’arazzo, oltre a richiamare quella di un antico e celebre manufatto francese, l’arazzo di Bayeux dell’XI secolo, che racconta l’invasione dell’Inghilterra da parte dei Normanni, evoca nelle sue asimmetrie e giustapposizioni, nei fili colorati che si intrecciano, il senso unitario sotteso alla storia, quel significato che tiene insieme e dà ragione delle mille e più contraddizioni del quotidiano. Ecco perché nel suo poema Péguy non si fa problemi a confondere le proprie vicende personali con quelle della Francia, non disdegnando nemmeno inserti di cronaca locale, come la morte per droga di un ragazzo suo collaboratore, Réné Bichet. L’esito è un dialogo costante tra terra e cielo che assume i toni di una litania drammaticamente umana, con una povera creatura che si arrende a Maria e che scopre nel suo sguardo quella medesima schiavitù d’amore di cui aveva già parlato San Luigi Maria Grignon de Montfort.

L’Arazzo di Notre-Dame si apre con una potente metafora: una nave che parte da Parigi e scivola lungo la Senna per fare rotta verso Chartres. La stiva non è piena di virtù ma di peccati, un carico che l’opera redentrice del Figlio di Maria ha reso prezioso, trasformando ogni miseria in oro. E sul fiume Péguy immagina che un popolo di rematori raccolga l’eredità culturale greco-romana e cristiana, radici dell’Europa, mentre il capitano innalza sul pennone uno stendardo fatto di preghiere, una veste di sacco e di penitenza che raccoglie tutte le invocazioni e dà propulsione alla nave. Nel mentre, sullo sfondo, sfilano le tappe storiche e le figure dei grandi condottieri del passato che riverberano di quell’atteggiamento positivo di chi non rinnega o dimentica nulla, ma vive la gioia di un nuovo presente.

A seguire, la descrizione della regione della Beauce, con la bionda Loira che accompagna la marcia del tenente Péguy, il quale vede nella via che deve percorrere la “porta stretta” del Vangelo, che anticipa le cinque preghiere recitate nella cattedrale di Chartres, dove, sotto gli occhi di Maria, ogni cosa diventa possibile. Il tempo è fatto nuovo, e il ritorno all’innocenza fanciullesca si associa alla scelta matura e consapevole da parte del poeta di non venir meno alla fedeltà coniugale, non per un vuoto senso del dovere, ma per amore a Cristo sulla croce.

Nell’epilogo Péguy si mostra come un uomo rinnovato, libero da tutto ciò che è vano e che un tempo lo attraeva. In Maria ha trovato la perla preziosa del Vangelo e l’ultima preghiera è per i figli, che saranno le spighe più mature nel giorno della mietitura.

Ora, grazie alla meritoria casa editrice Mimep Docete, L’Arazzo di Notre-Dame è disponibile per la prima volta in traduzione italiana. Il risultato è un volume brillante, curato da Alfredo Tradigo, che vanta pure uno splendido apparato iconografico, una sorta di viaggio a Chartres in cento immagini. Si tratta dunque di un titolo imprescindibile, una splendida opportunità per riscoprire il valore di una poesia che ha nutrito di verità e bellezza intere generazioni.


IL NUOVO GIORNALE

Da Chartres a Notre Dame, i pellegrini con Péguy

Il Nuovo Giornale - 30 novembre 2023

Il dialogo con Maria del poeta e scrittore francese tradotto da Tradigo per Mimep Docete

Il 5 settembre 1914, sul fronte di Villeroy-sur-Marne, con una pallottola alla testa finiva tragicamente la sua vita, a soli 41 anni, il sottotenente di riserva Charles Péguy, uno dei poeti più originali e profondi del Novecento. La sua opera è fortemente segnata dalla conversione al cristianesimo, nel 1908. Oggi, grazie a Mimep Docete, arriva in versione italiana una delle sue ultime fatiche letterarie, “L’arazzo di Notre Dame”, con la traduzione di Alfredo Tradigo. Poeta, scrittore e giornalista (un passato a Oggi e Famiglia Cristiana, collabora con􀀁Avvenire, Luoghi dell’Infinito, Osservatore Romano e Il Sussidiario), Tradigo è anche autore del saggio introduttivo e dell’apparato di note del volume, arricchito di cento immagini fotografiche sul tragitto che Péguy percorse in un intenso pellegrinaggio.

140 chilometri a piedi, da cattedrale a cattedrale

“L’Arazzo di Notre Dame” - scrive infatti Tradigo nell’introduzione - “è un lungo atto d’amore, un colloquio silenzioso che Charles Péguy intesse con la Vergine Maria durante il pellegrinaggio che egli compie da Notre Dame di Parigi a Notre Dame di Chartres dal 14 al 17 luglio del 1912”. Centoquaranta chilometri a piedi, da cattedrale a cattedrale (le più antiche di Francia), attraversando la verdeggiante regione della Beauce, a sud ovest di Parigi, e abbracciando in un solo sguardo la geografia e la storia del suo popolo. “È lo sguardo acuto di un poeta - evidenzia Tradigo -, ma soprattutto è lo sguardo di un uomo convertito dal socialismo al cristianesimo pochi anni prima e che vive tutta la realtà con l’entusiasmo del neofita”. Scopo del pellegrinaggio è ringraziare la Madonna per la guarigione del terzogenito, Pierre. A questo seguiranno altri due pellegrinaggi fino alla morte. Il quarto figlio nascerà pochi mesi dopo e la moglie, Charlotte, atea e comunarda, di principi giacobini, in onore del marito li farà tutti battezzare. “Un frutto inatteso e immeritato della grazia divina, direbbe Péguy dal cielo”, commenta Tradigo.

Letteratura del cammino

L’immagine letteraria dell’arazzo richiama un celebre manufatto artistico, l’arazzo di Bayeux dell’XI secolo che racconta, nell’intreccio dei suoi fili colorati, l’invasione dell’Inghilterra da parte dei normanni. “Anche Péguy - fa notare Tradigo - intreccia fili con le parole, quelli della propria storia personale e quelli del destino dell’amata Francia, del suo glorioso passato, del tempo presente e persino della cronaca locale. Il cammino spirituale di Péguy si approfondisce attraverso questo sguardo pittorico, capace di abbracciare un paesaggio fisico, la Beauce, fatta di fiumi, boschi, borghi, castelli, ma anche interiore. Così il pellegrinaggio peguyniano, come tutti i grandi o piccoli racconti di viaggio della letteratura (da Omero a Dante, da Melville a Kerouac, da Coleridge a Cormac), è un viaggio iniziatico, al confine tra il dentro e il fuori di sé”.


IL SUSSIDIARIO

Charles Péguy: L’arazzo di Notre-Dame, la fede è un viaggio nella Grazia

Max Ferrario - Il Sussidiario - 11 novembre 2023

Alfredo Tradigo ha tradotto “L’Arazzo di Notre-Dame” di Charles Péguy, opera del 1913. In un pellegrinaggio il compimento della conversione del grande autore francese

Perché ha deciso di tradurre integralmente L’arazzo di Notre Dame e quale interesse ha trovato in questo testo?

Si tratta dell’opera più significativa del percorso umano e spirituale di Charles Péguy, un testo poco tradotto e poco noto in Italia, contrariamente ad altre opere dello scrittore francese. Ma ci sono altri motivi che mi hanno spinto a questa traduzione. L’occasione del 150mo anniversario della sua nascita (1873-1914), avvenuta a Orléans, la città di santa Giovanna d’Arco. L’Arazzo di Notre Dame, che ho tradotto e che è da pochi giorni uscito in libreria, è importante perché si tratta della penultima opera di Péguy, l’opera della sua maturità poetica ed espressiva, scritta due anni prima di morire in combattimento sul fronte franco-tedesco durante la seconda guerra mondiale. Un’autobiografia spirituale che può ricordare per intensità, fatte le debite proporzioni, opere come “Le Confessioni” di sant’Agostino e “La montagna dalle sette balze” di Thomas Merton.

Qual è il contenuto dell’opera?

L’Arazzo è il racconto, in forma poetica, di un viaggio a piedi compiuto da Péguy nel luglio del 1912 dalla cattedrale di Notre Dame di Parigi a quella di Notre Dame di Chartres, pellegrinaggio mariano per eccellenza, fatto per ringraziare la Madonna per la guarigione del figlio Pierre. Quartina per quartina, in novecento versi divisi in cinque capitoli, L’arazzo di Notre Dame conclude il cammino di conversione di Péguy, che dal socialismo militante, abbracciato quando aveva 19 anni, ritrova, attraverso la figura di Maria, il senso cristiano della sua vita personale e della storia di un popolo. Il suo capolavoro, secondo il giudizio autorevole del grande teologo Urs von Balthasar, che così scrive: «Nelle sei grandi poesie di Chartres, che hanno da valere come il vertice dell’arte di Péguy, egli innalza la sua invocazione dal tempo caduto alla presenza del tempo non-caduto, nel santuario di Maria».

Quale contributo può dare il pensiero di Péguy alla cultura contemporanea?

Certamente la critica alla modernità e al relativismo operata da Péguy nei confronti della cultura francese del suo tempo è un giudizio profetico valido anche per il mondo di oggi. Attraverso l’esaltazione del valore del lavoro, testimoniato delle grandi cattedrali del medioevo così come dai piccoli gesti di chi impaglia le sedie con precisione, o lavora il legno, Péguy ci fa riflettere sul significato del lavoro manuale ben fatto, che edifica una società più umana e solidale, fondata sulla Bellezza. Scriveva Péguy: “Ho visto per tutta la mia infanzia impagliare sedie esattamente con lo stesso spirito e con lo stesso cuore, e con la stessa mano, con cui quello stesso popolo aveva scolpito le proprie cattedrali”. La bellezza di una sedia impagliata da sua madre “per campare” (la famiglia era povera, il padre morì quando lui nacque) viene confrontata da Peguy con lo splendore della guglia altissima della cattedrale di Chartres, un miracolo di ingegno, innalzata anche qui da un umile scalpellino, “figlio della nostra gente”.

Il mondo giovanile conosce, apprezza e ama la figura di Peguy?

Sì, certamente, e ne è stata testimonianza la presenza di tanti giovani questa estate alla mostra che il Meeting di Rimini ha dedicato a Péguy. Un altro momento significativo, che si ripete ogni anno, è il pellegrinaggio degli universitari francesi che ripercorrono a piedi il cammino durante la Settimana Santa il percorso di Péguy da Parigi a Chartres, testimonia ancora una volta l’amore di tanti giovani per la figura del grande poeta e scrittore. Giunti a Chartres, durante la Messa celebrata nella cattedrale, gli universitari ascoltano, in un clima di religioso silenzio, la lettura di testi tratti dalle “Cinque preghiere a Notre Dame” contenute nell’Arazzo. Infine, ricordiamo che in Italia sono numerosi i centri culturali intitolati a Charles Péguy, segno tangibile che la sua testimonianza e i suoi scritti hanno ancora molto da dire all’uomo d’oggi.

Qual è l’aspetto più attraente dell’Arazzo?

Nei cinque capitoli di cui è composta l’opera domina il senso del viaggio “on the road”, che con ritmo poetico segna quasi fisicamente, passo dopo passo, le tappe del viaggio. In tre giorni di marcia Péguy, da buon soldato, percorre 75 chilometri all’andata e altrettanti al ritorno, compiendo una vera e propria “doppia” maratona tra Parigi e Chartres. Un viaggio esteriore, fisico, turistico persino, attraverso la bella regione francese della Beauce, attraversata dalla Loira con le sue anse e i suoi affluenti. Agli occhi del poeta il paesaggio esteriore e quello suo interiore si confondono. Il viaggio, così come emerge dall’Arazzo, è fatto di incontri umani, come quello con una famiglia che lo ospita, o dei gendarmi che lo guardano con sospetto. Un viaggio che è motivo, per lo scrittore, di un profondo cambiamento di prospettiva, alla scoperta di quella fede che per Péguy è “semplice, spontanea” perché dono e frutto della Grazia. Una fede che nel “Portico del mistero della seconda virtù” (la sua opera precedente) Péguy aveva sottolineato essere “più facile” dell’altra rara e preziosa virtù teologale, la speranza, “quella piccola speranza che non sembra niente. Quella piccola bambina speranza. Immortale”.

Come vive Péguy il tema della speranza?

Nel suo racconto poetico, si ferma sulla figura di un vecchio solo e triste davanti al camino. Sembra di vedere il vecchio con la testa tra le mani di un quadro di Van Gogh. Quell’uomo anziano è Péguy stesso, che nonostante i suoi 39 anni si sente vecchio dentro, nell’anima. Ecco allora che quella bambina – la speranza – spinge Péguy, una volta raggiunta la meta, a deporre sulle ginocchia della Vergine di Chartres l’uomo vecchio che è in lui, con tutte le sue incoerenze di peccatore. Péguy non può ricevere i sacramenti perché convive con Charlotte, non credente, madre dei suoi tre adorati figli (il quarto nascerà pochi mesi dopo la tragica morte di Péguy). Contemporaneamente però, a un certo punto della sua vita, Péguy si innamora di una giovane ragazza ebrea, Blanche, sua collaboratrice. Ma proprio a Chartres, davanti alla Vergine Maria, lo scrittore decide di non iniziare un rapporto con lei “per amore al Cristo crocifisso”, come egli stesso sottolinea, rimanendo fedele a Charlotte. E a proposito della sua situazione spirituale, Péguy dichiara a un amico: “Vivo senza sacramenti. È un’impresa folle. Ma godo del dono della grazia, di una sovrabbondanza di grazia inconcepibile. Obbedisco alle indicazioni”. E le indicazioni sono quelle della Chiesa cattolica, a cui esplicitamente Péguy si arrende e aderisce senza se e senza ma.

Cosa significa il riferimento all’immagine dell’Arazzo che caratterizza il titolo dell’opera?

Prima dell’Arazzo di Notre Dame, Péguy aveva scritto “L’Arazzo di santa Genoveffa e di santa Giovanna d’Arco”, la pulzella di Orléans, sua concittadina. Penso che l’immagine poetica dell’Arazzo abbracci un vasto orizzonte e metta insieme cose diverse, come i fili di tanti colori che lo intessono. Visto da dietro, dal rovescio, il disegno di un arazzo appare incomprensibile, come spesso è la vita, ma davanti rivela tutta la sua bellezza e verità. Credo che Péguy amasse questo modo di conoscere, simbolo della vita il cui senso si rivela poco per volta. Nei suoi versi raccolti in quartine e divisi in cinque capitoli, il senso del suo “Arazzo” si dipana.

Quali le caratteristiche del libro da lei curato?

Questa traduzione esce oggi per i tipi della Mimep Docete, originale esperienza editoriale di suore polacche fondata da mons. Enrico Galbiati e don Massimo Astrua a Pessano con Bornago, in provincia di Milano. Ho cercato di rendere più agevole possibile la lettura dei testi poetici dell’Arazzo, arricchendo con note e introduzioni ogni singolo capitolo. Si tratta di un’edizione illustrata, destinata al grande pubblico che non conosce Péguy, quindi di grande formato e arricchita con oltre cento immagini della cattedrale di Chartres. Un’opera da leggere, ma anche da guardare.

Ci sono episodi particolarmente significativi in questo viaggio?

Una sera il poeta trova alloggio, insieme all’amico scrittore Alan Fournier (che lo accompagna nella prima parte del viaggio), presso una famiglia di un villaggio francese. Così come viene descritto da Péguy, l’episodio acquista il sapore di un’intima scena evangelica, quella dei due discepoli di Emmaus. Nel momento in cui la padrona di casa, come sottolinea lo stesso Peguy, benedice la mensa e gli ospiti e spezza il pane i due scrittori si sentono come quei discepoli a cui il Risorto si rivela.

C’è anche un brutto fatto di cronaca su cui Peguy si sofferma…

Sì, e per molte quartine, quasi fosse una delle cose più importanti dell’opera. Si tratta di una lunga preghiera di intercessione per un ragazzo, Réné Bichet, collaboratore di Péguy, morto per un’overdose di morfina. Il poeta intercede per lui presso la Vergine di Chartres con insistenza, lo giustifica e, al di là di ogni moralismo, chiede a Maria di perdonarlo perché “non era certo peggiore di noi, al di là del suo eccesso meritava più di noi di vivere”.

E dal punto di vista del paesaggio, la scena più suggestiva?

Come nella sequenza di un film a campo largo, è certamente il momento in cui Péguy si trova a pochi chilometri da Chartres e descrive, nella prospettiva dei covoni allineati nei campi di grano appena raccolto, il profilo della cattedrale gotica, una delle più antiche e belle d’Europa. La visione delle due guglie all’orizzonte è suggestiva. File di covoni come casseri di antiche navi, e nell’esempio marino il poeta sovrappone e riprende l’immagine iniziale del vascello che salpa sulla Senna, dalla cattedrale di Parigi a quella di Chartres, carico dei peccati del popolo che la Grazia trasforma in oro, l’oro del grano. Qui il lavoro dei campi e il lavoro degli scalpellini si confonde, natura e cultura si incontrano. Qui, in un “fermo immagine” quasi cinematografico, possiamo assistere al fermarsi del tempo, come l’ultimo fotogramma di una pellicola in bianco e nero che porta impresso un verso, una poesia di Péguy, lasciandoci assorti a contemplare il suo canto.